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L'interesse della Direzione Generale per la Cinematografia verso la Mostra cinematografica di Venezia
L'interesse della Direzione Generale per la Cinematografia nei confronti della Mostra cinematografica di Venezia è naturalmente molto elevato: la Direzione vede nella manifestazione del Lido il luogo privilegiato in cui il riformato cinema italiano possa ottenere la consacrazione internazionale. A partire dalla terza edizione del festival della Biennale si assiste dunque all'infittirsi di una ragnatela di condizionamenti politico-economici sulla Mostra lagunare: pressioni intese dal regime come parte integrante della politica governativa di supporto alla cinematografia nazionale. L'influenza del fascismo sulla Mostra è messa in atto in varie forme: dalla creazione di premi di diretta emanazione governativa, all'equilibrio politico ed economico nella composizione della giuria, all'intervento di organismi industriali transnazionali di cui la Mostra diviene presto prestigiosa vetrina, al sistematico boicottaggio di determinate cinematografie.
Modifiche al regolamento nella scelta dei film in gara. Il progressivo snaturamento dell'autonomia della Mostra è ulteriormente intensificato nel 1936, all'emanazione di un Regio Decreto che disciplina con nuove norme il funzionamento della manifestazione e accresce il controllo del Ministero per la Stampa e la Propaganda sul festival di Venezia.
La Mostra diviene dunque albero motore delle iniziative di propaganda governativa, simbolo delle ambizioni culturali del regime e della dichiarata volontà di mantenere l'Italia nel quadro della politica internazionale. Di anno in anno, la presenza del governo nelle edizioni del festival si fa sempre più stringente. Nel 1935 il fascismo entra nel merito del giudizio dei premi della Mostra, con la creazione di riconoscimenti direttamente conferiti dal regime. Le pressioni di regime per privilegiare le produzioni italiane e tedesche rispetto a quelle di altri paesi democratici divengono a ogni edizione sempre più evidenti.
più inequivocabili.
6.2 Il controllo industriale della Mostra: la Camera Internazionale del Film
Oltre a questa politica italiana volta all’accentramento delle attività cinematografiche nazionali, negli stessi anni vi sono grandi manovre di coordinamento industriale per tutelare la produzione, che, nate sotto l’apparente necessità di difendere la categoria a livello internazionale, svelano ben presto la loro natura di condizionamento politico ed economico nei riguardi dell’autonomia della Mostra veneziana.
Questa politica di coordinamento industriale è manovrata dalla Germania, che preme per la creazione di un’organizzazione internazionale unificata che protegga la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico. Il progetto di questa sorta di sindacato di categoria della produzione si concretizza nel 1935, anno in cui viene creata a Monaco di Baviera la Camera Internazionale del Film (CIF).
L’abilità diplomatica
dei tedeschi nei primi anni della CIF si delinea nella loro capacità di proporre l'affiliazione alla Camera sotto il profilo esclusivamente professionale, riuscendo inizialmente a far aderire al nuovo organismo, oltre all'Italia, la Francia e l'Inghilterra. Francia e Italia vedono in questo progetto una prospettiva di sopravvivenza dinanzi allo strapotere americano nei mercati europei. Ma i nazisti nutrono ambizioni di supremazia all'interno dell'organizzazione, identificando nella Camera lo strumento tramite il quale uscire dall'isolamento economico e ideologico e promuovere la propria cinematografia a scapito dei partner europei. La Mostra cinematografica di Venezia diviene parte integrante del progetto del cartello politico-economico, trasformandosi in vetrina della produzione cinematografica dei paesi che aderiscono alla Camera del Film ed emarginando sempre più le produzioni statunitensi e sovietiche. La Mostra veneziana patrocina lanascita della CIF nel 1935, e se ne serve per osteggiare la creazione di festival concorrenti. A partire dal 1936, la selezione della giuria internazionale della Mostra viene nominata attraverso un attento bilanciamento nazionale delle forze che aderiscono alla CIF. Dal 1936 in avanti, le decisioni delle giurie della