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GIOVANNI VERGA 1840-1922
Nasce in Sicilia a Catania nel 1840 e anche se va prima
a Firenze dove conosce Capuana, poi a Milano dove
entra in contatto con gli Scapigliati, torna a Catania
dopo una battaglia legale con un editore dalla quale
esce
vittorioso. Egli avrà 3 relazioni amorose nella sua vita,
ma resterà comunque celibe per volontà personale.
Per i suoi 80 anni il discorso ufficiale venne fatto da
Pirandello a Roma, il quale lo considerò <<il più
antiletterario degli scrittori, dall’asciutta magrezza e
povertà nuova di parole e di cose>>. Fu nominato
Senatore e morì nel 1922.
Nelle prime opere giovanili appaiono tutta una serie di
romanzi, tra cui il più importante sarà nel 1871 “Storia
di una capinera” (Maria costretta a farsi monaca) in cui
denuncia il mito romantico della passione amorosa
in nome di quieti affetti domestici. Successivamente
usciranno altri romanzi, “Eva” (1873), “Eros” e “Tigre
reale” (1875), romanzi questi che narrano storie di
amore e di morte, in forma epistolare nella capinera. Se
questi sono romanzi che segnano il suo passaggio da un
iniziale romanzo storico, passando per chiari tratti di
scapigliatura, secondo cui l’arte è inutile e l’artista è
condannato all’emarginazione; in un secondo momento
Verga si avvicina all’ideale dell’impersonalità, in quanto
nella società sempre più capitalista, fatta di banche
ed imprese, egli sviluppa l’idea dei Vinti (Verga voleva
comporre un ciclo composto da 5 romanzi progettati,
ma l’opera rimarrà incompiuta), non solo umili come
diceva il Verismo, ma Vinti, coloro che sono vittime del
destino di dolore a causa della società dominata dalla
smania di progresso. Travolti da un inevitabile destino
di dolore comune a tutte le classi, dai pescatori siciliani
(Malavoglia) fino agli intellettuali. All’artista non resta
che diventare osservatore disincantato e far sembrare
che l’opera d’arte si sia fatta da sola, gli resta solo da
osservare e ritrarre la situazione di degrado,
nascondendosi dietro le quinte. Così farà nell’opera Vita
dei
campi e poi nelle successive a partire da “Nedda”,
novella inserita in una raccolta di novelle intitolata
Primavera, ma soprattutto con “i Malavoglia” e “Mastro
Don Gesualdo”.
Vita dei campi: 1880 8 racconti tra cui “Fantasticheria”
(saggio); “Rosso Malpelo” e “Jedi il pastore” che nelle
successive edizioni si articola con altri brani tra cui
anche Nedda. Vita dei campi fa da premessa ai
Malavoglia
del 1881, in quanto le novelle di questa raccolta
anticipano molto dell’opera verista, i protagonisti sono il
gradino più basso della società, ovvero il mondo dei
pescatori, coltivatori, contadini della Sicilia, ultimo
baluardo di eroi positivi ancora ligi a valori ed affetti,
ma insediati dal crescente progresso fino a un destino
tragico di totale scomparsa. In “Jedi il pastore”, egli è
un pastore appunto che si innamora di Maria, la quale
avida di denaro lo tradisce con Alfonso. Jedi preso
dall’istinto assale Alfonso e lo uccide. È un chiaro
esempio
di vita dei campi dove il protagonista è un umile vinto
dall’avidità della campagna e degli inganni. Vita dei
campi porterà all’edizione di “Novelle Rusticane” e
“Cavalleria rusticana”, opera verista rappresentata in
teatro dalla formidabile Eleonora Duse.
Questi temi evidenti ripresi appunto ne “I Malavoglia”
1881, dove la famiglia Toscano, detti Malavoglia,
guidata dal capo famiglia Padron Ntoni, vive una lunga
serie di sventure. Nonostante sia una famiglia guidata
da giustizia, lealtà e dignità, avvengono molteplici
sciagure, il tutto viene trattato da Verga con
impersonalità,
con un linguaggio popolare tipico del popolo guidato da
un narratore esterno anonimo, anch’egli dello stesso
ambiente però.
“Mastro Don Gesualdo” ci racconta la storia di
Gesualdo, si passa dal mondo dei pescatori, umili
lavoratori
che seppur vinti sono vittime guidate da sentimenti di
uomini genuini, qui si delinea ancor meglio ciò che
Verga aveva iniziato nelle “Novelle Rusticane”, ovvero il
mito della roba che prende il sopravvento,
l’accumulazione di denaro e il progresso che incidono
sulla vita dei vinti che in questa opera vede il 2° ciclo
dei Vinti. MDG muta il quadro sociale e la scena viene
dominata da Gesualdo, che fa di tutto, sacrifica ogni
tipo di sentimento per il progresso e il culto della roba.
Gesualdo Morta, mastro ovvero muratore, sposa
Bianca Trao, dalla quale avrà una figlia Isabella, che
preferirà portare il cognome della madre perché si
vergognava del padre e delle sue umili origini. Gesualdo
lascia Diodata, serva che per lui provava vero amore,
per arricchirsi con il matrimonio con Bianca. Ma quella
che è un’apparente vittoria, si rivelerà una condanna
in quanto morirà solo abbandonato da tutti. L’ambiente
non è più quello dei pescatori umili, ma è quello
borghese e aristocratico, il linguaggio è meno del
parlato, ma più articolato. Il concetto fondamentale
resta
che Gesualdo seppur borghese è un vinto, non dalla vita
e dall’affanno, ma rappresenta il vinto del profitto,
del mondo dove banche ed imprese sono più importanti
dei valori. Questa passione per la roba distrugge il
personaggio e si rifà alla natura, la quale nel corso del
libro ha assume valore metaforico, il paese Vizzini,