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Tracce dell’idea di natura come normalità sembrano incorporate in argomentazioni
filosoficamente sofisticate. Ne sono un esempio alcune recenti elaborazioni di Jurgen
Habermas e Micheal J. Sandel proprio sui temi delle biotecnologie applicate agli esseri
umani e dell’ampliamento delle capacità umane attraverso l’ingegneria genetica. Da una
parte, Habermas individua nel nascere “naturalmente” (cioè senza interventi di selezione o
ingegneria genetica) una condizione per la tutela della libertà di chi nasce. Dall’altra, per
Sandel astenersi da interventi biotecnologici migliorativi su chi nascerà significa aderire a
un’idea della vita come “dono” che porterebbe con sé importanti virtù e valori morali.
Sia Habermas che Sandel attribuiscono al modo normale di nascere un valore morale.
Rispetto a questi argomenti possiamo muovere una critica su un duplice registro: da un
lato, affidarsi alla natura nel campo della procreazione significa astenersi dalla scelta,
laddove, al contrario, la libertà di scelta potrebbe promuovere condotte responsabili verso
la qualità della vita di chi nasce. Dall’altro, le idee di natura e normalità di Habermas e
Sandel sembrano ambigue. Su che basi, ad esempio, si può dire che un essere umano è
“naturalmente divenuto” e non “tecnicamente prodotto”? Perché un intervento di ingegneria
genetica renderebbe il nascituro prodotto, ma lo stesso non accade con un farmaco
assunto dalla madre in gravidanza per evitare malformazioni del feto?
4.3. “La difficile normalità”.
4.3.1. Normalità come finzione.
Cosa si intende per “natura” e cosa per “normalità”? Ad es., nel caso dell’adozione per le
coppie gay e lesbiche, cosa significa sostenere che procreare e allevare figli da parte di
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una coppie eterosessuale è naturale? L’oppositore dell’adozione non eterosessuale
potrebbe, al massimo, affermare che nel corso della storia c’è stata una maggioranza di
esseri umani procreati e allevati da coppie eterosessuali, ma nulla di più. Al di là del fatto
che la famiglia eterosessuale è una delle molte forme di famiglia che sono esistite nel
passato ed esistono oggi, molti esseri umani sono nati e cresciuti al di fuori di questa
“normalità”, ad es. da donne sole.
Se la natura è definita come normalità – cioè come una sorta di regolarità empirica –
questa non definisce altro che una predominanza di tipo statistico. In genere, i fatti ritenuti
normali dai sostenitori dell’argomento naif dello status quo sono, in realtà, finzioni.
Si etichetta cioè come normale e naturale qualcosa che, a chi osserva, si presenta
frequentemente in un dato modo.
4.3.2. Normali immoralità.
Ci sono molti fatti che si presentano normalmente e che, tuttavia, sono indesiderabili e
moralmente riprovevoli.
In realtà, nessuno fra i sostenitori dell’argomento naif dello status quo afferma che tutto ciò
che è normale è buono. Di fatto chi sostiene questo argomento opera una selezione tra i
fatti normali e naturali che sono rivestiti di importanza morale e quelli che non lo sono.
C’è, tuttavia, un’obiezione ancora più efficace contro di esso. Si tratta dell’argomento che
chiarisce la distinzione tra la sfera dei fatti e quella dei valori, ovverosia fra descrizioni e
prescrizioni.
4.4. “Fatti e valori”.
4.4.1. Essere e dover essere.
Il sostenitore dell’argomento naif dello status quo afferma che un certo tipo di fatti - ad es.
la procreazione per via sessuale - è moralmente buono e un altro fatto – la clonazione
riproduttiva - è moralmente cattivo.
Il sostenitore dell’argomento naif dello status quo afferma che il fatto che una certa
condizione si presenti normalmente è sufficiente per definire quella stessa condizione
come buona e indicare come cattivo ciò che si allontana da essa. Tuttavia, nel momento in
qualcuno afferma che una certa condizione Z è naturale, sta formulando un enunciato
diverso da quello con il quale sostiene che la stessa condizione Z è buona e, quindi, deve
essere scelta. Da una parte abbiamo una descrizione, dall’altra abbiamo un enunciato
normativo, e più precisamente una valutazione (“è buono”) e una prescrizione (“deve
essere scelto”). La descrizione fa riferimento alla sfera dei fatti, mentre gli enunciati
normativi si riferiscono a quella dei valori.
La questione, però, è se, quando si afferma “è naturale” ed “è anche un bene morale”, ci si
sta riferendo alle medesime proprietà di quello stato di cose. Questo passaggio è tutt’altro
che semplice. Già David Hume, in un noto paragrafo del “Trattato sulla natura umana”, ne
rilevava la difficoltà:
“In ogni sistema di morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l’autore
va avanti per un po’ ragionando nel modo più consueto, e afferma l’esistenza di un Dio, o
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fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto scopro con sorpresa che al
posto delle abituali copule “è” e “non è” incontro solo proposizioni che sono collegate con
un “deve” o un “non deve”. Si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia,
la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve, esprimono una nuova
relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati; e che
allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile ovvero che
questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa
completamente differenti.”
