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Raimondo (1809)
Giacomo bambino era un tipo che si sarebbe potuto confondere con gli altri. Anzi, no. Lo si sarebbe confuso con un qualsiasi bambino della sua classe sociale. Con due rapidi calcoli, diciamo che lo si sarebbe potuto confondere con il 5% dei bambini della sua epoca. I suoi amici migliori furono suo fratello Carlo e sua sorella Paolina, che in famiglia chiamavano Pilla. Quelli che abitavano fuori dal palazzo li incontrava ogni tanto e loro vedevano in lui soprattutto il rampollo ricco e viziato, quindi - per essere onesti - non è che fosse proprio simpatia quella che nutrivano nei suoi confronti. Da piccolo stava con il padre, più grandicello veniva accompagnato dai domestici e poi dagli istitutori, quando iniziarono a essercene in casa.
Pensa che aveva ormai quasi 20 anni quando uscì di casa da solo per la prima volta... E non finisce qui. Considera che, per un nobile che cresceva all'inizio del XIX secolo, andare per strada comportava anche un rigido
Codice di abbigliamento. Giacomo indossava cose che i coetanei cresciuti attorno a lui invidiavano o non apprezzavano e in tutti e due i casi la reazione era di invidiosa aggressività: le scarpe, le calze fini, gli abiti di tessuti pregiati e con i bottoni, gli sbuffi e i merletti.
"Studio matto e disperatissimo". La sua colonna vertebrale era curva e le ragioni esatte non si conoscono perché all'epoca la medicina aveva molte meno risposte di oggi, ma potrebbe essersi trattato di tubercolosi ossea o del morbo di Pott o forse di cifosi ossea o rachitismo. Leopardi non divenne gobbo stando chino sui libri, ma per una malattia, che lo avrebbe fatto soffrire qualsiasi fosse stato il suo stile di vita. In certi momenti gli divenne difficile studiare perché i dolori erano oggettivamente molti e perché gli organi colpiti erano tanti, dagli occhi ai polmoni e alle viscere. Fin da piccolissimo Giacomo si dimostrò curioso di conoscere e portato per lo studio.
Monaldo si entusiasmò a dismisura quando intuì che il figlio aveva il potenziale del genio. Iniziò quindi da subito a esporlo al fortunato contagio della cultura. (la famiglia Leopardi disponeva di una biblioteca imponentissima, e in quanto nobile avrebbe dato ai figli un'istruzione di tutto livello attraverso istitutori privati.) A prendersi cura dell'istruzione di Giacomo, Paolina (Pilla per gli amici) e Carlo furono per primi don Sebastiano Sanchini e il pedagogo (cioè uno che si occupa dell'istruzione dei ragazzi ovvero sempre un istitutore) don Vincenzo Diotallevi. Correva l'anno 1807. Nel 1811 a Giacomo pare di poter aggiungere, all'attività con gli istitutori, un po' di studio da autodidatta (ossia fai-da-te) e così impara a scrivere correntemente in ebraico, spagnolo, inglese e francese. Greco e latino li maneggiava già con disinvoltura. Due anni più tardi ottiene un risultato straordinario: tramite ilpadre riceve dal pontefice lalicenza a leggere i libri messi all'Indice, cioè i libri proibiti. Intendiamoci: si trattava di testi che contenevano idee, teorie e concetti che la massima autorità religiosa riteneva potenzialmente pericolosi. Questo permesso significava, insomma, che il suo livello di competenza era tale da permettergli di affrontare il "rischio" di aprire le pagine di testi da cui parecchi adulti di gran fama venivano tenuti alla larga perché non ne fossero influenzati negativamente. La definizione "studio matto e disperatissimo", riferita a questo periodo della sua vita, è di Giacomo stesso. E non lo si tiene più: scrive e scrive e scrive e, per fortuna, la sua penna non si fermerà.- Periodo di disagio fino ad arrivare alla fine dello "studio matto e disperatissimo" Bloccato in uno splendido palazzo, circondato da un mondo meraviglioso, con in mano le chiavi per spalancare l'universo, ma conl'assoluta incapacità di raggiungerlo. Il primo problema è che non ci sono soldi e già questa è una gran brutta notizia. Il secondo problema è che la madre non gli avrebbe mai concesso di andarsene. E Monaldo è un conservatore che, sebbene colto e amante della cultura e visionario e avanti per i tempi, non ha in sé lo spirito del viaggiatore.
Per Giacomo fu una sofferenza terribile. La grande era dello studio totale finì nel 1819, quando le condizioni fisiche di Giacomo ebbero un brusco peggioramento. Fu un anno orribile, in cui Giacomo visse anche una forte crisi religiosa. In effetti... nel 1816 Giacomo mette mano a carta e penna per scrivere un testo poetico intitolato Appressamento della morte e cioè "avvicinamento" alla morte.
