L’obbligo di risarcire il danno ricade normalmente su chi lo ha causato, ma il codice prevede casi in
cui esso grava anche su terzi, a tutela del danneggiato. In particolare, chi ha il dovere di sorvegliare
un soggetto incapace di intendere o volere risponde per i danni da questi causati, non perché
l’incapace sia direttamente responsabile, ma per garantire alla vittima un soggetto cui rivolgersi per
ottenere il risarcimento. La responsabilità del sorvegliante richiede un fatto illecito causante danno e
l’esistenza di un obbligo di sorveglianza, che può derivare dal rapporto genitoriale, tutelare o dalla
gestione di strutture affidatarie, nonché da situazioni di fatto in cui un soggetto scelga
volontariamente di assumere tale funzione.
La responsabilità per danni cagionati da incapaci o da soggetti sotto tutela si estende a chi ha il
dovere di sorveglianza, ma tale obbligo può essere considerato responsabilità per fatto proprio,
derivante dalla violazione del dovere stesso. Genitori e tutore rispondono dei danni causati da figli
minori non emancipati o da persone sottoposte a tutela solo se questi sono capaci di intendere e
volere, concorrendo con la responsabilità diretta del minore o dell’interdetto e fondandosi sulla
convivenza, che consente la vigilanza. Analoga responsabilità grava su precettori e maestri d’arte
per danni causati da allievi o apprendisti sotto la loro sorveglianza, applicandosi le stesse condizioni
relative alla capacità di intendere e volere e alla possibilità di liberarsi dimostrando di aver
adempiuto al dovere di controllo.
La responsabilità degli insegnanti, istruttori o maestri d’arte si estende ai danni commessi dai
minori sotto la loro vigilanza, comprensiva non solo delle lezioni ma anche di momenti ricreativi o
escursioni, e si aggiunge solidalmente a quella del minore stesso e dei genitori, se la violazione del
dovere educativo contribuisce all’illecito. La legge prevede che il personale scolastico dello Stato
risponda internamente solo nei confronti dello Stato in caso di omessa o carente vigilanza sugli
alunni, che potrà esercitare rivalsa solo per dolo o colpa grave.
La responsabilità del datore di lavoro o del committente per i danni causati da domestici o
dipendenti nell’esercizio delle loro mansioni si fonda sul rapporto di preposizione, per cui chi trae
utilità dall’attività altrui e ne esercita direzione e controllo risponde solidalmente per gli illeciti del
preposto. Tale responsabilità si applica a varie fattispecie di subordinazione o sorveglianza, mentre
in assenza di controllo diretto, come nel caso di appaltatori autonomi, il rapporto di preposizione e
quindi la responsabilità indiretta non sussiste, salvo che il committente ingerisca concretamente
nell’esecuzione del lavoro.
La giurisprudenza amplia l’ambito della responsabilità del preponente ogni volta che un soggetto
incarica un altro di svolgere un’attività per suo conto, rendendo possibile il fatto illecito, anche
quando il controllo sul preposto è limitato. La responsabilità indiretta del preponente sussiste solo
se il preposto commette un illecito che cagiona danno e l’atto illecito avviene nell’esercizio delle
incombenze affidate, intendendo sufficiente un nesso di “occasionalità necessaria” che renda
l’evento dannoso possibile. Questo nesso può sussistere anche quando il preposto agisce fuori dalle
istruzioni, oltre i limiti del proprio incarico o per fini estranei, purché l’atto non sia del tutto
scollegato dalla natura e dalle modalità dell’incarico. In tal modo si rafforza la tutela del
danneggiato ampliando la responsabilità oggettiva e indiretta del preponente.
La responsabilità del preponente è oggettiva e non ammette prova liberatoria: egli risponde per il
solo fatto di avvantaggiarsi dell’attività del preposto, indipendentemente da eventuali colpe nella
scelta, nelle istruzioni o nella vigilanza. Tale responsabilità si somma a quella del preposto, creando
solidarietà verso il danneggiato, che può chiedere l’intero risarcimento a uno o entrambi.
Successivamente, il preponente può agire in regresso sul preposto, se questi ha concorso alla
causazione del danno. Analogamente, il proprietario di un edificio risponde della rovina dovuta a
vizi costruttivi senza possibilità di esonerarsi, ma ha diritto di rivalsa verso chi ha progettato, diretto
o eseguito i lavori. Per i veicoli senza guida su rotaie, la responsabilità oggettiva grava sul
conducente, sul proprietario e, in solido, sul costruttore, con possibilità di regresso da parte di chi ha
risarcito la vittima nei confronti del produttore.
La responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli senza guida di rotaie grava
solidalmente sul conducente, per fatto proprio, e sul proprietario o soggetti equiparati, per fatto
altrui, a tutela della vittima. In caso di leasing, risponde l’utilizzatore e non la società concedente.
La responsabilità del proprietario presuppone quella del conducente: se quest’ultimo non è
obbligato a risarcire, neppure il proprietario risponde. Al proprietario è consentita una prova
liberatoria, che richiede la dimostrazione di aver adottato tutte le misure concrete idonee a impedire
la circolazione del veicolo; non basta quindi l’assenza di consenso o un divieto espresso, né il furto
del veicolo senza ulteriori accorgimenti. Una volta risarcita la vittima, il proprietario può esercitare
l’azione di regresso sul conducente. 466. Il danno.
