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Aristotele nell’opera sopracitata afferma che la funzione della memoria implica quella di tempo,

poiché non si può ricordare senza porre l’immagine nel continuum temporale. Egli, però, non

aggiunge che ciò può avere varie conseguenze. Ce lo ricorda sant’Agostino nelle Confessiones,

sottolineando come a distanza di tempo si possa contemplare nella memoria senza passione una

propria passione e come una gioia del passato possa divenire una tristezza e viceversa. Aggiunge,

inoltre, come possiamo addirittura ricordare l’oblio: per esempio, ricordando di aver dimenticato

qualcosa. Rilevante è il fatto che sant’Agostino appare affascinato e insieme spaventato dal

funzionamento della memoria. Splendido è il suo pensiero conclusivo, riportante l’ossimoro

«memoria umana» per l’opposto significato che in esso assume il tempo: quasi infinito nella

memoria, breve e mortale nell’uomo che la possiede.

La memoria del passato è raramente uno specchio proprio per l’azione del tempo, che agisce come

la vista: come un oggetto non si scorge bene se è troppo vicino o troppo lontano, così entro la

memoria un’immagine agisce e produce riflessi se è alla distanza temporale giusta, che si fa

distanza psicologicamente giusta.

1.2

Concetto dei luoghi mnemonici → quando, a partire da un elemento di una catena di fatti ricordato,

si risale al dimenticato (ES dal latte al bianco, dal bianco all’aria, da questa all’umido e di qui ci si

ricorda dell’autunno) → tutto questo perché i movimenti mnemonici sono correlati in un certo loro

ordine. A differenza del ricordo la reminiscenza è vera ricerca, una pesca nelle acque profonde della

psiche. Aristotele, infatti, parla di «substrato corporeo» e di lento affioramento di esso.

È proprio l’apporto razionale della ricerca nella anamnesi aristotelica a fare sì che Alberto Magno

nel commento al testo latino aristotelico De memoria et reminiscentia tenga ben separate la

memoria legata all’anima sensibile e la reminiscenza, operazione razionale, laddove per san

Tommaso la separazione non appare così definitiva. Inoltre, egli insiste sul fatto che la memoria,

agendo attraverso la reminiscenza, appartiene più all’anima razionale che a quella sensitiva.

Aggiunge poi che, sebbene in sé le cose passate non dirigono al futuro, l’operazione razionale

condotta sul passato mette un po’ in guardia → per questo e altri motivi, egli considera l’operazione

razionale sotto l’insegna della prudenza.

Sant’Agostino insiste, nelle sue opere, sulla non regolabilità del flusso memoriale: alcune immagini

si presentano subito, altre vanno ricercate più a lungo come se provenissero da segreti ripostigli. Si

stupisce di come un ricordo cercato intensamente a volte non si faccia trovare, comparendo poi di

sua iniziativa quando meno ce lo aspettiamo → conclude, così, che non possiamo controllare il

nostro io, solo interrogarlo.

Su questi concetti torna Zanzotto, un poeta moderno, il quale sostiene che non possiamo controllare

il flusso dei nostri ricordi. Spesso, infatti, veniamo addirittura trascinati dal vortice di un ricordo

sgradevole che non riusciamo ad allontanare. I ricordi hanno una loro strana legge → per questo

egli sostiene che il nostro cervello ci salva non perché ci fa ricordare, ma perché ci fa dimenticare.

L’aristotelica lacuna si fa allora difesa psichica.

Sereni, altro poeta moderno, parla di significati occulti che a un certo punto vengono fuori: di colpo

un fatto getta una luce retrospettiva su quello che era una cosa oscura e lo illumina. Così, il gioco

fra inconscio e conscio si inserisce nel processo memoriale.

La storica Frances Yates nota che dietro la ripetitività di fenomeni memoriali nel tempo vanno

separate le epoche in cui l’uomo di cultura doveva ricorrere a un’intensa memorizzazione da quella

in cui egli ha potuto usufruire di strumenti di annotazione, appunti, taccuini, ecc. Vari dantisti si

chiedono cosa abbia fatto Dante esule per l’Italia. Si pensi ai taccuini di D’Annunzio e di altri

autori.

Già la retorica antica distingue fra memoria rerum e memoria verborum.

Al fine di guidare gli oratori nell’uso strategico della memoria, alcuni manuali di retorica antica (ES Rhetorica ad

Herennium, opere di Quintiliano e di Cicerone, ecc) distinguevano:

memoria rerum memoria verborum

⬧ ⬧

ricordare il significato, le idee o i concetti ricordare esattamente le parole, le frasi di un

fondamentali di un discorso discorso

⬧ ⬧

si concentra sul contenuto non si possono fare variazioni del discorso che è

⬧ lascia spazio a una rielaborazione personale (ES stato composto

adattando il discorso alle varie circostanze) è più adatto a situazioni formali o a situazioni in cui

l’accuratezza è fondamentale (ES citazioni, poesie,

testi legali)

→ maggiore flessibilità → maggiore rigidità

Nella Rhetorica ad Herennium del I secolo a.C., testo di primaria importanza sui problemi della

memoria per tutta la cultura medievale, si segnala che la memoria ha bisogno di cose ed eventi

nuovi, rari, eccezionali, atti a suscitare reazioni di meraviglia. Infatti, se ricordiamo più

agevolmente e con più insistenza episodi della giovinezza, ciò si deve al loro essere consolidati

dallo stupore adolescenziale, che li vedeva come rari e straordinari. Naturalmente per un poeta un

elemento minimo della realtà può assumere in un contesto memoriale illuminato dalla poesia gli

stessi caratteri di un evento eccezionale. Poiché il poeta osserva il mondo con uno sguardo intenso e

profondo, la sua memoria segue una propria specifica grammatica della visione e gerarchia

memoriale, arricchita dai processi di analogia e metonimia, che aiutano a riscoprire i segni del

mondo, siano essi cose o parole.

