36. ENTI RELIGIOSI E PROCEDURE CONCORSUALI
ATTIVITÀ D’IMPRESA E CRISI ECONOMICA
Quando un ente ecclesiastico svolge un’attività imprenditoriale, ci si chiede se debba sottostare anche
alle procedure previste per la crisi d’impresa e l’insolvenza.
La risposta è sì: anche un ente ecclesiastico può essere soggetto a queste regole.
Lo ha confermato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) che,
all’art. 1, dice che queste norme si applicano a:
“situazioni di crisi o insolvenza del debitore imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro,
un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando come persona giuridica o altro ente collettivo”.
ECCEZIONE PER LE IMPRESE SOCIALI
C’è però un’eccezione: l’art. 14, ultimo comma, del d.lgs. n. 112 del 2017 esclude l’applicazione della
liquidazione coatta amministrativa per gli enti ecclesiastici riconosciuti civilmente che svolgono attività
di impresa sociale e si trovano in stato di insolvenza.
Resta però incerto se questa esclusione valga anche per le imprese che non hanno la qualifica di
impresa sociale.
PROTEZIONE DELLE ATTIVITÀ RELIGIOSE E DEI BENI
Quando un ente ecclesiastico imprenditore è sottoposto a procedure concorsuali, è necessario tutelare
la sua struttura e le sue finalità religiose.
La giurisprudenza ha stabilito che: 89
• bisogna distinguere tra l’attività imprenditoriale e le attività religiose o di culto, che sono la
finalità principale dell’ente.
• il patrimonio dell’ente, che serve sia per l’impresa sia per la religione, deve essere analizzato
separatamente.
• solo i beni usati per l’attività d’impresa, o quelli non collegabili neppure indirettamente alle
attività religiose, possono essere coinvolti nelle procedure di liquidazione.
Questo approccio è coerente con le norme attuali, che impongono, in ogni caso, di:
• salvaguardare le attività religiose e i beni ad esse destinati, per la loro funzione costituzionale
e la protezione concordataria che hanno
il Codice della crisi può applicarsi pienamente solo alle attività d’impresa e ai beni non religiosi, mentre
le attività e i beni legati al culto e alla religione devono essere esclusi da queste procedure.
37. ENTI RELIGIOSI, RIFORMA DEL TERZO SETTORE E IMPRESA
SOCIALE
La riforma del Terzo settore è iniziata con la legge delega n. 106 del 6 giugno 2016.
Successivamente, sono stati approvati vari decreti legislativi:
• n. 40 del 6 marzo 2017, sul servizio civile universale,
• n. 111 del 3 luglio 2017, sul cinque per mille,
• n. 112 del 3 luglio 2017, sull’impresa sociale,
• n. 117 del 3 luglio 2017, contenente il Codice del Terzo settore.
La riforma non è ancora del tutto completa, perché:
• mancano alcuni decreti ministeriali su aspetti non marginali della disciplina,
• si attende il via libera dalla Commissione europea, che deve verificare se il nuovo regime fiscale
previsto per gli enti del Terzo settore rispetti le norme UE contro gli aiuti di Stato.
Il Codice del Terzo settore, all’art. 4, comma 3, stabilisce che le norme del Codice si applicano agli enti
religiosi civilmente riconosciuti (e alle fabbricerie) solo per le attività di interesse generale.
Tali attività sono specificamente elencate all’art. 5 e comprendono, ad esempio, servizi sanitari,
educativi, culturali, sociali, ecc.
Si applicano anche alle attività secondarie e strumentali collegate a quelle principali.
Una disposizione analoga è presente anche nel decreto legislativo n. 112/2017 sull’impresa sociale,
per gli enti religiosi civilmente riconosciuti che esercitano un’attività imprenditoriale nei settori
elencati all’art. 2 del decreto.
Con queste norme, il legislatore ha voluto includere gli enti religiosi nel Terzo settore, permettendo
loro di:
• accedere al nuovo regime giuridico introdotto dalla riforma,
• conservare la propria identità e struttura organizzativa,
• continuare liberamente le proprie attività istituzionali.
Un esempio concreto: una parrocchia che opera nell’istruzione o nell’assistenza sociale può creare un
ramo specifico dedicato a queste attività, che sarà considerato Ente del Terzo Settore (ETS).
Questo ramo è soggetto alla relativa disciplina e può godere dei benefici previsti per gli ETS. 90
Se le attività di interesse generale vengono svolte principalmente in forma di impresa, quel ramo può
anche essere qualificato come impresa sociale, accedendo così anche al regime premiale riservato a
tali imprese.
Tuttavia, per accedere a queste possibilità, gli enti religiosi civilmente riconosciuti devono rispettare
tre condizioni precise:
a) Adozione di un regolamento interno
Devono redigere un regolamento (atto pubblico o scrittura privata autenticata), che:
• rispetti la struttura e le finalità religiose dell’ente,
• recepisca, secondo i casi, le norme del Codice del Terzo settore oppure del d.lgs. n.
112/2017 sull’impresa sociale.
b) Costituzione di un patrimonio destinato
Devono creare un patrimonio separato, destinato esclusivamente:
• alle attività di interesse generale,
• e a quelle secondarie e strumentali.
Per i debiti contratti da questo ramo, l’ente risponde solo con quel patrimonio.
