ESEMPI DI ESPROPRIAZIONE
• 11 a.C.: Secondo Frontino, un senatoconsulto prevedeva che i proprietari che rifiutavano il
passaggio degli acquedotti sui loro terreni subissero l’esproprio totale del fondo, con un
indennizzo per l’intera proprietà. Le parti non utilizzate per l’opera pubblica venivano
vendute, eventualmente anche al vecchio proprietario. Questo sistema era considerato
“ammirevole” perché cercava di bilanciare l’interesse collettivo con i diritti privati.
EVOLUZIONE DELLA PRATICA
La pratica dell’esproprio per pubblica utilità sembra risalire alla media Repubblica. Ad esempio:
216 a.C.: Schiavi privati furono acquistati dalla res publica per essere arruolati nell’esercito
• contro Cartagine.
179 a.C.: Un progetto per costruire un acquedotto venne bloccato da un proprietario, Licinio
• Crasso, che rifiutò il passaggio sul suo terreno.
20 a.C.: L’Edictum Venafranum, emesso da Augusto, vietava ai magistrati di attraversare
• terreni privati senza il consenso dei proprietari.
Tuttavia, già dall’11 a.C., si iniziò a ricorrere a forme di vendite forzose (emptio ab invito), che
anticipavano il moderno concetto di espropriazione per pubblica utilità.
DALL’EMPTIO AB INVITO ALL’ESPROPRIO UNILATERALE
Durante il Tardoantico, la pratica dell’esproprio divenne più frequente e venne regolamentata con
maggiore chiarezza.
Le costituzioni contenute nel Codice Teodosiano (titolo “De operibus publicis”) e nel Codice
• di Giustiniano stabilivano che l’esproprio avveniva tramite un atto unilaterale dell’autorità
pubblica, senza un accordo tra le parti.
L’indennizzo per la perdita del bene era chiamato indemnitas o recompensatio, e non
• pretium (prezzo).
Queste norme giustificavano l’esproprio invocando la communis commoditas (il bene comune) e la
utilitas rei publicae (l’interesse dello Stato).
10. LIMITI E OBBLIGHI PER I PROPRIETARI DI IMMOBILI URBANI: IL DECORO DELLE CITTÀ
PROTEZIONE DEL DECORO URBANO
Durante l’espansione edilizia dell’età repubblicana, si introdussero regole per tutelare la solidità, il
pregio architettonico e il decoro delle costruzioni urbane.
• Già nel I secolo a.C., alcuni statuti municipali vietavano ai proprietari di danneggiare o
demolire parti dei propri edifici, per preservare l’estetica dei centri urbani.
• Con il Principato, si moltiplicarono i provvedimenti per salvaguardare le costruzioni urbane,
sia pubbliche sia private.
Gli imperatori, sin da Augusto, si impegnarono a dare a Roma un aspetto adeguato al suo ruolo di
capitale dell’Impero. In seguito, questa attenzione si estese a tutte le città, con particolare riguardo
a Costantinopoli dal IV secolo.
DIVIETI PER PRESERVARE GLI EDIFICI DI PREGIO
Tra il I e il II secolo d.C., alcuni senatoconsulti stabilirono norme per proteggere gli edifici più belli:
• Senatoconsulto Hosidianum e Volusianum:
o Vietavano la demolizione di monumenti ed edifici privati di pregio.
o Impedivano di rimuovere ornamenti e materiali di valore per fini speculativi, come la
vendita (negotiandi causa).
• Senatoconsulto Aciliano (122 d.C.):
o Proibiva di separare da un edificio parti come marmi, colonne, statue, dipinti, porte
di pregio e biblioteche.
o La vendita di questi beni era dichiarata nulla, e il compratore doveva pagare una
multa pari al doppio del valore degli oggetti acquistati.
OBBLIGHI DI RESTAURO E SANZIONI
I proprietari di immobili urbani avevano anche l’obbligo di mantenerli in buone condizioni:
• Per le insulae (abitazioni popolari a più piani) di Roma, si impose il restauro obbligatorio.
• Marco Aurelio stabilì che, se un proprietario non partecipava alle spese di restauro entro
quattro mesi, la sua parte dell’immobile sarebbe stata confiscata e trasferita agli altri
condomini.
Questi obblighi si estesero anche ai centri urbani delle province:
• Il governatore provinciale (praeses provinciae) doveva ispezionare gli edifici e obbligare i
proprietari a restaurare quelli fatiscenti.
• Se il proprietario non si attivava, il curator rei publicae poteva usare fondi pubblici per i
lavori. Tuttavia, se il proprietario non rimborsava le spese, la città poteva vendere l’edificio
restaurato.
Un rescritto di Diocleziano confermò la possibilità per le comunità locali di confiscare le abitazioni
private abbandonate e venderne il terreno, con l’approvazione del governatore provinciale.
DEMOLIZIONI E COSTRUZIONI: NUOVI LIMITI
Anche la demolizione degli edifici richiedeva l’autorizzazione delle autorità pubbliche:
• Nel 224 d.C., un rescritto di Alessandro Severo stabilì che:
o Il governatore provinciale doveva valutare se imporre il restauro di una casa diroccata o
permettere la demolizione per trasformare l’area in un giardino.
o La demolizione poteva avvenire solo con l’approvazione dei magistrati locali e il consenso
dei vicini.
Per quanto riguarda le nuove costruzioni:
• Nelle province si vietò di edificare nuovi fabbricati se non erano stati prima restaurati quelli
esistenti.
• Dal 364 d.C., a Roma e in altre città, si rese necessaria un’autorizzazione imperiale per
costruire nuovi edifici.
• Nel 398 d.C., fu proibito a funzionari e magistrati di avviare nuove costruzioni o rimuovere
ornamenti senza il consenso degli imperatori.
