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NICCOLO’ MACCHIAVELLI
Nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese di modesta agiatezza. Dei primi
anni non si hanno molte notizie, ma si sa che il padre Bernardo era un giurista e lo
avviò agli studi, riservandogli un’educazione umanistica basata sui classici latini e
greci. Le prime notizie sicure si hanno a partire dal 1498, in seguito al suo ingresso
nella vita politica: nello stesso anno venne nominato segretario della Seconda
Cancelleria della Repubblica, organo che intratteneva rapporti epistolari con i
funzionari all’interno del dominio fiorentino, e segretario dei Dieci, il consiglio che
deliberava circa la difesa in caso di guerra e curava i rapporti con gli ambasciatori
della città. Questi incarichi, durati 15 anni, gli conferirono grandi responsabilità nel
campo della politica interna, estera e militare, a cui sia aggiungevano missioni
diplomatiche e diverse corrispondenze. Fu anche collaboratore del gonfaloniere Pier
Soderini, alla caduta del quale Niccolò cerca di avvicinarsi al partito mediceo e di
riaccreditarsi presso i nuovi signori attraverso la composizione del ‘Ai Palleschi’, in cui
invita i Medici e i loro sostenitori a guardarsi dagli aristocratici e a mantenere la stessa
politica filo-popolare di Soderini. Tuttavia, Machiavelli venne rimosso dagli incarichi e
confinato per un anno nei territori della Repubblica; venne anche incarcerato e
torturato perché fu sospettato di aver preso parte a una congiura antimedicea.
Dopodiché si ritirò in un esilio forzato a San Casciano, dove si dedicò agli studi e
intraprese una corrispondenza con Francesco Vettori, che lo tenne aggiornata sulla
situazione politica fiorentina. La lontananza dalla vita politica era insostenibile, così
cercò di riavvicinarsi ai Medici dedicando ‘Il Principe’ a Lorenzo, ma la famiglia non
smise di guardarlo con diffidenza; fu solo alla morte di Lorenzo che gli venne revocata
l’interdizione dai pubblici uffici, grazie a Giulio de’ Medici, al quale sono dedicate le
‘Istorie Fiorentine’ e l’‘Arte della Guerra’. Purtroppo, poco tempo dopo i Medici vennero
nuovamente cacciati da Firenze e Niccolò non riuscì a ottenere altri incarichi poiché
venne guardato con sospetto per il suo avvicinamento alla famiglia. Morì il 24 giugno
1527.
Machiavelli è il fondatore della politica intesa come scienza autonoma, ossia un’attività
creata dall’uomo e indipendente da qualsiasi altra attività di tipo morale o religioso.
Nella visione antropocentrica della realtà si riconosce che l’uomo è caratterizzato dalla
sensibilità e dalla possibilità di scegliere se elevarsi verso la perfezione o abbassarsi al
livello dei bruti; è quindi capace di scegliere tra bene e male ed è artefice del proprio
destino. La realtà è dominata dalla Fortuna, perciò l’uomo deve espandere le proprie
conoscenze se vuole riuscire a dominare il caso: dev’essere attivo partecipe della vita
collettiva e dev’essere aiutato dall’intellettuale a difendersi dai colpi della Fortuna
proprio perché, nonostante abbia la capacità di scegliere, le sue possibilità sono
comunque limitate. In più, il letterato è chiamato ad agire nel mondo e ad affiancare
l’uomo politico ricoprendo la carica di consigliere.
Per queste idee Machiavelli venne considerato immorale dalla Chiesa, che ne proibì la
lettura delle opere (circolavano clandestinamente).
Opere Il Principe
L’opera è articolata in 26 capitoli con titoli latini composta nel 1513 (–> si
ritiene che solo la dedica e probabilmente il capitolo finale furono aggiunti
posteriormente), ma l’opera non fu data alle stampe e circolò come manoscritto
fino al 1532, quando venne pubblicata postuma. Il titolo originale è “De
Principatibus”. L’opera può essere divisa in 5 parti:
APERTURA: dedica a Lorenzo de’ Medici.
o 1° SEZIONE (capitolo I-XI)
o tratta delle diverse tipologie di principato e dei vari mezzi che consentono
di conquistarlo o mantenerlo. Il poeta fa una distinzione tra i principati
nuovi e quelli ereditari, che possono essere vinti con la virtù e un proprio
esercito oppure con fortuna e un esercito mercenario. Vi è anche una
distinzione tra la crudeltà “bene e male usata”, ossia tra quella attuata
per necessità e per garantire il benessere dello Stato e quella attuata per
piacere personale. Inoltre, vengono esaminati i principati politici e quelli
ecclesiastici.
2° SEZIONE (capitoli XII-XIV)
o sono dedicati al problema delle milizie: il poeta critica fortemente gli
eserciti mercenari perché, combattendo solo per denaro, sono infidi e
costituiscono una delle cause di debolezza dello Stato. Egli sostiene il
bisogno di un esercito cittadino che difenda lo Stato così come i propri
bene.
3° SEZIONE (capitolo XV-XXIII)
o tratta dei modi di comportarsi del principe coi sudditi e con gli amici.
