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RIASSUNTO MANUALE “LE GRANDI

CORRENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO”

di C. FARALLI

Che cos'è la Filosofia del Diritto?

Definire questa disciplina non è semplice perché sia il termine filosofia che diritto sono profondamente

ambigui. Per diritto intendiamo a volte il sistema di norme imposto dallo Stato e altre volte un insieme di

valori superiori alle leggi umane. Allo stesso modo, la filosofia può essere vista come un sapere globale

che abbraccia tutto o, in senso più moderno e riduttivo, come una semplice analisi del linguaggio e della

logica scientifica. Questa incertezza definitoria ha fatto sì che, nel tempo, alla filosofia del diritto siano stati

assegnati compiti molto diversi tra loro.

Tradizionalmente si distinguono tre compiti principali: quello ontologico, che indaga l'essenza del diritto

(ciò che il diritto è); quello fenomenologico, che osserva come il diritto si manifesta concretamente nella

società; e quello deontologico, che riflette sul valore della giustizia e su come il diritto dovrebbe essere.

Autori come il neokantiano Giorgio Del Vecchio credevano che la filosofia dovesse occuparsi di tutti e tre

i campi, vedendo il diritto come una forma logica a priori che coordina le azioni umane. Al contrario,

pensatori positivisti come Icilio Vanni escludevano la ricerca fenomenologica dalla filosofia,

considerandola un ambito puramente scientifico e sociologico.

Dato che ogni definizione dipende dal momento storico, l'approccio migliore rimane quello storico. Come

suggeriva Guido Fassò, solo seguendo l'evoluzione dei problemi filosofici dalla Grecia antica a oggi

possiamo davvero capire il significato profondo delle norme. Studiare la filosofia del diritto significa

dunque rivivere la maturazione millenaria di concetti che oggi diamo per scontati, ma che sono il frutto di

un costante dibattito tra l'esperienza individuale e quella dell'umanità.

La nascita della disciplina e la distinzione tra Diritto e Morale

Il termine filosofia del diritto compare ufficialmente solo nel 1798 con Gustav Hugo, per poi essere

consacrato da Hegel nel 1821. Prima di allora, il diritto non era una categoria autonoma ma veniva

assorbito dalla politica (nel mondo classico) o dalla teologia (nel Medioevo). È solo con la laicizzazione

del pensiero tra Umanesimo e Rinascimento che si inizia a distinguere l'agire giuridico dalle altre forme di

azione umana, processo che culmina nell'Illuminismo.

Un passo fondamentale è stato compiuto da Christian Thomasius, il quale ha isolato tre sfere dell'agire: il

justum (diritto), l'honestum (morale) e il decorum (convenienza sociale). Secondo Thomasius, il diritto si

distingue dalla morale per il carattere dell'intersoggettività, poiché riguarda il rapporto esterno tra almeno

due persone. Inoltre, a differenza del semplice decorum, l'obbligazione giuridica è caratterizzata dalla

coercibilità, ovvero dalla possibilità di essere imposta con la forza dallo Stato.

Immanuel Kant ha perfezionato questa distinzione basandosi sul motivo dell'obbedienza. Per Kant, la

morale segue imperativi categorici: si agisce solo per il dovere in sé (dovere interno). Il diritto, invece, si

basa su imperativi ipotetici, dove l'azione è un mezzo per raggiungere un fine esterno. La legislazione

giuridica riguarda quindi solo le azioni esterne ed è essenzialmente coattiva. Da Kant in poi, il diritto si

consolida come categoria autonoma, preparando il terreno per le tre grandi correnti: giusnaturalismo,

positivismo giuridico e realismo.

Le origini in Grecia: il conflitto tra legge e coscienza

Il problema nasce nel V secolo a.C. in Grecia. Il punto di partenza simbolico è la tragedia Antigone di

Sofocle: la protagonista sfida gli ordini del re Creonte (legge positiva) per obbedire alle leggi non scritte

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degli dei (legge naturale), rivendicando il diritto di dare sepoltura al fratello. Qui emerge per la prima volta

l'idea che esistano norme eterne che nessun sovrano può annullare.

I Sofisti approfondiscono questo tema distinguendo tra ciò che è giusto per natura (physis) e ciò che è

giusto per legge (nomos). In base a come interpretano la "natura", nascono le tre correnti classiche del

giusnaturalismo:

 Giusnaturalismo volontaristico: (Sofocle) il diritto naturale deriva dalla volontà divina.

 Giusnaturalismo naturalistico: (Callicle) la natura è intesa come istinto biologico. È la legge del

più forte: i forti dominano per natura, mentre le leggi umane sono fatte dai deboli per difendersi.

 Giusnaturalismo razionalistico: (Ippia, Antifonte) la natura è la ragione comune a tutti gli

uomini. Poiché siamo tutti razionali, siamo tutti uguali (cadono le distinzioni tra greci e barbari o tra

liberi e schiavi).

Lo Stoicismo e la sintesi di Cicerone

Con gli Stoici (III sec. a.C.), queste tre visioni si fondono: l'universo è governato dal Logos (un principio

che è insieme divino, naturale e razionale). Il diritto naturale è dunque una parte dell'ordine universale.

Questa visione viene esportata a Roma da Cicerone, che nel De republica e nel De legibus descrive la

"vera legge" come la retta ragione conforme alla natura, presente in tutti, invariabile ed eterna. Cicerone

lancia un monito fondamentale: se il diritto dipendesse solo dai voti del popolo o dai decreti dei magistrati,

allora potrebbe essere "giusto" anche rubare. La legge naturale serve quindi come parametro per

distinguere le leggi buone da quelle cattive.

