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CAPITOLO 7 – LA SEPARAZIONE PERSONALE E LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO
La crisi della famiglia
▪
Il codice del 1942 considerava la famiglia come una formazione sociale da salvaguardare in ogni caso; non a
caso, uno dei principi ispiratori di questo sistema era quello dell’indissolubilità del matrimonio: la separazione
personale dei coniugi era ammessa solo in determinati casi, in presenza del consenso di entrambi o per i motivi
espressamente previsti dal legislatore; inoltre, la separazione poteva essere chiesta soltanto dal coniuge
incolpevole.
L’evoluzione dei costumi e delle relazioni sociali incide anche sulle istanze e le esigenze familiari: al fine di
rispondere adeguatamente a tali cambiamenti, nel 1970 viene introdotto in Italia l’istituto del divorzio. Il
dibattito che ne consegue porta alcuni partiti politici ad indire un referendum abrogativo, che si tiene nel 1974
ed ha esito negativo. Le diverse riforme che si susseguono in tema di diritto di famiglia introducono diverse
novità:
• vengono ampliati i casi di separazione, attribuendo ad entrambi i coniugi la possibilità di richiederla,
indipendentemente da chi detiene la colpa
• viene rinnovata la disciplina relativa all’affidamento dei figli e ai rapporti patrimoniali
• l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve” abbrevia i tempi di attesa tra la separazione personale e lo
scioglimento del matrimonio
Divorzio e separazione sono considerati istituti diversi: la separazione ha carattere transitorio e non incide
sull’integrità del rapporto, mentre il divorzio ha carattere definitivo e scioglie ogni vincolo con l’altro coniuge. Se
nella riforma del 1975 la separazione concedeva ai coniugi un periodo di tempo per riflettere sull’effettiva
volontà di porre fine al rapporto, ad oggi sembra costituire sempre di più la fase preliminare dello scioglimento
del matrimonio.
Oggi la crisi coniugale è affrontata mediante varie modalità esecutive: tra queste, la convenzione di
negoziazione assistita, la richiesta congiunta di separazione e il divorzio breve. Tali strumenti hanno contribuito
a trasformare la separazione in quello che potremmo definire un “processo di contrattualizzazione” della coppia
e della famiglia, affiancandosi ad altre modalità che vanno sotto il nome di mediazione familiare e pratica
collaborativa.
Parallelamente alle innovazioni in materia di separazione, si rinnova anche il favor legislativo del nostro
ordinamento, che non è più verso un’istituzione, ma verso lo sviluppo e la realizzazione della persona, che
avvengono proprio all’interno della famiglia: di conseguenza, se il nucleo non è più in grado di assolvere alla
sua funzione in questo senso, allora viene meno anche la ragione della sua sussistenza.
La separazione di fatto e la separazione temporanea
▪
Il nostro ordinamento ammette tre tipologie di separazione:
• la separazione giudiziale si ottiene mediante la sentenza di un giudice e vi si ricorre quando non vi è
accordo tra i coniugi sulle condizioni della separazione
• la separazione consensuale si verifica quando i coniugi manifestano comune accordo relativamente alla
separazione
• la separazione di fatto si ha quando i coniugi decidono di interrompere il matrimonio in maniera informale
La separazione di fatto si realizza con la cessazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi;
l’abbandono della residenza familiare, ad esempio, rappresenta un caso di separazione fatto,
indipendentemente dai motivi che lo abbiano originato e quando ad esso segua l’interruzione della convivenza.
Un’altra tipologia di separazione è quella temporanea. Questa può essere disposta dal giudice in alcune
circostanze, ad esempio:
• nel periodo che precede la sentenza di separazione o divorzio
• quando i coniugi propongono la domanda di nullità del matrimonio
Il legislatore impone il rispetto dei doveri coniugali anche durante il periodo di separazione temporanea e la loro
violazione costituisce causa di richiesta di addebito.
La separazione consensuale
▪
Si parla di separazione consensuale quando i coniugi decidono di comune accordo di porre fine al matrimonio.
Vi sono poi delle opinioni contrastanti in merito all’ammissibilità dei cosiddetti “patti predivorzili”, cioè accordi
stipulati tra i coniugi nel corso del matrimonio in vista dell'eventuale divorzio: se da un lato la giurisprudenza
reputa questi accordi nulli, poiché riguardanti situazioni soggettive indisponibili, dall’altro la dottrina sostiene
che tali accordi debbano rientrare nell’ambito di autonomia dei coniugi; a risoluzione di questo dibattito è
intervenuta la corte di Cassazione, la quale ha stabilito la legittimità dei patti in previsione del divorzio, purché
siano meritevoli e non costituiscano un pregiudizio nella tutela del coniuge più debole.
Perché l’accordo di separazione produca i suoi effetti, è necessaria una pronuncia del tribunale detta
omologazione. Prima di omologare la separazione, il giudice verifica se è possibile la riconciliazione tra i
coniugi; in caso di esito negativo, si procede al controllo del contenuto dell’accordo; se quest’ultimo è in
contrasto, ad esempio, con l’interesse della prole, il giudice invita i coniugi ad effettuare le modifiche
necessarie.
