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LE FASI DELL’ALLESTIMENTO MUSICALE
I. La preproduzione tra incomprensioni, indifferenza e piena collaborazione. Preminger: assume
il compositore prima del film e lo fa partecipare con lui alle riprese, in modo da dargli il tempo per
studiare il suo lavoro e di immergersi nell’atmosfera del film. Gli altri registi assumono il
compositore a film terminato, quando ha già i dialoghi e i rumori, gli danno un mese per scrivere
la partitura. In questo modo la musica ha meno possibilità di intervento e non può aspirare a
diventare una cifra privilegiata del film, ma solo una sottolineatura di alcuni suoi momenti.
Talvolta il musicista viene scelto dal produttore o dall’editore musicale invece del regista,
scegliendo compositori sfruttati per la loro fama e immagine. A volte il regista opera in
autonomia, come nel caso di Carpenter o Tarantino. Regista e compositore possono anche
lavorare separatamente, come fa Manzoni col film Malina di Schroeter. Le relazioni che si
creano tra regista e musicista sono quindi le più disparate. In rare circostanze, i due
intraprendono lo stesso percorso (ex + imp: Fellini e Rota, Leone e Morricone, Hitchcock e
Herrmann), ma capitano anche radicali incomprensioni in grado di compromette il risultato finale,
come accadde tra Malipiero e Ruttmann nella realizzazione del film Acciaio o nel caso di
Cabiria di Pastrone, simbolo di come lo statuto della musica per film fosse sconosciuto non solo
ai compositori ma anche ai registi e ai produttori. Talvolta, vi è una completa indifferenza nei
confronti delle scelte musicali che vengono affidate completamente al compositore. Può anche
capitare che il regista inviti il compositore ad assecondare le sue consuetudini, esigendo una
certa remissività, ma che comunque qualche volta si lascino consigliare dai musicisti. [vedi
Pasolini - autori]
La predilezione per un determinato autore sottolinea una ben precisa scelta autoriale; il rapporto
fra la valenza semantico-evocativa della musica di repertorio e il suo utilizzo cinematografico
può rivelarsi una scelta conflittuale ma anche dar vita una dialettica particolare. L’ascolto di un
brano al di fuori del proprio contesto, da un lato rafforza la propria identità, dall’altro impedisce
un rapporto autentico con le immagini in movimento. Fra la musica, conosciuta e implicitamente
ricca di sedimentazioni storiche, e le immagini, nuove e da scoprire, la prima può divenire l’asse
portante della scena e va necessariamente decodificata. Nell’affidarle un ruolo di primissimo
piano, il regista può talvolta fraintendere il suo reale significato. [Ex: Prènom Carmen di Godard]
I registi che fanno riferimento alla musica riducendo l’apporto del compositore con cui lavorano,
spesso pensano al loro cinema in termini musicali. [Ex: Hiroshima non amour di Resnais
(1959);]
La musica, non solo può essere pensata, ma talvolta anche scritta prima delle immagini; come
fa, in un caso del tutto eccezionale, Schoenberg nel 1930, dove la musica precede
l’allestimento del film. La partitura rinuncia al descrittivismo e alla funzionalità, inaugurando nuovi
problemi che attraversano la storia del cinema, definendo in maniera del tutto nuova il rapporto
che intercorre tra musica e immagini in movimento. [Rapsodia satanica di Mascagni sk desta
zia dai prestiti della tradizione e inaugura una drammaturgia musicale-cinematografica in cui la
musica ridisegna l’arco di sviluppo filmico secondo una logica desunta non dalle immagini ma
dalla componenti musicale.]
La preproduzione dà luogo a veri e proprio rapporti di collaborazione, binomi fortunati creatisi
nella storia del cinema per cui musicista e regista hanno lavorato in una sintonia d’intenti dando
luogo a colonne sonore di grande bellezza. Resnais mette a disposizione dei compositori copie
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video dei suo film o cassette con la colona sonora, affinché l’intonazione degli attori possa
ispirare la loro musica. A volte l’incontro avviene grazie a ben precise affinità che accomunano la
poetica del regista e del suo musicista di fiducia. [Ex: Nyman & Greenway, both interessati alla
musica di John Cage e alla struttura come base ineludibile dei reciproci prodotti artistici. La
disposizione al confronto può portare il regista a cambiare le proprie scelte su consiglio del
musicista, non per remissività ma per accettazione del dialogo.
II. Scrivere per il cinema. Nel capitolo vengono descritte le situazioni che si sono venute a creare
nel corso del tempo, mettendo in evidenza i modelli a cui i compositori si sono rapportarti. Ci
sono stati problemi nel definire un possibile statuto per la scrittura cinematografica sin dal muto,
poiché i musicisti doveva improvvisare in base a quello che appariva solo schermo, con la
minima consapevolezza di quello che stavano facendo. Raramente quindi si sono composte
delle partiture espressamente per un film e, quando succede, si eseguivano soltanto alla prima
proiezione e in poche altre occasioni. Morelli definisce nel suo articolo «Acta Musicologica»
delle categorie dell’accompagnamento sonoro e dei generi di musica:
1. Musiche originali scritte per un film, come in Cabiria, la produzione avviene in duplice
forma: le partiture sono fascicoli separati per essere facilmente eseguibili sia dall’orchestra
che dal singolo strumento.
