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Capitolo Ottavo

Lo sguardo di Cristoforo non è preveggente, ma è il contrario, il narratore dice che quella è una speranza molto debole, attaccata solo ad una ragione affettiva. Questa citazione viene ripresa anche da Bassani nel suo romanzo "Il giardino dei Finzi-Contini". Descrizione del notturno che si rifà alla "Novella Heloise", ma al contrario dei personaggi di Rousseau, Renzo e Lucia non sono nobili ma contadini, non stanno facendo una gita sul lago, ma stanno scappando da qualcuno. C'è una riscrittura completa del contesto. È notte e come fa Lucia a vedere tutte queste cose nel dettaglio? Le vede perché le conosce, il paesaggio è affettivo, c'è un'insistenza sui luoghi che i due devono abbandonare. L'occhio di Lucia non è solo fisico ma anche psicologico, lei parla attraverso i gesti. Il modo in cui sono espressi i sentimenti di Lucia, non possono essere le parole.

Di una contadina, quindi è una specie di traduzione del narratore. ADDIO AI MONTI p 180. L'addio è il congedo di Lucia, attraverso le parole del narratore, a questi luoghi così cari a lei. L'addio è diviso in due parti: nella prima parte è un addio di qualcuno che si deve allontanare da luoghi familiari sperando di trovare qualcosa di più grande, come ricchezze; la seconda parte è un addio di qualcuno che è costretto ad andarsene dalla propria casa perché sono perseguitati. Quando in Manzoni si trova un "ma" è un segnale molto forte perché sta inserendo una discontinuità. Questo Addio finisce con un invito a fidarsi della Provvidenza. Nota di speranza. Manzoni viene inteso come lo scrittore della Provvidenza, ma egli sta dicendo cosa sta succedendo nell'animo di Lucia, non cosa pensa lui.

CAPITOLO NONO Si ritorna sui personaggi, perché li si vede nella loro realtà fisica e psicologica.

Autonomia del personaggio dal narratore, il personaggio ha il proprio mondo. Il narratore di secondo grado è come uno storico che deve integrare, correggere, e criticare ciò che dice l'Anonimo. I tre si separano, Lucia e la madre vanno nel convento di Monza, mentre Renzo va a Milano.

188. Manzoni sta usando la tecnica dello straniamento, sta descrivendo il monastero con gli occhi di Lucia che non l'avevano mai visto. Lo sguardo di Lucia è concreto, ha l'occhio della contadina, abituata a misurare. C'è un'interferenza, è come se il narratore si trovasse sulla scena. L'inquietudine è colta dal narratore non da Lucia o dalla madre.

Le osservazioni non possono essere dell'Anonimo, sono osservazioni di un narratore moderno, che sente la sofferenza intrinseca al personaggio. Negli occhi è come se ci fosse un'ombra, un odio che è stato represso. Il narratore indovina questa inquietudine interna che

sembra venire da un segreto. Anche il corpo, oltre al viso, tradisce una femminilità strana che era in contrasto con la femminilità del tempo e soprattutto nel comportamento delle monache. Gertrude tende a sottolineare la propria femminilità, ed fa uscire anche una ciocca di capelli, ed è come se la donna volesse ricomparire sotto l'abito della monaca. Ma non sono Lucia e Agnese a notare queste stranezze, è il narratore che quasi come un personaggio fisico sulla scena restituisce la descrizione della monaca. Infrange le regole del racconto, perché il lettore si deve calare nella finzione della storia, e facendo così è come se bucasse lo strato della finzione, ma Manzoni la ritiene importante per riuscire ad entrare nel mistero della Monaca di Monza. Gertrude fin dalla nascita ha il destino segnato, quello del convento, e Manzoni lavora sulla forza psicologica che viene esercitata sulla bambina, che è obbligata a giocare con.

Bambole vestite da monaca, ma fin dall'inizio si vede che Gertrude è totalmente distaccata dall'avocazione di monaca. La violenza non è fattuale, ma è costretta attraverso il forzamento psicologico, nuovo elemento del romanzo manzoniano.

Gertrude fa un atto di ribellione, scrive al padre dicendo che non desiderava più fare questa vita. La compagna che le dice di scrivere la lettera poi la prende in giro perché non riesce nel suo intento. Clima di ostilità e solitudine per Gertrude. Lei è sempre sola, in ogni occasione.

Il padre non le risponde, ma mette in atto dei ricatti psicologici. Rimozione, nessuno parla della lettera ma intorno ci sono dei comportamenti di collera e sdegno che isolano ancora di più Gertrude. Nella storia della monaca si svolge qualcosa di non detto che pesa come un macigno. È come se lei fosse in un cerchio magico da cui non poteva uscire. La famiglia la isolano e sono complici tra di loro.

Gertrude cerca di dire loro che ha bisogno delle loro attenzioni, ma ritorna la questione della sua monacazione. Il ricatto psicologico è sempre allusivo. All'inizio Gertrude cerca di resistere, e cerca dell'affetto anche dai servitori che sembrano invece isolarla come i suoi parenti. Lei non tollera più la sua condizione. Per uscire dal convento farebbe di tutto anche se malvagio. Il capitolo si conclude con la resa di Gertrude.

