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A partire dal 1901 Debussy, con lo pseudonimo di Monsieur Croche, scrisse una serie di
articoli e recensioni, spesso ironici e dissacranti, sulle riviste culturali del tempo: ad essere
rilevanti sono non solo i commenti espliciti che lui enuncia, ma anche ciò che vi si legge fra
le righe.
Innanzitutto i temi ricorrenti sono polemiche e rifiuti verso il mondo accademico in generale,
con esso i Conservatori, le istituzioni musicali, Wagner e il wagnerismo. Non manca
l’osservazione piacevole e affascinante che Debussy fa del vento, che tuttavia si concretizza
in una metafora di una concezione del tempo musicale diversa da quella che aveva dominato
fino ad allora; tuttavia, non si tratta di una semplice ribellione alle regole e alle tradizioni
musicali.
Prendiamo in esame le pagine dedicate alla sinfonia: essa costituisce, per Debussy, quel
mondo musicale di cui il musicista riconosce la grandezza ma che puntualmente rifiuta.
Debussy, infatti, dichiara la sinfonia come un genere morto, che ha avuto il suo picco nella
Nona di Beethoven, ma che poi si è rivelata una continua ripetizione delle stesse forme; è un
genere, dice lui, che appartiene al passato, ma più interessante è un’altra espressione che
Debussy usa per descrivere la sinfonia: “eleganza rettilinea”. Il termine indubbiamente si
riferisce alla forma sonata dove, come in una linea retta, tutto è prevedibile (esposizione -
sviluppo - ripresa).
Al contrario, quando ci si trova davanti a piccoli tocchi successi, spesso con un legame fra di
essi imprevedibile/misterioso, si sta parlando di un genere di musica del tutto nuovo.
Contrapposta all’eleganza rettilinea è infatti l’arabesco (o principio dell’ornamento), dice
Debussy, dove con “arabesco” si intende l’idea di ciò che procede in modo fantasioso, senza
quel preciso e predisposto piano di sviluppo che invece vi è nella forma sonata.
La polemica contro la Sinfonia si accompagna a quella contro la musica tedesca, secondo
Debussy iper-organizzata, che fa uso di schemi preordinata: la musica fatta per essere
eseguita nel chiuso delle sale da concerto è infatti tipicamente tedesca, troppo accata alle
manie formali e tonalità arbitrariamente precise. A questa musica Debussy ne contrappone
una scritta appositamente per essere eseguita all’aperto, di nuovo un richiamo alla natura che
per Debussy non cancella il contrappunto, ma lo rinnova e lo allontana dai modelli
accademici e schematici per riportarlo alla sua purezza e freschezza originaria.
Tuttavia, fra i musicisti di area germanica Debussy salva Strauss, dal momento che la sua
musica si avvicina notevolmente al modo in cui la concepisce, e infatti descrive la musica di
Strauss come uno sviluppo di colori ritmici, non rigorosa e architettonica come quella di
Bach o Beethoven; Strauss, dice Debussy, non si preoccupa dell’effetto lacerante che dà la
sovrapposizione delle tonalità più incredibilmente lontane, ma si preoccupa solo della vitalità
che ne risulta.
Ma il tema più importante che emerge è ovviamente quello inerente al tempo musicale. Più
specificatamente, l’appello alla natura non ha a che vedere col naturalismo, quanto piuttosto è
un richiamo a un tempo musicale che abbia come modello i ritmi della natura, le sue
scansioni varie, imprevedibili e mutevoli. Un tempo quindi non schematizzato, in antitesi al
sonatismo in cui l’opera musicale, a detta di Debussy, è invece concepita come un racconto
dove sono ben individuabili l’inizio, lo svolgimento e la fine (l’eleganza rettilinea).
Ora, l’organismo sinfonico tradizionale può esistere solo se alla base vi è un’idea di un tempo
strutturato secondo un progetto preesistente, uno schematismo che prevede già un ordine;
questo progetto si è poi articolato in diverse tappe (suite, concerto barocco, melodramma)
fino a giungere alla “mostruosa” sinfonia romantica come massima espressione di questa
concezione della musica, che è in qualche modo simile al romanzo borghese. Qual è dunque
la battaglia di Debussy? Sradicare e disarticolare tutte queste convenzioni tradizionali,
ricorrendo ad esotismi, scale musicali diverse, e soprattutto annullando la strutturazione del
tempo. Scrive infatti Jankélévitch che ogni immagine debussiana immobilizza un minuto
della vita universale delle cose, un aeternum nunc che è fuori di ogni divenire, senza
relazione con il prima e con il poi. Un'immobilità e un atomismo temporale che Debussy
realizza, a detta del critico, rifiutandosi di considerare la musica come un discorso o un
ragionamento.
A tal proposito interviene anche Jaroncinski, che muovendosi su simili linee, scrive che nella
musica debussiana non si può prevedere nulla: si sviluppa spontaneamente, non comincia e
non finisce, ma emerge dal silenzio imponendosi in medias res, non vi è un vero e proprio
fine perché essa vive e muore, si forma e si rinnova senza sosta, accade sempre qualcosa. E’,
in un certo senso, l’incarnazione del divenire bergsoniano.
Ecco dunque come nell’armonia di Debussy le classiche tensioni armoniche sono abolite o
attenuate, la melodia è del tutto scissa dall’armonia, le regole di quest’ultima vengono
continuamente violate: gli accordi valgono per la loro sonorità, non più per il loro
concatenamento.