2. Musiche originali ma di repertorio che non sono scritte per un film, raccolte all’interno di
specifiche compilazioni musicali, come le cineteche musicali del cinema muto.
3. Musiche di repertorio che non sono nate per il cinema, che fa inorridire in molti ma che
risponde a precise esigenze.
4. Musiche di repertorio, cinematografiche e non.
Durante l’età del muto, la scrittura musicale nasce da un generale atteggiamento compilatorio,
standardizzato, che utilizza materiali di diversa provenienza al fine di accompagnare (ma non
ancora commentare) le immagini in movimento. Questo modo di comporre è variegato e ogni
film si basa su tipologie musicali non sempre rapportabili ad altre. Balàzs definisce la musica
cinematografica la “musica nel cinema” e non “musica nel film”, riferendosi alle orchestrino sotto
lo schermo. Questa musica però non è riducibile a delle operazioni meccaniche. Sartre associa
le emozioni che provava durante le proiezioni alla presenza della musica; queste associazioni,
per quanto scontate, facevano della musica una premonitrice del destino dei personaggi, che si
facevano capire, scavalcando il mutismo, attraverso la musica.
La maggior preoccupazione per un compositori di musica per il film, al tempo, era di trovare
illustrazioni musicali che, riadattate secondo particolari esigenze a cui erano finalizzate, fossero
funzionali alle immagini. Questa scrittura rinuncia alla forma chiusa e alla melodia di ampio
respiro, al fine di assecondare la durata delle scene e rivela una generale facilità esecutiva che
la rende alla portata delle orchestre cinematografiche. Concepita in questa maniera, la musica
per film non necessita una vera e propria scrittura, tant’è che Becce parla non di musica
composta per il cinema ma di “Illustrazioni d’autore”, definizione che mette in risalto: 1. fino
agli anni 20, non esiste ancora una scrittura musicale cinematografica nella coscienza musicale
europea [Becce: “per comporre s’intende un lavoro liberamente creativo che sia limitato al
rispetto della parola e della scena”]; 2. la definizione di musica per film risulta essere una
nozione piuttosto incerta. La prassi che si sviluppa nelle sale cinematografiche comporta la
nascita di uno stile e la definizione di un nuovo universo musicale collettivo, a partire da un
repertorio a cui si attinge per la realizzazione delle sceneggiature musicali; inoltre nel processo
di rimanipolazione delle pagine i cui parametri vengono riadattati, la musica perde le proprie
caratteristiche originali obbedendo alla vocazione che accompagnerà sempre la sua storia.
L’atteggiamento compilatorio e l’assunzione di stereotipi musicali hanno costantemente ispirato
la musica cinematografica [ex: Cavalcata delle Valchirie accompagna la Nascita di una nazione
e Apocalypse Now.] [ex: Prizzi’s Honor di Huston]
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[Nella trailermusic, spesso si sono messa in atto strategie competitive molto particolare, in cui i
materiali musicali sono trattati come codici di genere; le aziende che si occupano di trailer usano
delle librerie di musica originale, categorizzata per situazione drammaturgia, pace, tempo, mood;
un corrispettivo dei cue sheets, solo organizzato secondo il gusto ed i codici generici del nostro
tempo e con proporzioni e razionalità industriali. In questo caso si può parlare di nuove
kinotheken che presentano situazioni musicali sempre utilizzabili.]
[La comunicazione musicale cinematografica viene regolata da codici semantici, ci sono continui
riadattamenti e ricomposizioni dei materiali preesistenti] Inizia a definirsi una tipologia di scrittura
cinematografica che, quale primo requisito, deve sapersi rapportare a un limite, del cronometro,
del racconto e dello stile del regista. La scrittura nasce quindi da un lavoro di “metro e forbici” al
fine di essere funzionale alle immagini. Ciò non limita la propria libertà, anzi, rende la musica
malleabile e aperta a qualsiasi contaminazione. Essa deve far parte di un sistema più
complesso, deve inserirsi naturalmente tra le altre componenti della colonna sonora (effetti
sonori, rumori, voci) senza perdere i requisiti che le permettano di adeguarsi alle richieste del
racconto. Alcuni, però, come Pellegrini e Verdone, si chiedono se l’artista o il musicista debba
rinunciare alla sua personalità e rinunciare al suo stile, per adeguarsi ad uno stile un po’
anonimo che facesse da puro commento funzionale all’immagine, e ciò è ancora oggi uno dei
grandi quesiti della musica cinematografica. Lavorare con il cronometro alla mano comporta una
scrittura che procede per piccole sequenze, talvolta di poche decine di secondi, che devono
corrispondere rigorosamente a determinate situazioni individuate dal regista. Prima dell’avvento
delle nuove tecniche di scrittura, queste sequenze erano contraddistinte dalla lettera M e
venivano stabilite, dopo i primi contatti fra regista e musicista, alla moviola. Si lavorava con la
pellicola, chiamata “fotografico”, e un rudimentale sonoro con la presa diretta dei dialoghi.
Stabilito il punto d’inizio, il montatore con una matita bianca faceva una croce sopra il
fotogramma di partenza e ci scriveva vicino M9. Poi azzerava i contametri. Il musicista prendeva
appunti lì affianco. Una manopola poteva mandare la pellicola avanti o indietro fino a fermarla
sul fotogramma voluto. La partitura di un film si presentava come un seguito di M quanti erano
gli interventi previsti, a partire dai titoli di testa, ed era affiancata d