Gli altri creditori dell’ente non possono agire su quel patrimonio separato.
Questa è una deroga all’art. 2740, comma 2, c.c. e produce un effetto di segregazione patrimoniale:
• il patrimonio del ramo è protetto dagli altri debiti dell’ente,
• e viceversa.
c) Tenuta separata delle scritture contabili
Devono mantenere una contabilità separata, secondo:
• l’art. 13 del Codice del Terzo settore,
• oppure l’art. 9 del d.lgs. n. 112/2017, a seconda dei casi.
ISCRIZIONE AL RUNTS
Gli enti religiosi che vogliono accedere al Terzo settore devono anche iscriversi al Registro Unico
Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), fornendo:
• tutte le informazioni richieste,
• e gli allegati previsti dal decreto ministeriale del 15 settembre 2020, n. 106.
Eccezione: gli enti religiosi con ramo di impresa sociale non devono iscriversi al RUNTS, ma al Registro
delle imprese, come previsto dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 112/2017.
Tuttavia, devono comunque comunicare al RUNTS i dati non presenti nel Registro delle imprese.
39. GLI ENTI DELLE CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA
DISTINZIONE TRA ENTI CON INTESA E ENTI SENZA INTESA
Per quanto riguarda gli enti religiosi non cattolici, bisogna distinguere due categorie:
• Quelli collegati a confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato, secondo l’art.
8, comma 3 della Costituzione. Questi enti sono riconosciuti e regolati dalle leggi che approvano
le singole intese. 91
• Quelli legati a confessioni senza intesa, che possono comunque ottenere la personalità giuridica
civile come istituti o enti di culto, grazie alla legge 24 giugno 1929, n. 1159 (nota come Legge
sui culti ammessi).
RICONOSCIMENTO CIVILE DEGLI ENTI SENZA INTESA
Gli enti religiosi senza intesa possono essere riconosciuti come enti di culto solo se rispettano requisiti
precisi fissati dalla l. n. 1159/1929, dalle norme di attuazione e da alcune regole sviluppate nel tempo
dalla prassi amministrativa.
REQUISITI PER IL RICONOSCIMENTO
d) Riti e principi
L’ente non deve seguire riti o sostenere principi contrari all’ordine pubblico o al buon
costume.
Questo limite va interpretato in relazione agli artt. 8, comma 2 e 19 della Costituzione, cioè
come un confine generale che impedisce il riconoscimento di enti che si oppongano ai principi
fondamentali dello Stato e alla morale comune.
e) Ulteriori requisiti dalla prassi amministrativa
Con il tempo, l’amministrazione ha richiesto anche altri requisiti, oggi considerati obbligatori,
sebbene alcuni pongano dubbi sulla loro compatibilità con la Costituzione.
I principali requisiti sono:
L’atto costitutivo e lo statuto dell’ente devono essere redatti in forma notarile pubblica.
o Lo statuto deve contenere gli stessi elementi previsti dall’art. 10 del r.d. n. 289/1930 e
o dall’art. 16 c.c..
Lo scopo dell’ente deve essere prevalentemente religioso oppure di culto.
o L’ente deve svolgere attività religiosa effettiva, in particolare attività di culto.
o L’ente deve fare riferimento a una specifica fede religiosa, i cui principi devono essere
o descritti in una relazione allegata alla domanda.
Ci deve essere un legame giuridico tra gli aderenti, basato sulla libera condivisione di
o una fede religiosa.
▪ Questo vincolo non può essere di tipo contrattuale né può prevedere obblighi
economici per far parte dell’ente.
La comunità religiosa di riferimento deve avere una certa rilevanza numerica, valutata
o così:
▪ 500 persone, se la confessione è concentrata in una zona circoscritta.
▪ 5.000 persone, se è diffusa su tutto il territorio nazionale.
Il rappresentante legale deve essere cittadino italiano e avere domicilio in Italia.
o Gli amministratori devono avere un’idoneità morale.
o L’ente deve disporre di mezzi economici e patrimoniali adeguati per raggiungere i suoi
o scopi religiosi.
PROCEDURA PER IL RICONOSCIMENTO CIVILE
Il riconoscimento come istituto di culto avviene tramite decreto del Presidente della Repubblica, su
proposta del Ministro dell’Interno, dopo aver ottenuto:
1. il parere del Consiglio di Stato; 92
2. il parere del Consiglio dei Ministri, che valuta anche l’opportunità politica del riconoscimento.
Questo giudizio non può essere contestato in sede giurisdizionale.
Il decreto può anche contenere regole speciali su come lo Stato esercita vigilanza e controllo sull’ente.
ISCRIZIONE NEI REGISTRI E REGIME SPECIALE
Gli enti di culto non sono obbligati a iscriversi nei registri delle persone giuridiche presso le prefetture,
anche se molti lo fanno comunque.
Questo perché la l. n. 1159/1929 e il r.d. n. 289/1930 sono considerate norme speciali salvaguardate
dall’art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 361/2000.
Perciò, l’assenza di iscrizione non limita la validità verso i terzi delle regole contenute negli statuti
sull’attività degli amministratori o dei rappresentanti.
POTERE DI VIGILANZA E TUTELA DELLO STATO
Il r.d. n. 289/1930, che attua la legge sui culti ammessi, prevede per lo Stato:
1. il potere di vigilare sulle attività degli enti di culto;
2.
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