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CARLO PORTA 1775-1821
Nasce a Milano nel 1775, in una Lombardia operosa,
aperta alle correnti Illuminismo e Romanticismo, egli
ha
conferito al dialetto milanese rilievo espressivo e
d’eccezione. Legato a Manzoni si schiera con la
nascente
nuova borghesia, nella sua casa, a partire dal 1816,
dà vita al circolo della “Cameretta” in cui si
incontrano
intellettuali e funzionari per parlare di cultura e
letteratura. Porta si inserisce nel dibattito
classicismoromanticismo
in difesa del secondo. Sin da giovane si dedicò alla
traduzione di grandi opere letterarie in
dialetto milanese, in seguito diete vita ad una
grande opera in dialetto intitolata “Poesie”, con ben
200
componimenti, che diventeranno ben 500
nell’edizione definitiva postuma ritrovati in 3
quaderni dedicati al
figlio. Con la sua opera Porta fece del dialetto
Rivendicazione Etica e Civile, dedicò la sua opera per
confrontare i vizi e gli abusi della società
contemporanea, ovvero la satira portiana si schierò
contro le
superstizioni della classe religiosa, il clero, e contro
la meschinità dell’aristocrazia, la classe nobiliare.
Porta fu grande narratore in versi, con una grande
varietà di temi, tutti votati all’indignazione degli
umili e
degli oppressi. L’aristocrazia portiana è quella della
Restaurazione, ignorante, bigotta e altezzosa.
Le sue opere si caricavano di immagini tipiche
romantiche, dove per la prima volta le poesie si
caricavano di
personaggi del popolo senza volto, che parlavano in
un linguaggio rude e goffo. Tra le sue poesie vi è
quella
di uno dei personaggi più significativi di Porta,
ovvero Giovannino Bongee, forse il meno intenso tra
Nietta e
Marchionn, ma comunque originale. Lo vediamo
raccontare in prima persona ad un immaginario
interlocutore gli sforzi e i soprusi avuti durante il suo
ritorno a casa, quando s’imbatte in una pattuglia che
lo
interroga, in dei francesi che insidiano la moglie, e
molto altro.
Il dialetto in Porta trova un’accezione romantica e a
tratti illuministica.
GIOACCHINO BELLI 1791-1863
Nasce a Roma nel 1791, in una Roma chiusa,
stagnante e orientata dallo Stato Pontificio. Porta
sarà il grande
ispiratore per Belli, il quale durante un viaggio a
Milano entra in contatto con la lirica portiana e
s’innamora
di questo modo di fare poesia. Tornato a Roma
decide di dedicarsi anche lui alla poesia dialettale,
romana
però. Ma se il dialetto portiano si carica di un
accento romantico votato alla satira e
all’affermazione della
massa popolare che è ormai arresa e immiserita,
Belli non ha nessuna matrice romantica, non farà
parte del
dibattito, anzi spenderà tutta la sua vita in una Roma
dove il clero e la figura papale sono dominanti, al
servizio
come ligio impiegato pontificio.
La Roma di Belli fa da sfondo alle sue opere, è
scenario dei ben 2279 “Sonetti”, dove egli al
contrario di Porta,
non vuole scrivere di un popolo con lo scopo di
riscatto, ma vuole scrivere della plebe romana che è
il fondo
della società e la sua voce parte dal basso, dalla
classe più bassa, saranno proprio i popolani in una
miriade
di voci diverse ad animare la poesia, a dipingere dal
basso l’immagine del clero e dell’aristocrazia, dando
modo ai Sonetti di caricarsi di brutalità di modi,
miseria, smascheramento dell’ipocrisia delle classi
dominanti.
Il suo modo di scrivere è da lui stesso anticipato
nella “Introduzione ai Sonetti”, in cui il suo intento è
quello
di creare attraverso il dialetto romano una lingua
delle masse popolari parlata per strada, creando un
Monumento della plebe romana, di quella Roma
governata dall’oscurantismo dello Stato Pontificio.
Non ha
nessun ideale, solo lasciare un monumento di Roma.
Mentre in Porta vediamo il popolo che ha una
speranza di riscatto e il dialetto portiano si va ad
inserire in
una tradizione letteraria alle spalle che gli conferisce
dignità, in Belli il dialetto non ha tradizione, e
l’impegno
politico resta ancorato alla recitazione e ad essere
tramandato oralmente.
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belli-giuseppe-giusti-e-ippolito-nievo-in-
breve/7815834/
(barbuscia_90@hotmail.it)
GIUSEPPE GIUSTI 1809-1850
Nasce nel 1809 nei pressi di Pavia, da padre
proprietario terriero, studia giurisprudenza e si
laurea senza
esercitare mai la professione. Osservatore critico e
dissacrante delle classi dell’epoca risorgimentale.
Fautore
della libertà, e dell’unità ed indipendenza dell’Italia.
Scrisse diverse opere, ma tra le più riconosciute ci
sono
i “Versi” ed i “Nuovi Versi”. Pubblicati in una prima
edizione di solo 6 componimenti, nel ’45 e nel ’47
escono
altre edizioni in cui Giusti inserisce i famosi
“Scherzi”, così chiamate le poesie in cui l’autore con
vena di
protesta inserisce questi versi ricchi di satira
pungente con l’unico scopo di denunciare il regime
paternalistico
e regressivo dell’epoca risorgimentale. Egli fu
liberale moderato, non amava gli eccessi e nei suoi
scherzi
scherniva da un lato i conservatori e dall’altro
invocava i patrioti a fare auto-critica.