Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Caratteristiche delle canzoni
Una canzone è un genere metrico formato da un numero variabile di strofe dette stanze, di solito 5, 6 o 7, più eventualmente una stanza più piccola, detta congedo/commiato, in cui il poeta si rivolge direttamente al lettore o al componimento stesso. Ciascuna strofa di una canzone è divisa in due parti, una detta fronte divisa in piedi con un numero identico di versi e con uguale disposizione di versi (lo schema ritmico, invece, può variare); l'altra, chiamata coda o sirma, talvolta anche sìrima, può rimanere indivisa oppure può dividersi in due parti chiamate volte, cioè periodi metrici strutturalmente identici, come nel caso dei piedi. Fronte e sirma sono di solito uniti da un verso chiamato chiave o concatenatio. Alla fine della canzone, può trovarsi un congedo, che consiste in una strofa più breve con una struttura metrica ripresa dalla sirma, o da parte di essa, e che ha lo scopo di specificare il
Il significato o la fine della canzone è generalmente espresso attraverso versi composti da endecasillabi misti a settenari e le rime sono disposte in modo che la chiave (o il primo verso della strofa, chiamato anche diesis) faccia rima con l'ultimo verso della strofa.
La canzone era considerata dagli antichi occitani il genere lirico per eccellenza. I trovatori di lingua d'oc, abituati a comporre insieme parole e musica, ritenevano inscindibile l'unità di versi e melodia, essendo abituati a imparare in modo rigoroso sia a comporre in versi sia a comporre in musica.
Già a partire dalla Scuola siciliana e successivamente nel Dolce Stil Novo, che si rifà alla tradizione provenzale, nel sistema dei generi romanzi la canzone è il metro per eccellenza. Lo stesso Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia, colloca la canzone al primo posto tra i generi metrici.
27 – L'esperienza
liricaTasso: tra mito e autobiografismo
Le forme di canzone che costituiscono senza dubbio un modello duraturo nella tradizione italiana sono quelle di Dante e soprattutto di Petrarca, ma nell'evoluzione della canzone esistono altre due varietà di canzone: la canzone pindarica e la canzone libera.
La canzone pindarica, a imitazione dell'ode pindarica, ha le sue origini nel Cinquecento ed è costituita di strofe, antistrofe ed epodo come dal modello greco, dove le strofe e le antistrofe sono collegate da rime uguali e hanno lo stesso numero di versi con prevalenza, di solito, dei settenari sugli endecasillabi, mentre l'epodo, che ha rime diverse, è, in genere, più breve.
La canzone libera risale ad Alessandro Guidi, che compose canzoni con strofe indivise e schema molto variabile sia per il numero dei versi, sia per la struttura della strofa, conosciute con il nome di "canzonia selva" (endecasillabi e settenari). Da questa base parte Giacomo Leopardi.
che più di ogni altro esprime questa libertà di composizione, per cui si parla di canzone leopardiana, pur non dimenticandole forme della canzone petrarchesca.Sonetto = è un componimento poetico, tipico soprattutto della letteratura italiana. Nella sua forma tipica, è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine a rima alternata o incrociata e in due terzine a rima varia.
Il sonetto è stato inventato da Giacomo da Lentini verso la prima metà del Duecento, nell'ambito della scuola poetica siciliana, sulla base di una stanza isolata di canzone, in modo che la struttura metrica formata da quattordici versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine, sia identica a quella di una stanza con fronte di due piedi e sirma di due volte senza concatenazione.
Se sull'origine del sonetto i pareri sono discordi, consenso totale vi è - come rileva Giovanni Getto - per quanto riguarda il nome. Respinta
l'ipotesi ingenua affacciata nelle antiche pagine De rhitmisvulgaribus di Antonio da Tempo, che riteneva che il sonetto fosse così chiamato "quia bene sonatauribus audientium" ["perché suona bene alle orecchie degli ascoltatori"] e soprattutto "quod haecnomina ad libitum antiquorum inventa fuerunt" ["perché questi nomi furono inventati per il capricciodegli antichi"], è ben certo che tale nome (nel provenzale sonet) fosse impiegato nel designare in genereun componimento poetico musicato, e in particolare, come par probabile, un componimento di una certabrevità, quasi a dire "piccolo suono", breve melodia, secondo già Gian Giorgio Trissino e altriritenevano: "Il sonetto, il cui nome non vuol dire altro che canto picciolo, perciò che gli antiqui dicevanosuono a quello che oggidì chiamano canto.".
