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IX. UN MONDO SOMMERSO

Sacro e profano tra Medioevo e Rinascimento

I documenti della cultura popolare tra Medioevo e Rinascimento testimoniano la realtà violenta della società del tempo, tra malattie, epidemie, paura, crudeltà e tortura goduta come spettacolo. Il gusto del sangue avvolge questa società: i medici lo prescrivevano nelle loro ricette, Ficino lo raccomandava per ringiovanire i corpi appassiti. Nella Firenze di Lorenzo il Magnifico la paura dei morti non impediva il gioco sadico con il cadavere, la familiarità con i cadaveri testimonia la compresenza della vita nella morte e della morte nella vita, la confidenza con la morte, l'idea del disfacimento, la presenza dei morti tra i vivi, al tempo stesso amati e temuti. Questa bivalenza si osserva anche nel Petrarca, che scrive rime in morte di Laura nonostante la donna sia viva, immaginandola morta, e rime in vita quando la donna era ormai morta. Si passava con molta disinvoltura dal sacro al profano.

Lorenzo il Magnifico passava dalla rappresentazione sacra al cantocarnascialesco. Anche la Chiesa, prima del concilio di Treno, era un punto di riferimento per la cultura popolare, era folclorizzata.

La moltitudine dei poveri

Tra Medioevo e Seicento una grande massa di poveri occupava la scena sociale, tuttavia non era riportata nella letteratura o nell'arte: gli intellettuali disprezzavano quelle masse, di conseguenza le escludevano, dimenticandole. Nel "Paltoniere" di Baldassarre Bonifacio la paura per la moltitudine dei poveri diventa incubo di classe, si teorizza la nascita dei poveri dal letame, dalla materia organica, come fossero vermi e insetti. Quando nel 1629 un gruppo di montanari affamati occupò la città di Treviso, Baldassarre teorizzava la distruzione di queste classi attraverso la peste, medicina all'eccedenza demografica. Ma anche le masse di poveri avevano una loro cultura e una loro letteratura: preghiere, formule di invocazione, canzoni.

Cantilene cantate durante il lavoro. Molti dei cantastorie di strada e di mercato provenivano da quelle classi subalterne. Questa tendenza all'emarginazione delle classi popolari si fa più forte verso la metà del XVI secolo, quando la scienza attraverso una serie di pregiudizi pseudo-scientifici giustifica questa dicotomia sociale, emarginando i poveri in un'area di animalità. L'inferiorità sociale e intellettuale dei contadini si può anche scorgere da storie che narravano la morte degli inferiori perché tradivano la propria vocazione cercando di arricchirsi.

X. NICCOLÒ MACHIAVELLI

Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese; ha venticinque anni quando, nel 1494, le truppe di Carlo VIII scendono in Italia e mutano l'equilibrio instauratosi. Quattro anni più tardi è nominato segretario della Cancelleria della Repubblica fiorentina, poco dopo la morte del Savonarola: è quindi un incarico

di gran peso, deve occuparsi di cose militari e diplomatiche. Quando, nel 1512, i Medici tornano a Firenze e fanno cadere la Repubblica, Machiavelli viene licenziato dal suo incarico e un anno più tardi viene torturato e incarcerato perché sospettato di complicità nella congiura anti-medicea di Pier Paolo Boscoli, si ritira quindi nel suo podere all'Albergaccio, dove compensa l'inattività politica con la lettura, lo studio e la scrittura: compone "Il Principe", i "Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio", "Dell'arte e della guerra", le "Istorie fiorentine" e altri testi come la "Mandragola". Nel 1525 per interesse di Giulio de' Medici si trova impegnato in incarichi militari e diplomatici, ma con la cacciata dei Medici e il ritorno della Repubblica nel 1527 viene nuovamente escluso dagli incarichi pubblici perché sospettato di essere vicino ai Medici. Muore quindi a

Firenze il 21 giugno dello stesso anno.

Gli scritti ufficiali della Cancelleria

Negli anni in cui Machiavelli svolse il suo incarico di Cancelliere della Repubblica fiorentina, egli redasse di suo pugno molti documenti ufficiali, che si possono dividere in tre categorie: le "Legazioni", inviati da lui a Firenze durante le ambascerie, le "Commissarie", resoconti di particolari incarichi interni e gli "Scritti di governo", istruzioni indirizzate a commissari per conto della Repubblica. Da questi scritti, nonostante l'esposizione fredda dello stile diplomatico, emergono le opinioni politiche di Machiavelli e l'esperienza concreta del suo lavoro, da queste pagine emerge il suo istinto politico e la tendenza alla posizione netta e all'azione rapida.

Il Principe

Qui Machiavelli condensa in una struttura agile e rapida e in formule schiette il frutto di una lunga esperienza politica. L'opera è dedicata ai Medici, il trattato studia la

Struttura dei principati e i diversi modi di mantenerne il controllo, Machiavelli vuole quindi mostrare ai Medici la propria competenza per collaborare con il nuovo Stato nella realizzazione di un principato mediceo. Il trattato consta di 26 capitoli: mentre il capitolo iniziale distingue i vari stati in principati e repubbliche ed elenca i vari tipi di principato, nel capitolo finale l'autore esorta Lorenzo de' Medici a liberare l'Italia dai barbari. Del resto l'opera si può dividere in due parti: dal capitolo II al capitolo XIV si ha la prima parte, in cui Machiavelli esamina i vari tipi di principato, il problema delle milizie e i compiti militari del principe; nella seconda parte l'autore esamina quali compiti il principe debba assolvere per far vivere allo Stato in cui regna una lunga e prospera vita. La parte più discussa è la seconda: qui Machiavelli ribalta la fisionomia ideale del sovrano, liberale, pietoso, fedele, buono,