Il pensiero Cristiano e la svolta di Sant'Agostino

Inizialmente, il Cristianesimo delle origini era estraneo al diritto: contava solo la grazia e la fede (San

Paolo). Tuttavia, per dialogare con la cultura greco-romana, i Padri della Chiesa iniziarono ad adottare il

giusnaturalismo razionalistico, identificando la legge naturale con la ragione divina.

La vera svolta avviene con Sant'Agostino. In una prima fase, egli accetta la visione razionalistica (la legge

naturale è ragione). Tuttavia, dopo la polemica con Pelagio (che sosteneva che l'uomo potesse salvarsi solo

con la ragione), Agostino cambia rotta e sposa il giusnaturalismo volontaristico: la legge naturale non è

più ciò che è razionale, ma ciò che è voluto da Dio. Da questo momento, il diritto naturale diventa

sinonimo di volontà divina, e l'uomo può solo obbedire con fede.

San Tommaso d'Aquino: l'equilibrio tra Ragione e Fede

Nel XIII secolo, San Tommaso mette ordine nel caos dottrinale medievale distinguendo tre tipi di leggi.

La Lex aeterna è la ragione stessa di Dio che governa l'universo; la Lex naturalis è la partecipazione

dell'uomo a questa legge eterna attraverso la propria ragione (il precetto base è "fare il bene, evitare il

male"). Infine, la Lex humana è il diritto positivo creato dagli uomini.

Per San Tommaso, il diritto positivo deve derivare da quello naturale: se una legge umana contrasta con

quella naturale, non è vera legge ma corruptio legis (corruzione della legge). Tuttavia, egli è pragmatico:

sostiene che si debba obbedire anche a una legge ingiusta per evitare disordini sociali (scandalum), a meno

che questa non violi i comandamenti divini (Lex divina). Il suo merito è aver dato autonomia alla ragione

umana, pur restando in un quadro religioso.

Da Occam a Gregorio da Rimini: verso l'autonomia della Ragione

La reazione a San Tommaso arriva con Guglielmo da Occam, che sposta tutto sulla volontà di Dio. Per

Occam, il diritto naturale è solo ciò che Dio decide arbitrariamente: se Dio ordinasse di odiarlo, sarebbe

giusto farlo. È il trionfo del volontarismo. Pag. 2 di 15

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Tuttavia, paradossalmente, è proprio un discepolo di Occam, Gregorio da Rimini, a formulare la tesi più

radicale del razionalismo: il peccato è agire contro la retta ragione. Egli afferma che la legge morale

resterebbe valida anche nell'ipotesi (assurda per l'epoca) che Dio non esistesse. Questa idea è il seme che

permetterà al diritto di diventare indipendente dalla teologia.

Ugo Grozio e la nascita del Giusnaturalismo Moderno

Con l'inizio dell'età moderna, l'unità religiosa dell'Europa si spezza a causa della Riforma protestante. Non

essendoci più un'unica fede, serve un diritto comune per regolare i rapporti tra gli Stati (diritto

internazionale). Ugo Grozio, nel suo capolavoro De iure belli ac pacis (1625), individua questo

fondamento nella natura razionale e sociale dell'uomo.

La frase celebre di Grozio è: il diritto naturale sarebbe valido "anche se ammettessimo che Dio non

esistesse" (etiamsi daremus Deum non esse). Con questa affermazione, Grozio non nega Dio, ma rende il

diritto laico e autonomo. Il diritto naturale non è più un comando divino esterno, ma una verità razionale

intrinseca all'uomo, come le verità matematiche.

Caratteri del Giusnaturalismo Moderno

Mentre il giusnaturalismo antico era "oggettivo" (il diritto derivava dall'ordine del cosmo), quello moderno

è soggettivistico. Al centro non c'è più il cosmo, ma l'individuo e i suoi diritti innati. Le caratteristiche

principali di questa epoca sono:

 Laicismo: la fonte del diritto è la sola ragione umana.

 Individualismo: l'attenzione si sposta sulle facoltà dei singoli soggetti.

 Razionalismo astratto: si cerca di costruire una "scienza del diritto" rigorosa come la fisica di

Newton, valida universalmente e per sempre.

 Stato di Natura e Contratto Sociale: i filosofi usano questi modelli teorici per spiegare come gli

uomini, da una condizione di libertà originaria, abbiano deciso di unirsi tramite un patto per creare

lo Stato e le sue leggi.

Samuel Pufendorf: la legge come comando

Samuel Pufendorf è il primo a occuparsi di questa materia in ambito accademico. Il suo obiettivo è

costruire un sistema scientifico del diritto, convinto che la morale e il diritto possano essere studiati con lo

stesso rigore della fisica. Egli vede il diritto come una regola valida per tutti gli uomini, basata sulla

ragione e non sulla fede.

Tuttavia, Pufendorf introduce un elemento di volontarismo: la legge è definita come il comando di un

superiore (il sovrano) che obbliga un sottoposto a obbedire. Egli distingue inoltre tra:

 Diritti perfetti: quelli muniti di sanzione e che lo Stato può imporre con la forza.

 Diritti imperfetti: quelli affidati solo alla coscienza individuale e privi di coazione.

Questa distinzione è il primo passo verso la separazione tra diritto e morale, che verrà poi completata da

Kant.

Thomas Hobbes: lo Stato come Leviatano

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Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stellina290702 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Mittica Maria Paola.
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