Machiavelli, invece di elencare le virtù morali adatte ad un principe, mira
alla “verità effettuale delle cose”, sostenendo che un buon governante
doveva essere insieme “golpe e lion”, ossia essere astuto come una volpe
per difendersi dalle trappole e allo stesso tempo, quando la situazione lo
richiedesse, forte come un leone.
4° SEZIONE (capitolo XXIV-XXV)
o tratta delle cause per cui i principi hanno perso i propri stati. Prima fra
tutti c’è l’ignavia dei principi, che nei tempi di pace non hanno saputo
prevedere e prevenire i tempi brutti. Inoltre, si esamina il rapporto tra
virtù e fortuna, cioè la capacità del politico di rendere favorevoli i brutti
colpi della Fortuna.
5° SEZIONE (capitolo XXVI)
o è una forte esortazione ad un principe nuovo e attento, che riesca a
liberare l’Italia dai “barbari”.
L’opera, per quanto rivoluzionaria, si ricollega alla tradizione della trattatistica
medievale degli ‘specula principis’, trattati che servivano a tracciare il modello
del principe ideale. Tuttavia, Machiavelli stravolge questa tradizione: mentre i
trattati precedenti miravano a fornire un’immagine ideale del regnante, il poeta
mira alla “verità effettuale delle cose”, proponendo al principe i mezzi che lo
porteranno alla conquista o al mantenimento di uno stato e delineando le
caratteristiche che un principe deve avere.
Il pensiero politico di Machiavelli si presenta come una stretta fusione di teoria e
prassi: le sue concezioni, infatti, derivano dal rapporto diretto con la realtà
storica di cui è partecipe in prima persona. Alla base di tutta la riflessione c’è la
consapevolezza che l’Italia sia in crisi: lo Stato sta affrontando una crisi su tre
versanti: politica, dato che l'Italia non possiede quei solidi organismi statali
tipici delle maggiori potenze europea; militare, perché gli eserciti sono ancora
mercenari; morale, perché sono scomparsi i valori come l'amore per la patria, il
senso civico e lo spirito del sacrificio, che furono sostituiti dall'abbandonare la
fortuna.
Per Machiavelli l'unica via di uscita è affidarsi ad un principe virtuoso e capace
di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare gli Stati
vicini. La particolarità è che il pensiero del poeta ha una portata universale e si
adatta a tutti i tempi e a tutti i luoghi. Machiavelli è il fondatore della moderna
scienza politica, che descrive come autonoma dalla religione e dalla morale; il
poeta sostiene che la politica non dev’essere più subordinata al criterio del bene
e del male, bensì bisogna valutare se il principe sia in grado di garantire il
benessere dello Stato o meno. La sua visione rappresenta una novità, poiché
mette in luce i retroscena del mondo politico invece di continuare a descrivere
degli Stati ideali. Egli tiene conto della realtà e parte da essa per costruire delle
conclusioni universali.
Egli distingue due tipi di esperienza: l'esperienza delle cose moderne, ossia
l'esperienza diretta, e la lezione delle antique, ossia quella ricavata dalla
lettura degli autori antichi. Alla base del suo ragionamento c'è una concezione
naturalistica: il poeta è fortemente convinto che l'uomo non cambi
comportamento nel tempo e crede che studiandolo attraverso le fonti storiche si
possano formulare delle vere e proprie leggi di validità universale. Inoltre, dalla
visione naturalistica nasce la fiducia del poeta in una teoria razionale
dell'agire politico, che riesca a suggerire le linee di condotta allo statista. Il
poeta ha una visione pessimistica dell'uomo come essere morale: per lui gli
uomini sono esseri egoisti e ingrati, spinti da interessi materiali e non dai
sentimenti; per questo un buon principe deve saper essere buono e cattivo a
seconda della situazione. L'immagine che meglio rappresenta questa teoria è il
centauro.
In Machiavelli c'è un terribile travaglio morale che lo porta ad una visione
ambivalente: da una parte è pienamente consapevole che alcuni
comportamenti sono inaccettabili da qualsiasi punto di vista, ma dall’altra li
ritiene adottabili, sebbene solo dal politico, solo per il bene dello Stato e solo se
strettamente necessari; essi non sono mai veramente giustificati ma solo
considerati indispensabili e rispondenti al concetto di “utile e dannoso”, che si
sostituisce a quello del “bene o male”. Il poeta, inoltre, distingue il principe dal
tiranno: il primo adotta comportamenti riprovevoli per il bene pubblico, mentre
il secondo per gusto personale.
Machiavelli è convinto che l'unica forma di governo accettabile sia la
Repubblica, poiché si fonda su organi stabili che non sono governati da singoli
individui. Di conseguenza, il principato non è altro che una forma di potere
adottata in caso d’emergenza, proprio perché non è in grado di costituire uno
stato ben saldo. Oltre a questo, c'è bisogno di tre precise istituzioni:
la religione –> viene presa in esame come strumento di governo che
o obbliga i cittadini a rispettarsi l’un l’altro.
le leggi –> come il fondamento del vivere civile perché disciplinano i
o comportamenti dei cittadini e inibiscono gli istinti.
le milizie –> come il fondamento della forza dello Stato, sia perché fa
o crescere l'amore per la patria sia perché fa sviluppare le virtù morali.
Si delineano coì due concezioni di virtù: la virtù eccezionale del singolo e la virtù
del buon cittadino. Il poeta, nonosta