CAPITOLO DECIMO

Nell'incipit, Manzoni rileva la sensibilità dei giovani, "in alcuni momenti i giovani sono in una condizione di fragilità estrema quindi chi è davanti a loro può ottenere tutto, nel bene e nel male". E in questi momenti quando si dovrebbe avere il massimo rispetto, ci sono persone che invece li manipola.

A violare psicologicamente Gertrude è il padre, che diventa il suo peggior nemico. In Rousseau e Foscolo i padri sono descritti come buoni, amano le figlie ma le

sacrificio della conversa è un segno di redenzione per Gertrude. La sua morte è un atto di purificazione per la protagonista. Inoltre, Manzoni non ammette l'ambivalenza nella figura del padre. Egli è rappresentato come un tiranno che fa del male alla figlia con astuzia. Le conseguenze di questa manipolazione sono evidenti: Gertrude vede nel cortile un giovane di nome Egidio e si innamora di lui. Questa passione viene paragonata alla bevanda data al condannato a morte per sopportare la propria pena. Egidio diventa un veleno per Gertrude e lei si sente come una condannata a morte. La posizione di Manzoni è ambivalente: condanna la relazione tra Gertrude ed Egidio, ma allo stesso tempo vede Gertrude come la vittima. Non viene esplicitamente detto che la conversa sia stata uccisa, ma la reticenza fa capire che sia accaduto. Gertrude è perseguitata dal suo spirito, che viene paragonato al rimorso che prova. In conclusione, la morte della conversa rappresenta un sacrificio di redenzione per Gertrude e la sua relazione con Egidio è vista come un percorso di autodistruzione.rimorso è uno dei temi del Romanticismo, il cui modello era Shakespeare soprattutto "Macbeth", il rimorso dell'omicidio ossessiona la mente di Lady Macbeth come ossessiona lamente di Gertrude. Sia la storia di Gertrude che Lucia al castello dell'Innominato sono debitrici al genere gotico inglese. CAPITOLO QUATTORDICESIMO Renzo si trova a camminare e sente dei progetti di rivolta per il giorno dopo e non riesce a trattenersi dal dire la sua. Il narratore ironizza sul personaggio di Renzo, perché ancora non conosce nulla, non ha fatto nulla, ma dato che ha vissuto quest'avventura, crede di essere un uomo di mondo. Anche Renzo si sente vittima di un'ingiustizia quindi vuole dire che bisognerebbe fare in modo che le cose nel mondo andassero meglio. C'è un'allusione alla sua storia personale che non viene restituita, e che viene equivocata, in quanto viene preso per uno degli organizzatori della rivolta. Da un lato il narratore ci favedere Renzo com'è, un ingenuo ma ha anche ragione. Però sedelle persone sono ingenue non significa che sbagliano a dire quello che dicono, sono ingenuema possono avere ragione. La crescita di Renzo non sarebbe stata possibile se esso fosse rimasto nel paese. Lamaturazione per accadere però deve coinvolgere un soggetto disposto all'apertura. La prima volta che Renzo si trova a Milano, ha uno sguardo ingenuo, lui non aveva mai vistonulla del genere e non conosceva le cose che stavano accadendo intorno a lui. Manzoni recupera il topos del montanaro inurbato, colui che era sempre vissuto all'interno diuna comunità chiusa di paese si trova improvvisamente a contatto con la grande città. Divaricazione tra narratore, il parere e i commenti del narratore, e la visione del personaggio,i due rimangono distinti. La passione che Renzo mette nel suo discorso fa presa sulla folla, ma non basta solocoinvolgere emotivamente l'uditorio per.

Perché anche lui è una spia, quindi ne deduce che Renzo o è una spia oppure qualcuno che deve essere catturato. Ci sono punti in cui Manzoni non è più un narratore onnisciente, ma lascia spazio ai personaggi, in modo che possano raccontare loro. Renzo si trova in un ambiente ostile ma non rinuncia ad esporsi e anche si ubriaca, e questo lo rendono una vittima.

Pagina 302. Mentre è ubriaco Renzo se la prende con i signori che sanno scrivere, che con la penna perpetuano i loro soprusi, usano la penna per approfittare dei deboli. Manzoni condanna una cultura che nelle mani dei potenti diventa sopruso e lo fa attraverso i personaggi.

Nel discorso di Manzoni entrano anche delle osservazioni laterali, l'occhio del narratore è fisso sulla scena e nota anche particolari che sfuggono a Renzo. In realtà non c'è un'adesione sincera alle parole di Renzo, ma la gente è allegra dal vino, sono allegre le persone che.

Stanno vincendo ai giochi, quindi la conversazione è tutt'altro che una conv
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A.A. 2022-2023
42 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gaiavuerich2307 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Conte Silvia.