Lo schema rimico del sonetto è molto vario. Quello originario era
composto da rime alternate ABABABAB sia nelle quartine che terzine CDC DCD, oppure con tre rime ripetute CDE CDE, o ancora construttura ABAB ABAB CDE EDC. Quello in vigore nel Dolce stil novo introduceva nelle quartine larima incrociata: ABBA/ABBA, forma che in seguito ebbe la prevalenza. Il sonetto è pertanto un genere poetico che ha capacità poliedriche e risponde a funzioni diverse. 28– L’esperienza lirica Tasso: tra mito e autobiografismo La Canzone al Metauro è costituita da tre strofe di 20 versi come tutte le canzoni, alternanza di endecasillabi e settenari, schema di rime che si ripete identico in ogni strofa. Lo schema delle rime aBC aCB (forse scambio meccanico di versi) CDE eDFGGFHhFII; ci sono tre rime baciate tipica dei madrigali “chiuda/cruda” “valle/calle” “mali/strali”. È una poesia encomiastica diretta a un signore che si vuole lodare e nell’avvio si parla della figura a cui ci si rivolge ma
Non compare nessun nome è adombrato in una serie di immagini, il "figlio picciolo" è il né luogo, tutto fiume Metauro ed è un'apostrofe, il Metauro è definito "glorioso" perché là è sconfitto Annibale nella seconda guerra punica, il Metauro scorre a pochi km da Urbino, Tasso dice di cercare sicurezza e riposo presso le sue sponde cortesi e amiche poiché la corte di Urbino è ospitale e amica essendoci legame di amicizia col duca. Dopo l'immagine del fiume segue l'immagine dell'alta quercia poiché lo stemma della famiglia e si sottolinea l'espansione del ducato dai monti al mare: la potenza Della Rovere aveva una quercia della casata affonda le sue radice nella potenza di Roma antica ricordando la battaglia del 200 a.C. per cui i Della Rovere si nutrono degli antichi valori. La poesia viene collocata in un registro sublime, sia fiume che quercia sono personificati.
Siamo in quello stile grave come lo definisce Tasso, il più alto. C’è quindi elogio della casata e la richiesta di protezione, al centro è l’io con quel “fugace peregrino” ed occupa poi tutta la scena. I “dolcissimi umori” che lo riparano dalla sua amarache prende piedeesistenza, parla di un’ombra sacra ospitale che non nega a nessuno riposo e una dimora stabile doverisiedere. “mi raccoglia e chiuda” in una sorta di abbraccio protettivo, quasi un utero materno in mododa nasconderlo dalla “cruda e cieca dea” cioè la fortuna che a lui è stata avversa e che sembra trovarloe perseguitarlo nonostante lui cerchi di nascondersi da lei muovendosi di notte per vie solitarie e inincognito. La fortuna avversa lo saetta sempre non perdendolo mai di vista.
Dalla seconda strofa in poi l’attenzione e su Tasso stesso. Riprende l’idea su cui si è chiusa la prima strofa con la
Persecuzione della fortuna e dice che dal giorno in cui è nato è iniziata la sua esistenza mai serena e la fortuna è stata ingiusta e colpevole, e lo sa bene "la gloriosa alma sirena" perifrasi per indicare Napoli con la sirena Partenope da cui leggende vuole ebbe origine la città, e Tasso afferma che magari avesse trovato morte là e sepolto con degna sepoltura o in una fossa umile rimanendo ignoto. La fortuna è detta "ingiusta e ria" poiché lo ha colpito proprio nei legami familiari e infatti è detta anche "empia" perché lo ha divelto dal seno della madre quando era ancora bambino così come si divelgono le radici di una pianta. Tasso ha memoria dell'addio con i baci bagnati di lacrime e dolore, le ultime preghiere e raccomandazioni portate via dal vento, non era destinato a riabbracciare la madre con richiamo all'abbraccio metaforico della quercia che lui ricerca nella corte.
di Urbino. Quel “consospir mi rimembra” è una citazione petrarchesca di Chiare e fresche dolci acque: esempio di petrarchismo spersonalizzato, riprendendo il sospiro del ricordo di Laura fatto da Petrarca e ponendolo29– L’esperienza liricaTasso: tra mito e autobiografismo in un contesto diverso col sospiro angoscioso dovuto a una memoria drammatica di Tasso per la madre defunta, quindi Tasso cita i classici e li rinnova, li imita facendoli propri e innovandoli. Nella conclusione dice che con passi insicuri e incerti seguì il padre errante, così come lui stesso è peregrino, così come Ascanio figlio di Enea e Camilla poiché entrambi seguirono i padri nelle loro peregrinazioni: ecco che la vicenda personale di Tasso è nobilitata dalla storia antica. La terza strofa parla del periodo trascorso in esilio col padre, anni duri anche economicamente, è cresciuto col padre vagando da una corte all’altra e questadurezza degli eventi lo hanno fatto crescere prematuramente, il soggetto è "l'acerbità de' casi" cioè la crudezza dei casi mentre "l'acerbità de gli anni" cioè il crescere prematuramente quindi stessa parola con due significati diversi. Seguono tre interrogative retoriche in mezzo alla strofa: si chiede se debba ricordare le sventure del padre oltre che le sue, ma la sua vita è già sventurata quindi non ha senso crescere ulteriormente il suo dolore ricordando il dolore del padre, i suoi sospiri sono già abbastanza, "larghe vene di umor" sono le lacrime che già non bastano a sfogare le proprie pene: le domande retoriche richiedono la risposta ovvero che Tasso non parlerà delle sventure del padre. Si rivolge al padre che ormai è morto, dice di averlo pianto molto, e ormai che lui è in paradiso deve bisogna rendergli onore e non più lutto, a lui solo va.riservato tutto il dolore. Questo verso finale si può leggere in due modi: Tasso dovrà commiserare col suo canto solo se stesso, dopo aver posto in confronto la misera esistenza del padre e la propria, conclude che il