condividendo che il principe desiderabile è così fatto, ma dichiara di volersi muovere dalla verità effettuale, quindi dai fatti e dall'esperienza. Secondo la verità effettuale un sovrano in talune situazioni, per salvare lo Stato, deve trasgredire la figura canonica del principe "buono". Nel capitolo XVIII Machiavelli sintetizza il concetto spiegando che non bisogna separarsi dal bene, ma bisogna entrare nel male quando la situazione lo necessita, a costo di sofferenza pur di salvare lo stato. La formula di Benedetto Croce, secondo cui per Machiavelli la politica deve prescindere dalla morale, è inesatta, in quanto la politica non si può dissociare dagli aspetti della vita sociale. Per Machiavelli per il principe è conveniente essere amato e temuto, ma se ciò non riesce è meglio che sia temuto piuttosto che sia amato, in quanto gli uomini hanno più coraggio a "offendere" qualcuno che sia amato.

Rispetto a qualcuno che sia temuto. Inoltre si deve far temere, se necessario, ma non odiare. Per quanto riguarda la lealtà e le doti virtuose preferite dalla tradizione cavalleresca, Machiavelli dice che per quanto queste siano preferibili, la verità effettuale insegna che i principi che hanno fatto grandi cose sono quelli che hanno saputo aggirare gli uomini con l'astuzia, non quelli che hanno tenuto conto alla lealtà. Inoltre spiega Machiavelli che due modi ci sono per combattere: "l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza", mentre il primo è proprio dell'uomo, il secondo è proprio delle bestie; il principe deve sapere usare bene l'uomo e la bestia, in particolare la volpe, per l'astuzia, e il leone, per la forza. Il capitolo XVIII termina con una frase che è stata spesso interpretata come: il fine giustifica i mezzi, ma per Machiavelli è il popolo a giudicare onorevoli i mezzi impiegati se.

la vicenda va a buon fine, non lo scrittore. Inoltre Machiavelli fa riferimento alla "fortuna" come insieme di forze imprevedibili che sovvertono i disegni del monarca, che deve opporre a queste forze la "virtù", intesa come spirito di iniziativa, carica reattiva, capacità di controllo e di reazione. Opere storiche I discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio: qui Machiavelli tratta la vita istituzionale e lo sviluppo delle repubbliche. L'antica Roma è vista come modello supremo di sistema repubblicano e Tito Livio è esposto come maestro di sempre vigorosa attualità: nei suoi testi si analizzano le leggi dell'agire umano, le costanti dei comportamenti che scandiscono i ritmi della storia. Nonostante la materia sia diversa da quella del principe, vi si leggono sempre l'osservanza della verità effettuale e l'interesse di Machiavelli per la gestione dello Stato. Dell'arte e della guerra: qui Machiavellisostiene la necessità di cittadini in armi pronti a combattere per la sicurezza del proprio Stato dovuta all'inefficacia di milizie mercenarie. Il dialogo si chiude con lo scenario del 1494, che ha rilevato la debolezza militare degli stati italiani di fronte alla discesa di Carlo VIII. Le istorie fiorentine: qui Machiavelli tratta la storia cittadina sullo sfondo della storia italiana dalla caduta dell'Impero romano d'occidente alla morte di Lorenzo il Magnifico. Il teatro: la Mandragola La serietà ufficiale che connota le scritture del Machiavelli viene da lui ribaltata nelle commedie, in cui si avverte il senso del comico dello scrittore. Nella Mandragola il giovane Callimaco vuole conquistare Lucrezia, moglie del ricco Nicia Calfucci, che vuole vincere la sterilità della moglie per avere un erede. Callimaco si finge dunque dottore e consiglia a Nicia il rimedio della Mandragola, pianta che può rimediare alla sterilità della donna ma che

ucciderà il primo uomo che dormirà con lei. Nicia crede alla beffa e accetta di far dormire sua moglie con un ragazzo preso dalla strada, che è ovviamente Callimaco travestito. L'onestà di Lucrezia pone un ostacolo alla beffa, ma la donna viene convinta dal suo confessore, Fra' Timoteo, pagato da Callimaco per collaborare all'inganno. Lucrezia scopre la tresca e accetta quindi l'amore di Callimaco, scegliendolo come compagno. In questa opera l'inganno ferisce Nicia, smaschera i falsi valori della famiglia e la degradazione della religione, concede quindi risalto alla verità effettuale dei comportamenti umani, in cui regna l'immoralità e dove vincono la furbizia e la corruzione dei soldi. La Mandragola denuncia quindi la falsità dei valori del tempo e aggredisce la società contemporanea a Machiavelli.

Principe Seguire una bandiera- Dal "Il Principe", XXVI: "E' necessario, perciò, a un principe, sapere bene usare la bestia e l'uomo."

Commento- nel capitolo finale

affrontare. La sua conclusione è che la fortuna è instabile e imprevedibile, e che l'unica cosa che si può fare è cercare di adattarsi ad essa. Machiavelli sostiene che un principe deve essere abile nel saper utilizzare la fortuna a suo vantaggio, ma anche nel saper resistere alle sue avversità. Inoltre, il Principe deve essere in grado di prendere decisioni rapide e coraggiose, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni degli altri. Machiavelli sottolinea l'importanza della virtù e della prudenza nel governo di uno Stato, ma ammette che a volte è necessario utilizzare mezzi immorali per raggiungere fini politici. Infine, Machiavelli conclude il suo trattato con un appello ai principi italiani affinché si uniscano e liberino l'Italia dalla dominazione straniera.
Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
50 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiara_Lng di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Spadafora Giuseppe.