Biennale privilegiano sempre più le produzioni degli stati membri della Camera. Gli stessi regolamenti della Mostra sono adattati e rimaneggiati più volte per proporzionare i film a seconda della capacità produttiva di ciascuna industria e per equilibrare i pesi e i contrappesi nella mescolanza dei vessilli. Lo scontro di interessi in gioco nella Mostra di Venezia in fase di calibratura delle presenze e dell'assegnazione dei premi, a partire dall'edizione del 1938, giunge al fine ad un momento di rottura: il festival è oramai incapace di assicurare la composizione degli antagonismi economici che ancora vigeva nelle passate edizioni.contrasto politico tra le nazioni, alle soglie dell'imminente conflitto mondiale, porta allo snaturamento completo delle finalità originarie della manifestazione veneziana, del tutto succube alle manovre politico-economiche. Gli accadimenti dei mesi successivi si susseguono in rapida scansione: nel 1939 il governo francese annuncia che non avrebbe mandato a Venezia alcuna pellicola, nello stesso anno gli Stati Uniti d'America si ritirano dalla competizione, seguiti dagli inglesi l'anno dopo. Ad accelerare le defezioni internazionali interviene nel 1938 il decreto-legge italiano che nazionalizza l'acquisto e l'importazione dei film stranieri. La Francia non ha più alcun interesse a partecipare alla Camera Internazionale del Film, e quindi non si cura più di attenersi al regolamento della CIF. Nel 1939, i francesi annunciano l'imminente creazione di un grande festival cinematografico che avrebbe sfidato la Mostra veneziana. Il nuovofestival francese, però, non ha luogo a causa dello scoppio della guerra, e viene rimandato di sette anni. Nel cupo clima che avvicina l'Europa al conflitto bellico, i propositi dei primi organizzatori della Mostra veneziana lasciano il passo alle esigenze politiche e di mercato che il festival oramai interamente si trova a incarnare.
L'evoluzione bellica del panorama politico internazionale darà infine alla Mostra di Venezia una fisionomia del tutto inequivocabile: la Mostra del 1940 muta anche la propria denominazione, trasformandosi in Settimana Cinematografica Italo-Germanica.
Abbandonata ogni pretesa di giocare la contesa tra nazioni sul terreno della cultura e dell'arte, l'esposizione internazionale d'arte cinematografica si è così definitivamente tramutata in affare privato tra Italia e Germania. Nel 1942 la Mostra chiude i battenti, che saranno riaperti quattro anni più tardi, a conflitto terminato.
167 - Il
dopoguerra7.1 Il festival delle arti di Roma, 1945
Nel marzo del 1945, a guerra ancora in corso, alcuni intellettuali e personalità della cultura vicine al movimento resistenziale propongono la creazione di un nuovo festival da tenersi a Roma, al fine di favorire la rinascita artistica e culturale della capitale. Nel giro di pochi mesi, tra mille difficoltà, si riesce ad organizzare presso il Teatro Quirino il Primo Festival Internazionale d'Arte Cinematografica, Drammatica e Musicale, che inizia le proprie attività con la sezione cinema il 22 settembre 1945. Alla manifestazione cinematografica, che presenta numerosi film inediti inglesi, francesi, sovietici e italiani, fanno seguito il festival musicale e quello del teatro.
"Ma la 'epurazione' di Venezia, così come tutte le altre epurazioni, ebbe vita breve: nel '46 il cinema poteva già rivivere il suo mito lagunare sotto forma di 'manifestazione', nel '47 la
‘manifestazione’ si richiamò ‘Mostra’, nel ’48 tornò a svolgersi nel Palazzo delCinema al Lido, restaurando i riti mondani dell’anteguerra. Del festival di Romaovviamente non si parlò più.”
7.2 Il cinema e lo scontro ideologico dopo le elezioni del 1948
Le dinamiche politico-sociali che attraversano il panorama complessivo della società italianaall’avvento della democrazia si riflettono sul ruolo che la Mostra del cinema di Venezia si trova aincarnare negli anni del dopoguerra. Nel 1948 accade un evento decisivo per le sorti della nazione: lasconfitta del Fronte democratico-popolare alle elezioni amministrative e la conseguente esclusionedel Partito Comunista e del Partito Socialista dal governo italiano. Si afferma un nuovo blocco dipotere interclassista che si avvale dell’appoggio interno della Chiesa cattolica ed esterno degli StatiUniti.
