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DALLE LEGGI VALERIE ORAZIE ALLA PRIMA

ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO (449 A.C. - 264 A.C.)

1. Le leggi Valerie Orazie

Nel 449 a.C. a seguito della caduta del secondo decemvirato, l’elezione di due consoli da parte dei comizi centuriati

segnò il ritorno all’assetto repubblicano precedente. Una volta eletti, i consoli - Lucio Valerio Potìto e Marco Orazio

Barbato - entrarono in carica immediatamente. Le Dodici Tavole, comprese le ultime due, furono incise su bronzo e

pubblicate su iniziativa dei nuovi consoli o, secondo un’altra tradizione, per ordine dei tribuni della plebe. Lucio Valerio

leges

e Marco Orazio, inoltre, sottoposero all’approvazione dei comizi centuriati tre leggi, note come Valerie Orazie (

Valeriae Horatiae provocatio ad

), che furono gradite dalla plebe: una in materia di plebisciti, una in materia di

populum tribunicia potestas

e una in materia di . lex Valeria Horatia de plebiscitis

Secondo quanto riferito da Livio, in forza della prima di queste tre leggi ( ) le

deliberazioni votate dal concilio della plebe su base tributa vincolarono non solo i plebei, ma anche i patrizi. Con la

lex Valeria Horatia de provocatione ius provocationis

seconda legge ( ) non soltanto fu ripristinato il non opponibile

provocatio ad populum,

ai decemviri, ma si vietò in modo espresso la creazione di nuove magistrature esenti dalla

stabilendo come sanzione che chiunque avrebbe potuto uccidere lecitamente il trasgressore senza commettere

lex Valeria Horatia de tribunicia potestate

omicidio. La terza legge fatta approvare ai comizi ( ) sancì il

riconoscimento sul piano legislativo, e non soltanto religioso, dell’inviolabilità dei rappresentanti della plebe.

Revocati i dubbi sulla reale esistenza storica di tutte e tre le leggi, le istituzioni repubblicane ripristinate con l’elezione

libertas

al consolato di Valerio e di Orazio apparivano ancora ispirati, sì, all’ideale della di tutti i cittadini, ma risultavano

consolidate su un piano normativo che cominciava ad acquistare sempre maggiore spessore. Seppur innestato su un

ordinamento di carattere fattuale, infatti, il complesso dei tre provvedimenti riconosceva anche sul terreno giuridico, e

non soltanto religioso, il ruolo dei rappresentanti della plebe. La loro funzione di contrappeso all’esercizio del potere

patrizio contribuiva a corroborare in tal modo il sistema di garanzie deputato ad arginare il rischio di pericolose

deviazioni dai princìpi cardine dell’orientamento repubblicano e a ribadire il loro valore fondante.

Le tre leggi Valerie Orazie aprivano un nuovo periodo della storia repubblicana nel quale a una prima fase ancora

segnata dall’instabilità politica e istituzionale seguì una seconda fase di espansione e sviluppo resa possibile dalla

raggiunta concordia fra i due ordini.

2. Il plebiscito Canuleio e i tribuni militari con potestà consolare

Negli anni successivi alla pubblicazione della legislazione decemvirale e delle leggi Valerie Orazie i patrizi continuarono

a manifestare con tenacia la loro opposizione all’abolizione del divieto di connubio con i plebei. A sostegno delle

proprie ragioni essi adducevano l’argomento che, qualora consentiti, i matrimoni misti avrebbero contaminato la

mores maiorum,

purezza del loro sangue, turbando di conseguenza gli auspìci pubblici e privati. E gli auspìci, secondo i

sarebbero stati riservati in via esclusiva ai patrizi. Tale ostinazione appariva ai plebei frutto di sfrontata arroganza,

foedus Cassianum

perché già nel 493 a.C. il cosiddetto (che sancì la fine della guerra fra Roma e le città della lega

conubium

latina), aveva concesso la facoltà di ai Latini, i quali neppure erano cittadini romani.

Timorosi di vedere ostacolata dal veto tribunizio l’indizione della leva militare mentre su Roma spiravano venti di

guerra, i patrizi ritennero opportuno effettuare una concessione. Nel 445 a.C., dunque, si permise al tribuno Gaio

rogatio,

Canuleio di presentare una proposta al concilio plebeo per abolire l’antico divieto di connubio. Approvata tale il

lex Canuleia de conubio

plebiscito noto come permise finalmente di considerare come legittime nozze i matrimoni

misti e si rivelò un caposaldo degli sviluppi dell’assetto istituzionale repubblicano. I plebei riuscirono a ottenere così sul

terreno politico una significativa vittoria destinata a riflettersi sulla questione della richiesta di uno dei due posti del

consolato. I patrizi, dal canto loro, continuavano a mantenere saldo il principio che negava l’accesso dei plebei alla

magistratura di vertice dell’assetto repubblicano. Nella sostanza, tuttavia, cominciava a perdere consistenza il loro

dignitas generis

argomento principale fondato sulla cosiddetta , ossia l’asserita purezza di sangue della classe

patrizia addotta per giustificare il monopolio degli auspìci necessari a esercitare tale magistratura. In base al nucleo più

ius quiritium),

antico del diritto civile, il diritto dei quiriti ( i figli seguivano infatti la condizione giuridica del padre.

Riconoscere sul piano giuridico la legittimità delle nozze fra patrizi e plebei, di conseguenza, equivaleva ad ammettere

in modo implicito che i figli nati da matrimoni misti potessero candidarsi al consolato anche se di sangue non puro

perché concepiti da madre plebea.

Che nella sostanza si trattasse di una vittoria per i plebei è dimostrato dal fatto che proprio nel 444 a.C., ossia

nell’anno immediatamente successivo all’emanazione del plebiscito Canuleio, si fece ricorso per la prima volta a una

nuova figura di magistrati eletti dai comizi centuriati in luogo della coppia consolare. Essi erano denominati tribuni

militari con potestà consolare, perché, pur non essendo consoli, essi erano investiti di un potere consolare e

formavano un collegio composto da un numero variabile di membri. La sostituzione dei consoli con i tribuni militari con

potestà consolare al vertice del governo della Roma repubblicana si ebbe soltanto in un arco limitato di tempo, fra il

444 a.C. e il 367 a.C., anno nel quale una delle tre cosiddette leggi Licinie Sestie sancì la possibilità di eleggere un

imperium

console plebeo. In ogni caso, i tribuni militari con potestà consolare erano dotati di e di conseguenza

21 ius imaginum

potevano avere i littori al proprio servizio. Essi avevano diritto alla sedia curule, ma erano privi del e -

ius triumphandi.

pare - anche del

3. I censori e il censimento

Secondo Livio i primi censori sarebbero stati eletti nell’anno immediatamente successivo a quello nel quale si

cominciò a ricorrere alla creazione dei tribuni militari con potestà consolare. In questo contesto, al variare del

patrimonio di un cittadino mutava anche la sua posizione in seno all’esercito e alle assemblee popolari. Le periodiche

operazioni di censimento, dunque, fino a quel momento espletate dai consoli, erano indispensabili per un corretto

inquadramento dei cittadini in seno ai comizi centuriati. I censimenti andavano effettuati a cadenze regolari, che

secondo una consuetudine risalente al re Servio Tullio erano di cinque anni. I due consoli di quell’anno, tuttavia, non

potevano dedicarsi a questo compito, perché, nella loro qualità di comandanti militari, avrebbero dovuto guidare gli

eserciti nelle imminenti guerre che avrebbero visto Roma impegnata a combattere su più fronti. In tale frangente, dopo

una discussione in senato, si decise con il consenso dei patrizi e senza l’opposizione dei tribuni della plebe di istituire

una nuova magistratura patrizia destinata a occuparsi in modo specifico del censimento, stabilendone le modalità e

censores

custodendo i relativi registri. Ai collegi di magistrati già esistenti si affiancò dunque quello dei censori ( ), così

denominati perché istituiti con lo scopo specifico di provvedere al censimento dei cittadini.

I censori erano magistrati maggiori in quanto titolari di auspìci maggiori ma qualitativamente diversi da quelli dei

consoli, dei pretori e dei dittatori, i quali non potevano porre il veto alla loro attività. La circostanza che i censori fossero

imperium,

magistrati maggiori, tuttavia, non implicava la titolarità dell’ spettante invece agli altri magistrati maggiori

che, come i dittatori, i consoli e i pretori, svolgevano funzioni militari accanto a quelle civili. Per tale ragione, i censori

coercitio

non potevano esercitare la né avevano la facoltà adi convocare le assemblee popolari o il senato. Dagli altri

magistrati i censori si distinguevano sia per il tempo della loro durata in carica, che non seguiva la regola

dell’annualità, sia per le cadenze con le quali venivano eletti. L’elezione dei censori, infatti, avveniva ogni cinque anni.

A candidarsi alla censura erano di regola quanti avessero già rivestito il consolato. A differenza degli altri magistrati,

inoltre, essi entravano in carica immediatamente e ricevevano dal popolo il loro potere, qualificato in termini di

potestas lex curiata dei imperio,

, non con la ma con una legge di esclusiva competenza degli stessi comizi che li

lex centuriata de potestate censoria

avevano eletti, denominata perciò .

potestas censoria, lex

Allo scopo di dare inizio al censimento i censori, in virtù della loro emanavano un editto - la

censui censendo formula census

(o ) - nel quale si indicavano la data del censimento e i criteri impiegati per

determinare la consistenza del patrimonio di ogni cittadino. Ai censori, poi, ciascun cittadino con piena capacità

professio censualis.

giuridica era tenuto a rendere pubblicamente una dichiarazione detta Coloro che si fossero rifiutati

di partecipare al censimento senza addurre una legittima giustificazione perdevano la cittadinanza romana e la libertà.

In ogni caso, erano sanzionate le dichiarazioni false o inesatte rese ai censori. Il risultato di tutte le operazioni di

tabulae censoriae

censimento era scritto su alcuni registri, chiamati . L’aspetto più rilevante del censimento, in ogni

caso, era rappresentato dall’inquadramento di ogni cittadino in una delle tribù territoriali a seconda del luogo in cui

risiedeva o aveva la maggior parte dei suoi beni fondiari nonché, sulla base del suo patrimonio e della sua età, in una

seniores iuniores

delle centurie di o di che componevano il comizio centuriato. Concluse le operazioni del censimento,

lustratio

uno dei due censori doveva procedere alla cerimonia sacra che ne segnava la conclusione: la .

regimen morum cura morum).

In parallelo al censimento i censori esercitavano il (o Esso consisteva in un sindacato

sul comportamento pubblico e privato tenuto nel precedente quinquennio dai cittadini anche in ordine a obblighi non

prescritti dalla legge. Nel loro editto, infatti, i censori potevano indicare alcune condotte ritenute sanzionabili.

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Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

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