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Introduzione

La lirica prende le mosse da una situazione concreta legata al vissuto recanatese del poeta, ma subito la trascende nell'intuizione di un'avventura della mente (S. Agosti). Il poeta, stando (seduto?) su un colle solitario davanti a una siepe che gli impedisce in parte la vista del panorama circostante, riesce, nel contatto con la natura, a concepire in sé stesso l'idea dell'infinito spaziale; e, dopo aver udito lo stormire del vento (la sensazione uditiva richiama il soggetto poetante all'hic et nunc, all'esperienza immediata del presente), concepisce anche l'idea dell'infinito temporale: la sua mente, penetrando così nei due "infiniti", che si fondono via via in uno, e toccando i termini ultimi della capacità di comprensione umana, 'si smarrisce' ('perdendo il controllo razionale') in un dolce naufragio nel Tutto. La riflessione del poeta non è qui "desolata", come altrove,

ma «infusa di una sublime pace». La struttura della lirica vede tale itinerario di conoscenza articolarsi secondo 'momenti': il primo (vv. 1-3) rappresenta un'abitudine contemplativa grata al poeta, seppur segnata da un limite (esclude). Il secondo 'momento' (vv. 4-13) si sviluppa secondo un duplice processo: prima (vv. 4-8) l'autore riesce a <immaginare> un infinito spaziale a partire proprio da quel limite alla visione che, escludendo il <<reale», stimola il suo «fantasticare>; poi (vv. 8-13), dal confronto tra l'infinito silenzio e lo stormir del vento, egli riesce a 'evocare' l'idea di un infinito temporale, l'eterno, a cui si associa - per contrasto - il pensiero delle epoche ormai passate e della presente, destinata anch'essa a perire. Il terzo 'momento' (vv. 13-15) vede l'io lirico perdersi felicemente nel mare dell'immensità. La volontà

dell'autore nella materialità del testo: La lirica fu composta a Recanati nel 1819 (anno della cosiddetta "conversione filosofica"). Tutto il processo elaborativo del testo (allo stato attuale delle conoscenze) risulta perduto. L'infinito è la prima delle liriche che, scritte tra il 1819 e il 1821, risultano denominate dal poeta - nella pubblicazione del 1825 e nella stampa del '26 - come "idilli". Secondo un appunto del 1828, <«<idilli>»> per Leopardi sono, innanzitutto, "esperimenti, situazioni, affezioni, avventure storiche del suo animo", ossia scritture liriche legate a particolari momenti interiori. Della tradizione dell'idillio Leopardi si era occupato qualche anno prima della stesura dell'Infinito. La circolazione e la fortuna del testo: A fronte di una popolarità diffusa, soprattutto in Italia (con un'interessante attenzione del mondo giovanile), che di recente è stata

fecondamente nutrita anche dall'esperienza cinematografica, e al cospetto di una bibliografia critica ricca e in continuo accrescimento, la "fortuna" dell'opera di Leopardi - negli anni - non ha conosciuto una vicenda lineare di luminoso fulgore (e questo vale anche per i testi più celebrati, oggetto di numerose indagini specialistiche, presenza pressoché costante nei programmi scolastici e universitari, memoria condivisa da molti). Le linee portanti della più recente critica non solo hanno visto la rivalutazione di Leopardi filosofo (già negli anni Settanta del Novecento, tra le diverse opzioni valutative, si assimilò l'esperienza del Recanatese a quella di altri letterati sette-ottocenteschi lungo una linea di pensiero definita dell'"illuminismo nero", che finì poi per trovare un sbocco significativo in Nietzsche), ma hanno anche registrato la sua collocazione tra i precoci decostruttori della metafisica.dell'umanesimo e, quindi, entro il cuore pulsante del destino dell'Occidente nel passaggio fra l'attuazione del moderno e i suoi primi segni di crisi. Alla dimensione del nulla si lega la definizione della "noia" come momento fondamentale di quella teoria del piacere che l'autore viene elaborando in questo arco di tempo. La "noia" è assenza di sensazioni: il che costituisce il dato dominante della condizione umana, dal momento che l'individuo solo in alcuni momenti della propria esistenza prova piacere o dolore. Assenza di sensazioni, però, vuol dire desiderio insoddisfatto e incolmabile di piacere: desiderio allo stato puro. L'incolmabilità del desiderio, ossia la "noia", è pertanto il sentimento del nulla, in quanto, come si è detto, il mondo è nulla per l'uomo perché niente in esso e di esso può soddisfare il suo tendere, connaturato alla sua natura, verso un piacere.

Introduzione

Proponiamo la lettura delle battute conclusive dei Promessi sposi, dal capitolo 38°, l'ultimo del romanzo.

Una serie di eventi ha sconvolto piani e situazioni. Lucia, rapita dall'Innominato su commissione di Don Rodrigo (che ha contrastato il matrimonio con Renzo, dando così inizio alla vicenda romanzesca), ha trovato proprio nel suo aguzzino l'insperato salvatore: l'Innominato, feroce delinquente da tempo schiacciato da una profonda crisi di coscienza, decide di rinunciare alla sua vita delittuosa. Intanto la peste terribile che nel 1630 spopola Milano fa morire lo stesso Don Rodrigo. Renzo (sul quale - pur innocente - pende una condanna a morte per sedizione) può così rientrare impunemente in una Milano devastata, nella quale è assente ogni autorità politica e civile, per mettersi alla ricerca di Lucia.