L’obbligo risarcitorio nasce solo se dal fatto illecito deriva un danno, distinguendo tra il «danno
evento», ossia la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, e il «danno conseguenza», cioè i
pregiudizi effettivamente subiti dalla vittima in seguito a tale lesione. Mentre il danno evento
caratterizza l’illiceità del fatto, il risarcimento riguarda esclusivamente il danno conseguenza: se
questo non si manifesta, l’obbligo risarcitorio non sorge, a differenza della responsabilità penale che
può sussistere anche in assenza di danni concreti.
Il danno conseguenza consiste in qualsiasi peggioramento della situazione del soggetto rispetto a
quella che si sarebbe avuta senza il fatto illecito, comprendendo anche la perdita di chance, ossia la
concreta probabilità di ottenere un beneficio perduta a causa dell’illecito, purché supportata da
elementi oggettivi. Il danno si distingue in patrimoniale, relativo a interessi economici, e non
patrimoniale, relativo a interessi personali non economici, e la stessa lesione può dare origine
contemporaneamente a entrambe le tipologie, come nel caso di lesioni fisiche che comportano sia
spese e perdite di reddito sia sofferenze e alterazioni della vita quotidiana.
Un medesimo illecito può danneggiare contemporaneamente più soggetti, come nel caso della
morte o del grave ferimento di una persona che produce effetti negativi anche sui familiari, definiti
impropriamente danno riflesso ma riconducibili a un unico fatto dannoso che lede più situazioni
giuridiche, ossia un illecito plurioffensivo. Il risarcimento riguarda solo i danni immediati e diretti
derivanti dall’illecito secondo il principio della causalità giuridica, senza limitazione alla
prevedibilità: chi causa un danno extracontrattuale è tenuto a risarcire sia i danni prevedibili sia
quelli imprevedibili che risultano conseguenza diretta della sua condotta.
Quando sussistono tutti i presupposti della responsabilità extracontrattuale, il danneggiante è tenuto
a risarcire il danno sia mediante pagamento di una somma di denaro proporzionata al pregiudizio
subito sia, eventualmente, attraverso la rimozione diretta del danno, con possibilità di combinare
entrambe le forme per coprire sia gli effetti immediati sia quelli futuri dell’illecito. Il risarcimento
per equivalente rappresenta un tipico debito di valore, mentre in caso di danno permanente alla
persona è prevista, seppure raramente applicata, la corresponsione di una rendita vitalizia. L’obbligo
risarcitorio mira a ripristinare integralmente la situazione della vittima, senza eccedenze o
insufficienze rispetto a quanto necessario a farle recuperare la condizione che avrebbe avuto in
assenza dell’illecito.
Nella quantificazione del risarcimento occorre sottrarre eventuali effetti positivi prodotti
direttamente dal medesimo illecito nella sfera del danneggiato, secondo il principio della
compensatio lucri cum damno. La giurisprudenza distingue tra i casi in cui il danneggiante è tenuto
anche a prestazioni con finalità compensativa parallele, da detrarre dal risarcimento per evitare
arricchimento ingiustificato, e quelli in cui il danneggiato riceve prestazioni da terzi, detraibili solo
se tali prestazioni hanno la funzione di rimuovere le conseguenze negative dell’illecito e se l’autore
del danno può rimborsare il terzo. In assenza di uno di questi presupposti, la compensatio non si
applica, preservando sia l’integrità del risarcimento sia l’equilibrio tra le parti.
In linea generale il risarcimento non può eccedere quanto necessario a riparare il danno subito, ma
la legge prevede eccezioni in cui somme aggiuntive, non direttamente correlate al danno effettivo,
hanno funzione sanzionatoria e deterrente, come nei casi di diffamazione a mezzo stampa o di mala
fede in giudizio. Tali prestazioni, assimilabili ai c.d. “danni punitivi”, perseguono finalità punitive
più che compensative e si ritrovano anche in norme recenti che consentono al giudice di fissare
importi dovuti per inosservanza di provvedimenti, indipendentemente dall’esistenza di un danno
concreto, evidenziando come l’ordinamento contempli casi di obblighi pecuniari con funzione non
risarcitoria.
La Corte ha chiarito che le prestazioni pecuniarie di natura sanzionatoria richiedono una chiara
previsione normativa, limiti quantitativi definiti e proporzionalità rispetto sia al risarcimento che
alla condotta dell’autore, escludendo la possibilità per i giudici di imporre somme punitive senza
un’esplicita base di legge, in ossequio ai principi di tipicità, prevedibilità e proporzionalità sanciti
dall’art. 23 Cost. 467. Il danno patrimoniale.
Il danno patrimoniale consiste nell’alterazione negativa del patrimonio della vittima rispetto a
quanto avrebbe avuto senza il fatto illecito e comprende sia il danno emergente, cioè la diminuzione
effettiva del patrimonio, sia il lucro cessante, ossia il mancato guadagno derivante dall’illecito. Il
risarcimento riguarda sia il danno già subito al momento della liquidazione sia quello futuro,
includendo spese necessari
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