Il passo, noto come “l’is-oughtparafraph” (“paragrafo dell’è-deve”) ha inaugurato la
riflessione dell’etica filosofica circa la separazione fra essere e dover essere, cioè tra fatti e
valori. Questa riflessione, che vede un altro momento importante agli inizi del XX secolo
con la formulazione da parte di George Edward Moore della “fallacia naturalistica”, è stata
uno dei principali motori di critica agli argomenti che in etica fanno appello alla natura.
Come rileva Hume, le relazioni fattuali fra gli stati di cose (quelli che rappresentiamo con
l’è) non sono sufficienti a dare una valutazione morale.
4.4.2. Due requisiti per mettere in relazione fatti e valori.
Gli appelli alla natura sono argomentazioni morali che mettono in relazione fatti e valori.
Il modo in cui questa relazione viene realizzata influisce sull’attendibilità
dell’argomentazione. Proprio per giudicare questa attendibilità possiamo identificare due
requisiti di ordine metodologico.
Il primo requisito lo possiamo elaborare prendendo le mosse dal notissimo “open-question
argument” (“argomento della domanda aperta”), sviluppato da Moore nel tentativo di
dimostrare la non naturalità delle proprietà morali e potremmo definirlo come la richiesta
per qualsiasi argomento che metta in relazione fatti e valori di non ignorare la domanda
aperta. L’argomento ha la seguente forma. Poniamo che di un qualcosa Z si predichi una
proprietà fattuale Y e dello stesso Z si predichi la bontà morale. La domanda aperta è: Z ha
Y, ma è buono?. Quando si definisce buono nei termini di una proprietà naturale, è sempre
possibile continuare a chiedersi se questa sia veramente buona o meno. Una
domanda del genere non avrebbe senso se buono coincidesse effettivamente con una
proprietà naturale.
Come secondo requisito possiamo avanzare la richiesta che i fatti che vengono chiamati in
causa siano in grado di sostenere un esame minimale di verifica empirica.
Questo requisito garantisce che i fatti ai quali fa riferimento un’argomentazione morale
siano, almeno in linea di principio, verificabili e disponibili.
L’accessibilità dei fatti chiamati in causa dalle argomentazioni morali ci consente di
discuterne la “verità”. Ad es., gli angeli che parlano in sogno ai profeti non sono un fatto
disponibile a tutti, di conseguenza tale profezia può essere vera o falsa ma non può essere
accertata dal momento che è destinata a rimanere privata. I fatti provenienti dalle
esperienze di senso comune e dalla scienza sono aperti alla discussione su verità o falsità,
quelli che derivano dalla profezia no. 12
Capitolo 5: Naturale saggezza, umana stoltezza.
5.1. La natura modificata e la paura di Frankestein.
5.1.1. Le biotecnologie e l’uso della natura.
Nella seconda metà del XX secolo, un insieme di tecnologie, indicate con il nome di
“biotecnologie” ha causato, nel dibattito filosofico e pubblico, il ritorno dell’idea di natura,
intesa come un ordine caratterizzato da una sua intrinseca saggezza, da rispettare
prudentemente per evitare il rischio di danni e catastrofi per gli esseri umani.
Esempi di biotecnologie sono: la clonazione riproduttiva, la fecondazione assistita e
l’ingegneria applicata agli esseri umani. Tutte queste tecniche sono accumunate da una
caratteristica: si tratta di procedure con le quali gli esseri umani intervengono nei
meccanismi di trasmissione e replicazione della vita. Frankestein è l’incarnazione letteraria
preferita da chi teme le conseguenze delle biotecnologie.
5.1.2. Il dovere della prudenza.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, è un dato di fatto che la realtà presenti
regolarità che, ad esempio, possono essere formalizzate per mezzo di “leggi” (leggi della
matematica, del moto ecc.). Le leggi con le quali si descrive la realtà non sarebbero
semplicemente l’astrazione e la formalizzazione di regolarità riscontrate empiricamente,
ma le tracce di un piano più generale. A questo disegno, spesso, si attribuisce il carattere
della “benevolenza” o della “saggezza”, nella misura in cui le leggi che lo caratterizzano
tenderebbero a produrre effetti benefici per gli esseri umani o, più generalmente, per tutti
gli esseri viventi.
Questo argomento, che potremmo chiamare “argomento della naturale saggezza e
dell’umana stoltezza”, può essere articolato meglio esplicitando le due tesi che lo
compongono:
nel mondo alcune cose (ad es., gli esseri viventi) sono organizzate secondo un
ordine naturale, caratterizzato da fini specifici e da un’intrinseca saggezza;
l’intromissione nei meccanismi più intimi di quest’ordine è un atto imprudente,
qualora interferisca con i fini i