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VIII.
● Nel testo convivono proiezioni nel passato e anticipazioni di fatti, profezie.
● Sperimentazione e complessità linguistica: Dante è uno sperimentatore linguistico e
inventa neologismi che sono diventati parte integrante della lingua italiana. Concilia
la cultura classica con la tradizione cristiana medievale, creando un’opera che
fonde e supera entrambe le realtà culturali.
● Il personaggio che dice ‘io’ è un «uomo di lettere», alla confluenza di mondo classico
e civiltà cristiana.
● Fra le strategie narratologiche utilizzate, figurano quelle teatrale, epica e
romanzesca.
● Compattezza e concentrazione dell’espressione.
● Incisività del dettato: memorabilità.
● La nostra lettura è differente rispetto a quella dei primi lettori del poema, che
apprezzavano soprattutto la struttura retorica e i richiami alla Sacra Scrittura.
● Alcune novità rispetto alla tradizione:
○ organizzazione metrica, con terzina di endecasillabi a rima incatenata
(‘terzina dantesca’);
○ avvio della narrazione in medias res. La tradizionale invocazione alle muse
viene spostata al secondo canto («O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; / o
mente che scrivesti ciò ch’io vidi, / qui si parrà la tua nobilitate» [vv. 7-9]);
○ realistica rappresentazione delle situazioni e dei personaggi (soprattutto
dell’Inferno). 12
CANTO I
Sintesi
Dante si smarrisce nella selva (1-30): La notte del 7 aprile dell’anno 1300, dunque a
trentacinque anni di età, Dante si smarrisce in una selva oscura (che rappresenta il
peccato e il simbolo di decadenza e di disordine causato dalla corruzione della Chiesa) e
intricata, impossibile da descrivere tanto è angosciosa. Lui stesso non sa dire come c’è finito,
poiché era pieno di sonno quando ha perso la giusta strada: a un tratto però, mentre sta
albeggiando, si ritrova ai piedi di un colle (allegoricamente raffigura la via alla felicità
terrena), dalla cui vetta vede spuntare i primi raggi del sole (che rappresenta la via verso la
salvezza, oltre all'ovvia considerazione che il nuovo giorno dissipa le paure della notte e
ridona al poeta nuova speranza). Questo, oltre al fatto che è primavera, gli ridà speranza e
lo spinge a tentare la scalata del colle, dopo essersi riposato per qualche istante e aver
ripensato al pericolo appena corso (similitudine: come un naufrago che guarda le acque in
tempesta dalle quali è appena scampato).
Compaiono le tre fiere (31-60): mentre sta salendo il colle,gli appare improvvisamente una
lonza (allegoria della lussuria) dal pelo maculato, assai agile e snella, che lo spinge più volte
a tornare indietro. All’inizio l’ora del mattino e la stagione mite gli danno speranza di poterne
avere ragione, ma subito dopo compare un leone (allegoria della superbia), che gli viene
incontro con fame rabbiosa e sembra far tremare l’aria, e una lupa famelica (allegoria
dell’avarizia, principale peccato che causa la corruzione delle istituzioni), tanto magra da
sembrare carica di ogni bramosia. Quest’ultima incute molta paura in Dante, che perde
ogni conforto e lentamente scende verso il basso, nella zona non illuminata dal sole;
Presentazione di Virgilio (61-90): Dante sta tornando verso la selva,quando intravede una
figura nella penombra, appena visibile nella poca luce dell’alba. Intimorito, supplica lo
sconosciuto di avere pietà di lui e gli chiede se sia un uomo in carne ed ossa oppure
l’anima di un defunto. L’altro risponde di non essere più un uomo in vita, ma di avere
avuto i genitori lombardi e di essere originario di Mantova. Si presenta come Virgilio
(allegoria della ragione umana dei filosofi antichi), il poeta latino vissuto al tempo di
Cesare e Augusto, ovvero durante il paganesimo, e che ha cantato le gesta di Enea nel
poema a lui dedicato. Virgilio chiede a Dante perché non stia proseguendo il suo cammino
verso la vetta del colle. Dante risponde a sua volta con ammirazione, dicendo a Virgilio che
lui è il più grande poeta mai vissuto e dichiarando che è il suo maestro e modello di stile
poetico. Si giustifica indicando la lupa come la bestia selvaggia che gli sbarra la strada,
pregando Virgilio di aiutarlo a superarla.
Profezia del veltro (91-111): Virgilio riprende la parola spiegando a Dante che dovrà
intraprendere un altro percorso, dal momento che la Lupa costituisce, per ora, un ostacolo
insormontabile. Virgilio profetizza poi la venuta di un «veltro», un cane da caccia che
ucciderà la lupa con molto dolore e la ricaccerà nell’Inferno da dove è uscita. Costui non
sarà interessato alle ricchezze materiali ma ai beni spirituali, e la sua patria non sarà nessuna
città in particolare. Egli sarà la salvezza dell’Italia, per la quale già altri personaggi hanno 13
dato la vita, come i troiani Eurialo e Niso, la regina dei Volsci Camilla, il re dei Rutuli
Turno, tutti cantati dallo stesso Virgilio nell’Eneide.
Il viaggio di Dante (112-136): Virgilio conclude dicendo a Dante che dovrà seguirlo in un
viaggio che lo condurrà nei tre regni dell’Oltretomba: dapprima lo condurrà attraverso
l’Inferno, dove sentirà le grida disperate dei dannati; poi lo guiderà nel Purgatorio, dove
vedrà i penitenti che sono contenti di espiare le loro colpe per essere ammessi in Paradiso.