A questo punto c’è da chiedersi, qual è la relazione tra il tempo e la natura in Debussy?
Abbiamo detto che la natura in Debussy non è mai intesa a livello naturalistico, ma essa è
anzitutto forma organica, il cui sviluppo è in larga parte imprevedibile. Questa concezione
della natura è legata a quella del tempo musicale, più simile ad un libero fluire (come quello
del vento), a movimenti imprevedibili e non schematizzabili, piuttosto che ad uno schema
prestabilito.
Arrivati a questo punto si comprende come sia erroneo confinare Debussy
nell’Impressionismo, ma non solo: non è neppure tanto esatto farne un precursore delle
avanguardie del Novecento, anche solo perché il termine “avanguardia” è di per sé troppo
vago. Sicuramente Debussy ha aperto tante strade per molte esperienze musicali del primo
Novecento, con la sua musica puramente sonoriale e la brevità aforistica, ma se lo si vuole
intendere come un precursore delle avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta, non si è del
tutto corretti, già solo per la differenza nel modo di concepire la natura. Essa in Debussy è
appunto metafora della sua concezione di tempo, un nuovo modello che chiudeva l’era del
classicismo, un modello a cui il musicista doveva lasciar andare la sua percezione e recezione
per coglierne le sottili suggestioni, un fluire che rispecchia l’interiorità della coscienza. E
infatti in Debussy la soggettività e la personalità del musicista nell’opera non vengono
negate o annullate, Debussy non vede la natura come impersonale e informale, muta ed
inespressiva, a differenza invece delle avanguardie degli anni 50/60.
VI - Esiste un’estetica di Stravinskij?
Quando si fa riferimento ai testi e agli scritti di Stravinskij, sorge il problema della loro
contraddizione in relazione alle opere musicali effettivamente composte dal musicista. C’è
dunque da chiedersi quanto questi scritti di carattere estetico e filosofico siano pertinenti e in
quale misura essi possano o debbano mettersi in rapporto con l’opera musicale.
Partendo da un testo base, la Poétique musicale, che raccoglie le lezioni tenute a Harvard nel
1940, le idee ivi espresse erano già comparse in altri scritti precedenti, ma non solo:
Stravinskij cita l’amico musicologo Suvcinskij, da cui ha tratto ispirazione per alcune
pagine.. Da qui, il pensiero estetico di Stravinskij deve essere separato dalla sua attività di
musicista, almeno in un primo momento, per poter individuare la sua vera portata filosofica.
Questo pensiero è stato più volte riassunto e banalizzato in un formalismo* secondo cui la
musica “non esprime alcunché”, un’espressione assai famosa con la quale si è cercata di
riassumere l’estetica di Stravinskij: in realtà il suo formalismo è ben più complesso ed
affonda le radici in una tradizione di pensieri estetici e filosofici che non si limitano solo ad
Hanslick*, ma che riguardano tutto il contesto culturale francese in cui si è arricchito anche il
suo pensiero, quindi lo spiritualismo bergsoniano, il decadentismo, lo sperimentalismo
linguistico delle prime avanguardie…
*Hanslick: 1825 - 1904, critico musicale e musicologo austriaco che prese una posizione
nichilista verso la musica, ritenendola astratta e priva di significato, nel senso che è fine a se
stessa. Questa ideologia è alla base del formalismo*, che considera appunto la musica come
asemantica
Innanzitutto, i due punti centrali dell’estetica di Stravinskij vertono: sulla concezione poetica
dell’arte (arte intesa come fare, costruire, come confronto con il materiale e come sfida alle
sue leggi ed esigenze); sulla concezione della costruzione musicale come organizzazione del
tempo, come tentativo di stabilire un ordine fra l’uomo e il tempo. Particolare è la distinzione
che viene fatta tra il tempo ontologico e quello psicologico, un tema a cui bisogna far risalire
le celebri pagine dell’estetica hegeliana, in cui Hegel appunto spiega che vi è una differenza
fra il tempo psicologico, che segue i sentimenti personali e i loro cambiamenti, e il tempo
ontologico che è invece legato all’essenza del soggetto; aggiunge inoltre che la musica è in
grado di mettere in relazione i due, inclinandosi di più verso l’uno o l’altro a seconda della
personalità del compositore, e così fa anche Stravinskij, che probabilmente non conosceva
queste pagine, ma Suvcinskij sì, e perciò si mosse sulle sue tracce.
E da questa relazione che Stravinskij mette in luce tra il tempo e la musica, egli differenzia
due tipologie di musica: una che si evolve parallelamente al tempo ontologico e una che lo
supera o contrasta, pertanto adatta ad esprimere gli impulsi emotivi del suo autore. Più
precisamente, alla musica legata al tempo ontologico Stravinskij conferisce maggiore
uniformità, e quindi anche solidità, perché procede per somiglianza, mentre a quella legata al
tempo psicologico conferisce varietà perché procede per contrasto. Poiché ci troviamo nel
periodo di svolta neoclassica, in cui ormai la varietà ritmica, melodica e dinamica è stata
superata, Stravinskij preferisce di gran lunga la prima tipologia di musica, perché afferma che
il contrasto produce un effetto immediato e disperde l