Questo punto i fili della trama si riannodano e i due giovani possono finalmente ricongiungersi. Anche se andranno a vivere a Bergamo (che faceva parte di un altro stato: la Repubblica di Venezia), dove Renzo ha lavorato come filatore di seta, i due giovani celebrano il loro matrimonio nel paesello natio. Morto don Rodrigo, un nuovo signore, più umano e buono (il "Marchese"), prende possesso del castello locale; don Abbondio, finalmente liberato dalle sue paure, celebrerà il matrimonio. Sembra dunque che tutto converga nella direzione dell'immancabile e romanzesco "lieto fine".

La storia di un matrimonio impedito da un prepotente (come è quella raccontata nei Promessi sposi) riprende uno schema narrativo comune a tanti romanzi (e poi a tanti film): una situazione di quiete e di serenità (appunto un "idillio": la felicità che i due giovani sposi si ripromettono) viene sconvolta dalla violenza di un prepotente (il vilain Don).

Rodrigo, incapricciato della sposa), ma dopo infinite peripezie gli impedimenti sono rimossi e gli sposi possono finalmente convolare a giuste nozze. Il disordine introdotto dalla violenza viene insomma ricomposto in un lieto fine che rassicura il lettore: l'ingiustizia è punita e il bene trionfa. Un esito ottimista che da sempre consola il lettore di romanzi, che trova così in essi un ordine morale e una giustizia che vengono invece troppo spesso negati nella realtà. È proprio questo esito ingannevole e consolatorio che Manzoni rifiuta: e anche nel momento in cui racconta l'esito positivo di quella vicenda, ci ricorda come dolori e ingiustizie siano sempre incombenti sugli uomini, sottoposti, "per colpa o senza colpa" alla violenza tumultuosa della storia. Nelle ultime pagine del romanzo la storia, per così dire, sembra trascinarsi. Non solo Manzoni ci racconta del matrimonio finalmente celebrato e della gran festa offerta dallo stesso buon<p><strong><em><Marchese</em></strong></p> <p>(quasi a riparare i torti compiuti dal suo pa- rente e predecessore, don Rodrigo), ma lo scrittore si sofferma a raccontare le piccole minutependenze: la vendita dei pochi beni di Renzo; il trasferimento nella nuova residenza nel bergamasco ecc.</p> <p><strong>Analisi</strong></p> <p>Già dalle prime battute del passo riportato compare la caratteristica 'dialogicità della parola manzoniana. Il Narratore dei Promessi sposi - lontanissimo dal canone dell'impersonalità che si affermerà nella narrativa del secondo Ottocento - interviene continuamente nel testo con commenti e considerazioni, non soltanto appellandosi direttamente ai lettori ('Non crediate...'), ma anche chiamando in causa l'Anonimo (una figura fittizia, naturalmente, inventata da Manzoni), quasi inserendolo in una ideale triangolazione comunicativa. Il Narratore riporta spesso le opinioni dell'Anonimo, prendendo da esse ironicamente le distanze (è del resto un uomo del Seicento,</p>con i pregiudizi e i limiti del suo tempo) e offrendo così al lettore una pluralità di punti di vista. Come un attore si reca sul proscenio a raccogliere l'applauso finale del suo pubblico, così il Narratore/Manzoni si congeda dai suoi lettori: ma a congedarsi sono appunto in due, l'Anonimo seicentesco e il Narratore ottocentesco: due attori che si sono confrontati quasi inscenando un dialogo. Alla dialogicità caratteristica della parola romanzesca manzoniana corrisponde la ricerca di un stile volutamente quotidiano e colloquiale. Il tono ironico di cui fa le spese l'Anonimo si traduce in una presa in giro che ricorre a forme espressive ma garbate: un lessico e modi di dire di sapore famigliare ("passategli anche questa"; "si figura che ci si deve star benone"; "bernoccolo"; la "storia di prima"); espressioni desunte dall'esperienza quotidiana (è il caso della metafora dell'Anonimo, che

Il Narratore definisce "tirata un po' con gli argani". Un romanzo costituisce sempre un universo relativamente autonomo, in cui il lettore entra, quasi preso per mano dal Narratore. Ma la sua conclusione è il momento in cui l'universo narrativo/finzionale si chiude e, per così dire, diventa un'ipotesi sul mondo.

Concludere un romanzo significa sempre assumersi, da parte dello scrittore, una grande responsabilità etica: la sua visione del mondo vive soprattutto nell'eco che il romanzo lascia dietro di sé, dopo che se ne è chiusa l'ultima pagina. Così, Manzoni non si limita a concentrare in poche battute il "sugo della storia" (il suo significato morale), ma prolunga la conclusione del romanzo, non già raccontando la vita normale dei protagonisti (una vita piatta e felice che, proprio perché tale, "seccherebbe a morte" il lettore) ma facendo intravedere l'esistenza della

vita reale, così lontana dall'eccezionalità delle peripezie romanzeche. Se dunque la storia ha un "lieto fine", Manzoni non vuole che passi al let.
Dettagli
A.A. 2022-2023
41 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiarapollastri di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura e lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Bonazzi Alessandra.