Per la precisione, è un poema in cinque canti. Il tema è ovvio: si sentiva a un passo dalla tomba, tanto era provato su tutti i fronti. Però scrivendo scopre ciò
che gli dà sfogo, che gli fa toccare orizzonti all'apparenza irraggiungibili e che gli dà la visione di un futuro di fama che sorpasserà il buio della morte: scrivere poesie! E un'altra grande opportunità gli si dipinge in mente: magari lui non può viaggiare, ma le sue parole possono arrivare ovunque e trovare chi risponda. Proprio in questo periodo comincia lo scambio epistolare (cioè di lettere) con un amico di penna che non lo lascerà mai: Pietro Giordani. Pietro Giordani era di ventiquattro anni più grande di Giacomo e divenne la sua figura adulta di riferimento nel mondo. Iniziarono a scriversi nel 1817 e Pietro rimase molto colpito dalla cultura e dalla sensibilità di Giacomo. Anche se non lo trovi nelle antologie di scuola, Pietro Giordani fu un letterato molto importante: tra le menti che fondarono riviste e istituti culturali, fu una voce forte nel dibattito tra Romanticismo (che qui riassumo in "impeto e passione") e Classicismo (che qui riassumo in "ordine e razionalità").assalto" per praticità) e Classicismo (con il richiamo ai classici della Grecia antica, alla mitologia e agli stili rigidi). Fu proprio grazie a Pietro Giordani che Giacomo mise per la prima volta piede fuori dal territorio di Recanati. L'amico gli scrisse che sarebbe passato dalla sua città, Recanati, e che gli avrebbe fatto piacere incontrarlo. Pietro era tutto fuorché sciocco e fece in modo che il loro incontro coincidesse con un momento speciale per il giovane amico: lo caricò in carrozza e lo portò a Macerata! Giacomo gliene fu gratissimo. E forse, nella fascinazione per Pietro, pesò un pochino anche il fatto che Giordani avesse idee opposte a quelle di Monaldo Leopardi. L'amico di Giacomo era fortemente liberale, mentre il padre era un convinto conservatore. Va qui detto, con un certo pudore, che nel 1819 Giacomo provò pure a organizzare una fuga da casa. Ma Monaldo lo beccò appena oltrepassata la soglia e la questionefinì lì. C'è tutto un mondo intorno! Chiudere in casa quel tesoro di ragazzo ormai era più una crudeltà che una scelta e (finalmente!) i signori Leopardi decisero di concedere al primogenito il regalo di un viaggio vero. Non da solo, per carità, ma al seguito di uno zio che nel novembre 1822 partì per Roma. Roma! Il cuore dello Stato Pontificio! Il cuore dell'Impero Romano! Il luogo di cui aveva studiato tutto! Le sue aspettative forse erano esagerate ma è altrettanto vero che la Roma di cui aveva letto non esisteva più da secoli: l'Urbe era ormai una grossa città caotica, sporca, frequentata da persone che anche quando non valevano molto avevano grandi pretese ed erano sbruffoncelle e arroganti. Il merito era pressoché sconosciuto e lo sostituivano le amicizie, le parentele e le raccomandazioni. Aggiungi a tutto questo che Giacomo non aveva molta dimestichezza con la vita dei salotti: era un po'Giacomo è un intellettuale che frequenta i salotti buoni nelle città in cui si trova durante i suoi spostamenti. Gli intellettuali apprezzano il suo talento, la sua vasta conoscenza e il suo umorismo tagliente. Durante i suoi viaggi, Giacomo si innamora di alcune signore, ma non viene ricambiato. Una di queste signore è Teresa Carniani Malvezzi di Bologna, una donna molto colta. Un'altra donna che cattura l'attenzione di Giacomo è Fanny Targioni Tozzetti, che illumina gli ambienti letterari di Firenze. Questi amori non corrisposti lasciano cicatrici nell'anima innamorata di Giacomo. Giacomo soggiorna in diverse città tra il 1825 e il 1837, anno della sua morte. Le città in cui si trova includono Milano, Firenze, Bologna, Pisa e Napoli. Ogni tanto fa ritorno a casa, anche se non sempre volentieri.Collabora con degli editori! Per l'Editore Stella di Milano, per esempio, in cambio di uno stipendio, cura le edizioni dei classici e comincia con le Rime di Francesco Petrarca (altro fighissimo della letteratura). Proprio con Stella pubblicherà anche lavori propri, come le Operette Morali, che poi parteciparono a un concorso letterario arrivando ultime con un solo voto (di chi vinse non si ricorda il nome, e non è un caso).
Gli ultimi anni, in ottima compagnia!
A Firenze, nel 1831, Giacomo incontra quello che poi diventerà il suo migliore amico: Antonio Ranieri. Se possiamo immaginare che Pietro Giordani sia stato per lui un padre dell'anima, Antonio diventa il fratello del cuore.
Antonio Ranieri era napoletano ma nella sua città non ci poteva stare. In Italia erano cominciati i moti (cioè i movimenti) di quello che poi venne chiamato Risorgimento (cioè il momento in cui la gente vuole liberarsi dal dominio straniero e unirsi in un nuovo stato).
Stato, che sarà l'Italia) e non è un passaggio senza rischi e senza scontri. Ranieri era quello che oggi consideriamo un patriota ma che per il suo tempo era, agli occhi della polizia borbonica (i Borboni erano la casa regnante su Napoli), l'equivalente di un terrorista. Antonio e Giacomo vanno subito d'accordo, per quanto siano diversi. Giacomo è come lo conosci e Antonio è il suo opposto: un simpaticone, un abile corteggiatore e un tessitore di relazioni. Il punto comune è che entrambi sono istruiti, consapevoli del valore del sapere e visionari. Considera che poi Antonio diventerà prima deputato e poi senatore del Regno d'Italia. Quando Ranieri riesce a tornare a Napoli porta Giacomo a vivere con sé. Sono sempre a corto di denari, la salute di Giacomo peggiora a vista d'occhio, ma insieme le supera tutte. Fino a dove possibile, almeno. Giacomo, con il passare del tempo, ha sviluppato abitudini molto particolari: gliMi piace leggere e scrivere dal tardo pomeriggio fino a notte fonda, quasi all'alba, e poi dormire fino a giorno inoltrato. Forse per recuperare tutte le energie.