Infine, un altro aspetto stimolante delle trattazioni che riguardano la memoria rerum, ma anche in

questo caso la memoria verborum, è il riconoscimento del potere mnestico della ripetitività

dell’evento e delle parole, antitetico al potere dell’eccezionalità appena ricordato.

1.3

La riflessione sviluppata in passato sul meccanismo memoriale ha portato pensatori e artisti nella

direzione di due campi metaforici specifici, che il linguista e filologo Weinrich ha etichettato

«metafore del magazzino» e «metafore della tavoletta di cera».

Metafora del magazzino Metafora della tavoletta di cera

⬧ ⬧

Memoria intesta come luogo di deposito di Memoria intesa come una tavoletta di cera che viene

informazioni, come una biblioteca; segnata dalle impronte (cioè, dalle informazioni);

⬧ ⬧

si pone l’accento sul recupero e sull’archiviazione si pone l’accento sulla formazione e sulla

delle informazioni (e, quindi, dei ricordi). cancellazione dei ricordi.

Il magazzino è la memoria, intesa come archivio nel La tavoletta di cera è la memoria, intesa come una

quale le informazioni vengono conservate e recuperate superficie su cui si scrive, si cancella, si rielabora

→ si ha un collegamento con l’ars memorativa al fine → si ha un collegamento con la scrittura in quanto

di immagazzinare e richiamare informazioni (e non a processo attivo di rielaborazione (e non passivo di

rielaborarle). conservazione).

Le metafore del magazzino si sono potenziate all’interno della mnemotecnica, nella quale l’ars

memorativa aveva bisogno di vari «luoghi» come contenitori delle serie di immagini necessarie a

costituire la memoria artificiale.

Le metafore della tavoletta di cera, invece, sono legate al modello mentale del libro della memoria,

per cui ovvio è il rimando sia al Teeteto di Platone, dove la tavoletta di cera è dono di Mnemòsine

(Memoria), madre delle Muse, sia agli Stoici e per il medioevo alla ricca documentazione di Ernst

Robert Curtius.

La Rhetorica ad Herennium collega e rende complementari le due metafore, paragonando: i loci (i

luoghi della memoria) a tavolette di cera o a papiri, cioè a superfici sulle quali scrivere; le immagini

mentali che si mettono in questi loci a lettere; la collocazione e la disposizione delle immagini nella

memoria alla scrittura (come se scrivesse sulla pagina della propria memoria); il recitare un discorso

alla lettura (come se lo si leggesse da quella pagina). Secondo Weinrich la prevalenza di questi due

campi metaforici rispetto ad altri possibili fa supporre che esse non siano solo immagini casuali, ma

che rappresentino modi fondamentali con cui le persone, nel tempo, hanno pensato e organizzato la

memoria nella mente.

Sant’Agostino e Dante usufruiscono di entrambi i campi metaforici. Il primo predilige le metafore

del magazzino: nelle Confessiones frequente è il campo semantico-metaforico del palazzo con porte

e spazi interni enormi e quando interviene la tensione poetico-drammatica si passa ad antri oscuri e

caverne.

Dante, invece, predilige le metafore del libro: basti citare il proemio della Vita nova, nel quale egli

va ben più in là dei suoi modelli costruendo attorno alla tradizionale metafora del libro della

memoria un intero campo metaforico a base di vocaboli spesso tecnici e riferibili alle due

operazioni della lettura e scrittura, entrambe metaforiche nei riguardi del libro della memoria

contrapposto al «libello» che egli si accinge a scrivere. Il campo metaforico si estende da termini

comuni come leggere, parole a vocaboli tecnici: rubrica, incipit, assemplare (= trascrivere da un

originale), sentenzia. È significativo, inoltre, l’uso di mente per memoria (come del resto in

sant’Agostino). Suggestivi sono gli indizi di come in quest’opera vada intesa la memoria rerum,

l’uso poetico di cose ed eventi registrati dalla memoria.

Nel capitolo II la prima esperienza amorosa ha luogo quando Dante e Beatrice hanno nove anni. Il

testo lascia intendere come in questa complessa opera la memoria risulta vincolata e condizionata

dal personaggio di Beatrice che va letto a più livelli. Quindi, memoria e immaginazione poetica si

sovrappongono e arrivano addirittura a fondersi: come Beatrice è insieme personaggio che un

tempo fu donna reale, evocato dalla memoria, e personaggio soggetto a una trasfigurazione

simbolica, da cui deriva una certa ambiguità (sua e del referto memoriale su di lei); così la memoria

stessa arriva ad assumere due funzioni: evocare un passato reale e farsi elemento della fiction, entro

cui la trasfigurazione simbolica del racconto la dirotta verso modelli culturali e codici (ES il numero

nove, il colore rosso, ecc). Il libello allora non è trascritto da un’autentica memoria esistenziale, ma

da una memoria che si innesta sulla immaginazione e sulla poetica dell’

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

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