Qui, però, non sarà Virgilio a fargli da guida: egli non ha creduto nel Cristianesimo,
quindi Dio non può ammetterlo nel regno dei Cieli. Sarà un’altra anima, più degna di lui, a
guidare Dante in Paradiso, ovvero Beatrice (che allegoricamente raffigura la grazia
santificante e la teologia rivelata, che sola può portare l'uomo alla salvezza). Dante
risponde a Virgilio pregandolo di fargli da guida in questo viaggio, poiché è ansioso di vedere
la porta di San Pietro e le pene dei dannati. Virgilio inizia a muoversi e Dante lo segue.
Analisi
Il primo canto dell’Inferno ha una funzione introduttiva: infatti Dante vi racconta le
motivazioni del suo viaggio nell’oltretomba, che può essere inteso come percorso di
redenzione spirituale.
La selva oscura: simbolo dello smarrimento
Dante si trova perduto in una “selva oscura”, simbolo dell’ignoranza e del peccato.
Quello della selva è un motivo ricorrente in tutta la cultura occidentale, sia classica che
medioevale. È vista come un luogo oscuro ed intriso di peccato; in particolar modo, la
connotazione negativa ripresa da Dante proviene da una tradizione biblico-patristica
(Sant’Agostino), che sostiene che la selva sia oscura perché non illuminata dalla luce
divina.
La passività del personaggio, sopraffatto dalla paura e dall’incertezza, contrasta con la
volontà di avanzare, sottolineando la lotta interiore tra disperazione e speranza.
La narrazione prosegue con la comparsa delle tre fiere: la lonza, il leone e la lupa, che
ostacolano il cammino di Dante. La lupa, in particolare, incarna il male più grave, al punto
da far perdere a Dante “la speranza de l’altezza”, ossia la speranza si uscire dalla selva
scalando il colle.
L’incontro con Virgilio: la ragione come guida
Quando Dante è ormai sul punto di cedere, appare Virgilio, il primo personaggio della
Commedia. La sua figura è di straordinaria importanza sia dal punto di vista storico che
simbolico. Poeta precristiano, rappresenta la ragione umana, ma è anche l’incarnazione
del mondo classico, che Dante ambisce a rinnovare e superare attraverso la Commedia. Il
dialogo tra i due è ricco di rispetto e ammirazione: Dante riconosce in Virgilio il suo
maestro e autore, colui che lo ha ispirato nella ricerca dello “bello stilo”. 14
Virgilio anticipa inoltre che, nel suo percorso attraverso i tre regni oltremondani, egli potrà
guidare Dante solo attraverso Inferno e Purgatorio, ma per salire al Paradiso sarà
necessaria una guida più degna, Beatrice, che rappresenta la fede e la grazia divina.
Il tema del viaggio e il tempo cosmico
Fin dal primo Canto dell’Inferno emerge chiaramente l’idea tipicamente cristiana di vita
umana come itinerarium mentis, cammino di redenzione ed espiazione dei propri peccati
in un percorso di ascensione verso Dio. Il poeta si prefigura, al pari di ogni uomo, come
pellegrino in cammino verso la salvezza eterna, essere imperfetto alla ricerca della
perfezione divina. Dante stesso, con il suo viaggio, diventa una figura dell’umanità. La
selva oscura rappresenta l’esperienza comune dello smarrimento morale, mentre
l’incontro con Virgilio riflette il ruolo della ragione nel guidare l’uomo verso la
consapevolezza dei propri limiti e la necessità della grazia divina. L’esplicita tensione
verso le stelle, che attraversa tutta la Commedia, simboleggia l’aspirazione dell’uomo a
elevarsi verso il bene supremo.
Per questo motivo, nel Canto I dell'Inferno prevalgono immagini e lessico appartenenti al
viaggio e al movimento.
A livello stilistico, Dante utilizza perifrasi astronomiche, come “Temp’ era dal principio
del mattino”, per situare l’azione nel tempo e nello spazio. La luce del sole, che si innalza
all’orizzonte, contrasta con il buio della selva e diventa simbolo di speranza. Questo tema è
ribadito nel celebre verso conclusivo del poema: “l’amor che move il sole e l’altre stelle”,
che collega il cammino di Dante al disegno divino.
All’interno del canto, si delinea una tensione tra la prospettiva terrena e quella
trascendente. Virgilio, pur essendo una guida razionale, anticipa la necessità della fede per
raggiungere la salvezza.
La profezia del veltro
È la prima delle tante profezie di cui è ricco il poema. Nel significato letterale il veltro è
un cane da caccia, adatto dunque a scacciare la lupa e a snidarla in ogni luogo, ma va anche
inteso come simbolo. Essendo però una profezia, il linguaggio è volutamente ermetico, di
qui la disparità delle interpretazioni. Alcuni lo hanno identificato con Arrigo VII o con
Cangrande della Scala (senza però addurre prove significative). L’unica accettabile
interpretazione è quella secondo la quale, rappresentando la lupa come cupidigia, il veltro
non possa che simboleggiare un provvidenziale salvatore che riporterà sulla terra la
giustizia e la pace. Chiunque fosse il veltro, Dante si aspettava da lui un profondo
rinnovamento sociale e politico in grado di riportare la giustizia troppo spesso
calpestata dagli ecclesiastici corrotti e dagli uomini politici, che è poi la si