OBBLIGHI PER I CURIALI E I POSSESSORI DI IMMOBILI
Nel 377 d.C., una legge rese ancora più stringenti i doveri dei proprietari:
• I curiali erano obbligati, anche contro la loro volontà, a riparare o ricostruire edifici urbani
diroccati.
• I possessori di immobili dovevano intervenire anche sugli edifici altrui abbandonati, nella
stessa città in cui possedevano proprietà. Se si rifiutavano, l’autorità giudiziaria poteva
imporre loro i lavori.
Questi interventi dimostrano come l’interesse pubblico per il decus urbium (il decoro delle città)
prevalesse sui diritti individuali dei proprietari, soprattutto nelle aree urbane.
11. ALTEZZE E DISTANZE: REGOLAMENTAZIONI PER LA SICUREZZA E IL DECORO URBANO
REGOLE SULLE ALTEZZE DEGLI EDIFICI
Con l’aumento della popolazione urbana, si introdussero limiti alle altezze degli edifici per ridurre i
rischi di crolli e incendi:
• Augusto fissò un’altezza massima di 70 piedi (circa 20 metri) per gli edifici, tramite la lex de
modo edificiorum.
• Nerone, per prevenire gli incendi, vietò di costruire case con muri in comune e reintrodusse
l’obbligo di mantenere uno spazio vuoto (ambitus) intorno agli edifici.
• Traiano ridusse ulteriormente l’altezza massima a 60 piedi (circa 18 metri).
• Costantino stabilì che intorno ai magazzini pubblici ci fossero almeno 100 piedi di spazio
libero, impedendo edificazioni private troppo vicine.
LIMITAZIONI NEI CENTRI URBANI
Nei secoli V e VI d.C., le città (soprattutto Costantinopoli) affrontarono problemi legati
all’edificazione incontrollata, soprattutto nei quartieri più poveri. Per questo motivo:
• Furono introdotte servitù legali, obblighi imposti ai proprietari per garantire la sicurezza e
migliorare la qualità della vita urbana.
• Si adottarono regole per prevenire crolli e incendi e per salvaguardare le vedute e i
panorami, apprezzati soprattutto dai ceti più ricchi.
PROTEZIONE DELLE LUCI E DEI PANORAMI
Le tradizionali servitù (come il ne luminibus officiatur o il ne prospectui officiatur), che dipendevano
da accordi tra privati, non erano più sufficienti. Perciò, vennero introdotte nuove norme legali:
• Zenone (con una costituzione inclusa in C. 8.10.12) stabilì che i proprietari non potessero
costruire o sopraelevare edifici oscurando le luci o privando i vicini delle vedute sul mare.
• Giustiniano, nel 531 d.C., estese queste regole a tutto l’Impero:
o Divieto di costruire a meno di 100 piedi da un altro edificio, pena la demolizione
dell’opera e una multa di 10 libbre d’oro.
o Tuttavia, chi rispettava una distanza minima di 12 piedi poteva essere esonerato da
questi obblighi.
PASSAGGI OBBLIGATORI E ALTRE SERVITÙ
Le nuove servitù includevano anche:
• Il diritto di passo necessario per i proprietari di fondi interclusi, che dovevano avere accesso
attraverso le proprietà altrui.
• L’obbligo di permettere il passaggio verso luoghi di sepoltura (iter ad sepulchrum).
POSSIBILITÀ DI ACCORDI PRIVATI
Le servitù imposte per legge potevano essere modificate o annullate tramite accordi privati, dando
vita a vere e proprie servitù volontarie.
Queste regolamentazioni mostrarono come l’ordinamento urbano mirasse a bilanciare la sicurezza
pubblica e il diritto alla proprietà, rispondendo ai problemi delle città sovraffollate e alla necessità
di tutelare il decoro e il comfort degli spazi abitativi.
12. LIMITAZIONI POSTE ALLA PROPRIETÀ PRIVATA PER LE ESIGENZE DEL FISCO
Nel Tardoantico, il potere imperiale, concepito come dominatus (un potere assoluto e superiore),
implicava che tutte le proprietà, in particolare quelle fondiarie (terreni), fossero subordinate alle
necessità dello Stato. Questo portò a un indebolimento dei diritti di proprietà privata, soprattutto
per quanto riguarda i beni immobili.
In passato, i fondi provinciali (terre che appartenevano formalmente al popolo romano) erano
gestiti dai possessores(coltivatori, che non erano però proprietari, ovvero domini). Questi
dovevano pagare imposte come il tributum e lo stipendium, considerate obbligazioni reali: cioè
oneri che gravavano direttamente sulla terra.
Tuttavia, l’attenzione del fisco non si concentrava sugli edifici rurali, ma sui terreni agricoli. Con
l’imperatore Aurelianoe successivamente con Diocleziano, fu introdotto il tributo fondiario in tutto
l’Impero. Questa tassa veniva richiesta non ai proprietari legali, ma a coloro che effettivamente
coltivavano le terre (possessores), indipendentemente dalla loro titolarità formale sul bene.
Per impedire che i terreni incolti fossero abbandonati, si stabilì che i possessori di terreni fertili
dovessero prendersi carico anche dei terreni deserti e pagarne le tasse. In alcuni casi, lo Stato
assegnava forzatamente queste terre sterili ai possessori di altre terre, per garantire il pagamento
delle imposte.
LA FIGURA DEL POSSESSOR E IL DECLINO DEL DOMINIUM
Questa politica fiscale fu parte della più ampia riforma fiscale introdotta tra Diocleziano e
Costantino. Al centro del sistema venne posta la figura del possessor, cioè il soggetto che coltivava
la terra, che divenne responsabile
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