Nello stesso periodo il controllo governativo sulle
manifestazioni culturali apre al prodotto consumistico e commerciale, operando, nello stesso tempo, forti censure nei riguardi della produzione realistica nazionale a finalità sociali. Il giovane responsabile del settore dello spettacolo per conto della Presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti, rivendica apertamente la sua disapprovazione per l'eccessiva attenzione che il cinema italiano dedica agli "aspetti spiacevoli della vita". Il periodo del primo dopoguerra mette a duro confronto due distinte linee politico-ideologiche che si scontrano per l'egemonia culturale del paese. Da una parte vi è una cultura democratico-progressista che sostiene l'ideologia antindustriale del neorealismo e rifiuta la cultura del consumo. Dall'altra vi è invece una linea moderata e filoamericana, che sposa l'apertura al prodotto commerciale e industriale come strumento di modernizzazione del paese. La vittoria della Democrazia Cristiana alle elezioni del 1948 segna la prevalenza della linea moderata e filoamericana, che porterà ad una progressiva marginalizzazione del neorealismo nel cinema italiano.elezioni del ’48 segna il trionfo del blocco politico-sociale che intende costruire lo sviluppo economico del paese sul consumo industriale. Elementocentrale di questa ideologia è la celebrazione dell’America come luogo di libertà e progresso, terradi opportunità e ricchezza per tutti che l’Italia avrebbe dovuto imitare per uscire dal difficile periododella ricostruzione. Questo scontro ideologico si riflette anche sulla politica cinematograficanazionale. Nei primi anni del dopoguerra, la difesa del cinema nazionale contro l’invasione deiprodotti americani e gli attacchi della censura clericale rappresenta per il Pci il fiore all’occhiello17della battaglia per il rinnovamento della cultura del paese. Dopo anni di scarso interesse a sinistra neiconfronti del cinema, dal 1948 il tema della difesa della cinematografia nazionale diviene uno deitemi in cui i comunisti italiani concentrano maggiormente i propri sforzi.Il “consumo
e portare alla formazione di una coscienza politica collettiva. Il film doveva quindi essere un mezzo di propaganda e di mobilizzazione per il partito, in grado di influenzare le opinioni e le scelte degli spettatori. Per raggiungere questo obiettivo, il Pci si avvalse di registi e sceneggiatori di talento, che riuscirono a creare opere cinematografiche di grande impatto emotivo e narrativo. I film del periodo, come "Paisà" di Roberto Rossellini o "Roma città aperta" di Vittorio De Sica, affrontavano tematiche sociali e politiche, mettendo in luce le ingiustizie e le contraddizioni della società italiana. La scelta di utilizzare il cinema come strumento di propaganda politica era dettata anche dalla sua capacità di raggiungere un vasto pubblico. Il cinema, infatti, era uno dei principali mezzi di intrattenimento dell'epoca e le sale cinematografiche erano frequentate da milioni di persone. Per formattare il testo utilizzando tag html, si possono utilizzare i seguenti tag: -: per definire un paragrafo
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- Il guidato del film era inteso dal Pci come uno strumento con il quale costituire la rivincita politica dopo la sconfitta del 1948: si trattava di creare le condizioni di un'educazione delle masse che dovesse portare alla formazione di una coscienza politica collettiva. Il film doveva quindi essere un mezzo di propaganda e di mobilizzazione per il partito, in grado di influenzare le opinioni e le scelte degli spettatori. Per raggiungere questo obiettivo, il Pci si avvalse di registi e sceneggiatori di talento, che riuscirono a creare opere cinematografiche di grande impatto emotivo e narrativo. I film del periodo, come "Paisà" di Roberto Rossellini o "Roma città aperta" di Vittorio De Sica, affrontavano tematiche sociali e politiche, mettendo in luce le ingiustizie e le contraddizioni della società italiana. La scelta di utilizzare il cinema come strumento di propaganda politica era dettata anche dalla sua capacità di raggiungere un vasto pubblico. Il cinema, infatti, era uno dei principali mezzi di intrattenimento dell'epoca e le sale cinematografiche erano frequentate da milioni di persone.
: per andare a capo
Ecco un esempio di come potrebbe essere formattato il testo utilizzando questi tag: