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La rilevanza dell’unità della famiglia ha senso compiuto anche in presenza dello
scioglimento del matrimonio. Il significato e valore del termine unità variano secondo il
variare dei rapporti tra i membri della famiglia e in particolare tra i coniugi. Spesso
l’unità esprime sia un rapporto sostanzialmente egualitario (tra coniugi) sia un
rapporto formalmente egualitario (genitori-figli minori). L’unità della famiglia è ciò
che rende comune la vita dei suoi componenti. L’unità è il più genuino strumento per
l’attuazione del rispetto pieno ed integrale della personalità dei coniugi, dei partners e
della prole. Famiglia e rapporto giuridico
La famiglia è intesa come un rapporto di tipo astrattamente non conflittuale. La
comunità familiare si mostra come un complesso di rapporti giuridici anche dopo il suo
scioglimento. Pluralità dei modelli familiari
Rilevanza della famiglia di fatto: la convivenza stabile e seria tra un uomo e una
donna o tra persone dello stesso sesso, nessuno dei quali sia legato da un pregresso
vincolo matrimoniale o unione civile, è un fenomeno di libertà che non si pone in
contrasto con precedenti libere e ufficiali assunzioni di responsabilità e che non può
essere qualificato come illegittimo o illecito. Illecita è la convivenza quando uno dei 2
sia legato da un precedente matrimonio non sciolto e non da una precedente unione
civile poiché non c’è obbligo di fedeltà.
Rapporti non fondati sul matrimonio: lo statuto della libera e stabile convivenza ai
fini della sua validità giuridica non potrà non essere conforme ai valori costituzionali.
Nel suo concreto atteggiarsi, la vita del rapporto deve sostanzialmente essere
rispettosa dei principi di ordine pubblico che sono a fondamento del sistema
ordinamentale.
Le diverse concezioni delle convivenze familiari (ante legge n.76 del 2016)
Teoria dell’irrilevanza giuridica: la convivenza fuori dal matrimonio sarebbe un
fatto giuridicamente irrilevante. L’indifferenza dell’ordinamento apparirebbe l’unica
risposta coerente per una coppia che ha deliberatamente deciso di vivere fuori
dallo schema tipico.
Teoria della piena equiparazione: assegnava alla semplice convivenza una
rilevanza giuridica del tutto identica a quella riservata alla famiglia legittima.
Teoria dell’applicazione analogica: sosteneva un’applicazione analogica alla
famiglia di fatto della normativa prevista per la famiglia legittima.
Teoria della regolamentazione rimessa all’autonomia negoziale: traduce
l’esigenza di libertà nella regolamentazione del rapporto rimessa esclusivamente
all’autonomia negoziale. Ogni esigenza di tutela avanzata da uno dei conviventi
troverebbe risposta soltanto se e in quanto i conviventi abbiano preventivamente,
mediante negozi giuridici, disciplinato l’esigenza medesima.
Famiglia non fondata sul matrimonio
La famiglia non fondata sul matrimonio quando risponde all’esigenza di sviluppo delle
persone che ne fanno parte e/o di educazione dei figli, rappresenta un valore
meritevole di tutela. Negozi familiari
L’ampliarsi dei contenuti dei negozi familiari e la varietà degli interessi sottesi ai
medesimi pongono il problema dell’individuazione della disciplina applicabile. Il
controllo di meritevolezza degli atti e l’individuazione della disciplina del singolo
negozio passano attraverso l’applicazione diretta dei principi.
Indirizzo familiare: regole dell’accordo
Espressione di libertà è il potere riconosciuto ai coniugi, alle parti dell’unione civile e ai
conviventi di concordare l’indirizzo della vita familiare interpretando le esigenze di
entrambi e della famiglia.
Oggetto dell’accordo: l’accordo concerne non soltanto aspetti di diretta rilevanza
patrimoniale, ma anche scelte di vita dei singoli e del gruppo, con incidenza su
questioni attinenti i modi dell’esistenza.
Natura dell’accordo: 2 teorie
Teoria non negoziale: secondo cui l’accordo era una dichiarazione plurisoggettiva
non negoziale alla quale sarebbe stata inapplicabile la disciplina dell’annullamento
per vizi e quella della capacità di agire.
Teoria negoziale: secondo cui l’accordo era un atto negoziale.
Per le convivenze di fatto è esclusa la possibilità di discorrere di patti di pre-
convivenza, poiché secondo l’interpretazione prevalente, la quale recita che la loro
registrazione presso gli uffici dello stato civile non abbia efficacia costitutiva del
rapporto. Mentre invece è aperta la questione dell’ammissibilità di negozi
prematrimoniali e pre-unioni civili. L’autonomia negoziale nel campo della famiglia non
può essere incontrollata; infatti, c’è la possibilità dell’intervento del giudice per
sancire l’iniquità dell’accordo sugli alimenti.
Responsabilità genitoriale e libertà dei minori d’età capaci di discernimento
Responsabilità genitoriale: esprime una concezione egualitaria, partecipativa e
democratica della comunità familiare. Assume una funzione educativa piuttosto che
di gestione patrimoniale ed è ufficio finalizzato alla promozione delle potenzialità
creative dei figli. È fondata sullo status filiationis giuridicamente accertato: essa esiste
per il fatto della procreazione e perdura nelle diverse forme di separazione. L’esercizio
di essa, s’incentra esclusivamente sull’interesse del minore d’età.
Nell’individuazione di tale interesse la valutazione del giudice va espressa con
prudenza ed equilibrio, immedesimandosi nella situazione concreta, alla luce del
personalismo costituzionale.
Minore emancipato: il tribunale su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità
psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il PM, i genitori o il tutore, può
con decreto emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio
chi abbia compiuto 16 anni. Non v’è ragione di riconoscere al minore alcune possibilità
per le situazioni patrimoniali e non, per quelle esistenziali, per le quali la titolarità del
diritto potrebbe essere strettamente collegata all’esercizio dello stesso e dove la
scissione tra capacità giuridica e di agire non ha giustificazione costituzionale. In tale
contesto, infatti, basta richiedere la capacità di discernimento. La legittimazione
processuale ha fondamento nell’applicazione diretta dell’art. 24. “tutti possono
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi”.
Ascolto del minore d’età
L’ascolto del minore è essenziale e non soltanto nelle fasi processuali. Il minore d’età
che abbia compiuto 12 anni e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha il
diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il
minore è considerato necessariamente soggetto attivo e partecipe del suo destino.
L’ascolto, quale diritto fondamentale del minore, sussiste sia nel processo, sia a
fortiori (al di fuori di esso). All’ascolto provvede il presidente del tribunale o un giudice
da questi delegato. Ruolo del giudice minorile
Il rapporto tra giudice minorile ed ente locale si deve tradurre
nell’appropriazione da parte del giudice del momento decisionale in merito ai
provvedimenti sul minore d’età e nell’attento controllo sulla loro esecuzione. Affinchè il
dialogo tra giudice ed esperti sia proficuo, egli deve essere fornito di una
particolare professionalità che si sostanzi in una valida attitudine a cogliere l’universo
del minore d’età calato nella società.
Rapporto giudice-operatore del territorio deve essere di leale collaborazione.
Al fine di assumere il provvedimento più adeguato è necessaria un’inversione
metodologica che parta dal caso concreto. Ciò esige che il giudice minorile sia dotato
di una specializzazione. Cenni all’adozione
Gli istituti adottivi costituiscono una risposta settoriale ai problemi dell’emarginazione
dei minori. La società si impegna nella rimozione delle cause e deve provvedere che
siano assolti i compiti dei genitori in caso di inidoneità. Nella relazione tra la famiglia
di sangue e quella adottiva, vede privilegiata la seconda se e in quanto idonea ad
assicurare gli affetti e il diritto all’educazione, nell’interesse del minore d’età. Per
quanto riguarda l’adozione del minore è preferibile la scelta di adottanti conviventi,
con una convivenza stabile e seria. Nella procedura dell’adozione è centrale la
dichiarazione dello stato di adottabilità, in situazioni di abbandono morale (i
genitori sono completamente disinteressati dei figli, lasciandoli a privati, istituti o
comunità di tipo familiare) e materiale (l’ordinamento riconosce al genitore il diritto di
ricevere dallo Stato, i mezzi necessari per mantenere la prole, così prevenendo
l’abbandono e consentendo al minore di essere educato nell’ambito della propria
famiglia). L’adottato è informato della sua condizione e avrà il diritto di conoscere
le proprie origini mediante l’accesso alle informazioni relative alla sua provenienza e
all’identità dei genitori biologici, al raggiungimento del 25esimo anno d’età (o 18 anni
se sussistono gravi motivi di salute psico-fisica).
Affidamento del minore d’età
Il fondamento unitario delle ipotesi di affidamento è esclusivamente
l’interesse del minore d’età. L’affidamento può essere utilizzato per il minore che si
trovi in stato di abbandono non determinato da condizioni di forza maggiore, chi pur
avendo con i genitori un rapporto valido sul piano affettivo, non abbia uno stabile o
adeguato focolare domestico, chi viva una temporanea carenza di legami familiari.
Il presupposto dell’istituto è individuato in “temporaneamente privo di un
ambiente familiare idoneo”, dunque, la non temporaneità della situazione di
abbandono è un presupposto necessario e sufficiente per la dichiarazione dello stato di
adottabilità.
Due tipi di affidamento:
affidamento familiare: si realizza a favore di una diversa da quella di origine o
o una comunità di tipo familiare. Le finalità di tale affidamento (mantenimento,
educazione e istruzione) si traducono in poteri e obblighi per l’affidatario.
affidamento-ricovero: la funzione che si propone di realizzare si caratterizza per
o il “ricovero” del minore d’età. È pr