Vi sono poi dei metodi alternativi di risoluzione della crisi coniugale, noti come “Alternative Dispute Resolution”:
tra questi, in Italia, si fa riferimento alla mediazione familiare e alla pratica collaborativa.
La mediazione familiare consiste in una serie di interventi assistenziali, eseguiti da professionisti di diversi
settori, al fine ridimensionare il conflitto tra i coniugi.
La pratica collaborativa, invece, fa riferimento a tecniche di assistenza legale attraverso cui, con la
collaborazione di due avvocati, si sottoscrive un accordo con il quale i coniugi si impegnano al rispetto di alcune
regole fondamentali per il percorso di risoluzione del conflitto.
Nel 2014, inoltre, sono state introdotte due procedure semplificate che gradualmente andranno a sostituirsi alla
separazione consensuale, cioè la convenzione di negoziazione assistita e la richiesta congiunta innanzi
all’ufficiale di stato civile.
La convenzione di negoziazione assistita consiste nell’accordo concluso tra i coniugi, assistiti da almeno un
avvocato per parte, al fine di giungere ad una soluzione consensuale di separazione o divorzio senza ricorrere al
tribunale. Il procedimento si chiude con il nulla osta del procuratore della Repubblica, che è tenuto a verificare
la regolarità della procedura e dell’accordo e, in presenza di figli minori o figli maggiorenni incapaci,
diversamente abili in modo grave o economicamente non autosufficienti, deve essere verificato anche il
contenuto dell’accordo, che non deve essere in contrasto con gli interessi dei figli; qualora l’accordo non
rispettasse quest’ultimo requisito, i coniugi saranno convocati dal tribunale. Solo quando l’accordo sarà
autorizzato dalle autorità giudiziarie, gli avvocati ne trasmetteranno una copia all’ufficiale di stato civile.
La richiesta congiunta innanzi all’ufficiale di stato civile consiste in un accordo tra coniugi che ha le stesse
finalità della negoziazione assistita: con questo procedimento, i coniugi si accordano sulle condizioni della
separazione o del divorzio e dichiarano all’ufficiale di stato civile la loro intenzione di separarsi o divorziare
secondo le modalità indicate nell’accordo, il quale non può contenere patti relativi a trasferimenti patrimoniali.
Questo procedimento non richiede la presenza degli avvocati e non può essere applicato in presenza di figli
minori o figli maggiorenni incapaci, diversamente abili in modo grave o economicamente non autosufficienti.
La separazione giudiziale
▪
La separazione giudiziale si ottiene mediante la sentenza di un giudice e vi si ricorre quando non vi è accordo
tra i coniugi sulle condizioni della separazione o sulla stessa volontà di separarsi.
La separazione può essere chiesta in presenza di due presupposti: l’intollerabilità della convivenza (valutata
sulla base di criteri soggettivi) e fatti o elementi che costituiscono un pregiudizio per l’educazione dei figli.
In alcuni casi, l’intollerabilità della convivenza può anche essere determinata da fatti non legati alla volontà del
coniuge, come la sterilità o una grave malattia nervosa.
La richiesta di separazione può essere effettuata solo dai coniugi: i parenti, seppur con lo scopo di tutelare gli
interessi dei figli, hanno il solo diritto di sollecitare il controllo giudiziario sull’esercizio della responsabilità
genitoriale.
Il procedimento di separazione si articola in due fasi:
1. nella prima fase, entrambi i coniugi sono chiamati a comparire davanti al Presidente del Tribunale: durante
l’udienza di comparizione, il Presidente sente i due coniugi uno alla volta e poi entrambi insieme, al fine di
tentare una conciliazione tra le parti; se questa ha esito positivo, il Presidente mette a verbale l’avvenuta
riconciliazione. Se invece il tentativo di riconciliazione ha esito negativo, il Presidente, sentiti i coniugi ed i
rispettivi difensori, i figli minori di almeno 12 anni e di età inferiore se dotati di capacità di discernimento,
può adottare dei provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei figli o dei coniugi
2. durante la seconda fase, il giudice raccoglie tutti gli elementi utili ai fini della decisione. Il procedimento si
conclude con una sentenza di separazione emessa dal Tribunale, che regolamenta i rapporti tra coniugi e tra
rebus sic stantibus
questi e i figli; in riferimento a questi ultimi, si tratta di provvedimenti presi (allo stato
attuale delle cose), per i quali può essere richiesta la revisione da parte dei coniugi.
Dietro richiesta dei coniugi o autonomamente, il giudice può dichiarare a quale dei coniugi è addebitabile la
separazione ma può accadere anche che questa sia addebitata ad entrambi. L’addebito della separazione
avviene a carico del coniuge che non ha adempiuto ai suoi doveri, patrimoniali o personali, nei confronti
dell’altro coniuge e dei figli. Ad esempio, può costituire causa di addebito:
una relazione extra-coniugale
- la violazione dei diritti di libertà dell’altro coniuge
- la violazione dei doveri di solidarietà
- l’abbandono del tetto coniugale
- l’ingiustificato rifiuto di un coniuge di concordare con l’altro la residenza familiare
-
Si deve trattare di un inadempimento costante e continuo, tale da determinare l’intollerabilità della convivenza
o, nel caso di coniugi gi&agrav