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CAPITOLO VI - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

1.I presupposti della disciplina costituzionale del presidente della Repubblica

La disciplina costituzionale del presidente della Repubblica dipende da due scelte, la prima esterna all’assemblea costituente, la

seconda effettuata da questa.

La scelta istituzionale a favore della Repubblica, espressa dal popolo il 2 Giugno 1946, è quella che ha condizionato dall’esterno

l’assemblea costituente; l’esito del referendum istituzionale non precisava se dovesse trattarsi (per quanto riguarda il presidente

della Repubblica) di un organo monocratico o collegiale. Anche se proprio l’atto normativo che aveva disciplinato le modalità di

svolgimento di tale referendum (d.lgs. luogotenenziale 16 Marzo 1946, n.98) aveva anticipato la scelta di un organo monocratico,

prevedendo che, se dalle urne fosse scaturito un esito favorevole alla Repubblica, l’assemblea costituente, “come suo primo

atto”, avrebbe dovuto eleggere il capo provvisorio dello Stato. In un primo tempo, nel periodo intercorrente tra la

proclamazione della Repubblica e tale elezione, poiché la costituzione non era ancora entrata in vigore e l’Italia stava ancora

definendo le sue istituzioni repubblicane, le funzioni di capo provvisorio dello Stato tra il 13 giugno e il 1 luglio del 1946, furono

esercitate dal presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore: Alcide De Gasperi. L’assemblea avrebbe poi scelto Enrico de

Nicola ad esercitare le funzioni di presidente della Repubblica per come disciplinate dalla costituzione stessa, e ad assumerne il

titolo fino all’elezione di Luigi Einaudi da parte del primo parlamento repubblicano: primo presidente ufficiale della Repubblica.

Scegliendo di dare un “capo“ alla nascente repubblica, a questi non poteva essere assegnato che un carattere elettivo e

temporalmente delimitato, per essere la Repubblica, come forma di Stato, caratterizzata dalla rappresentatività popolare, che si

realizza attribuendo al corpo elettorale la preposizione alla carica del titolare dell’organo: e ciò con elezione diretta o indiretta.

La scelta “interna“ presa dall’assemblea costituente, è quella espressa il 5 settembre 1946 dal voto a favore del noto ordine del

giorno proposto da Tommaso Perassi in base al quale , ritenuto che né il tipo del governo presidenziale né quello del governo

direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, ci si orientò per l’adozione del sistema parlamentare, da

disciplinarsi tuttavia con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare degenerazioni del

parlamentarismo. Corollari di quest’ultima scelta furono l’esclusione della diretta elettività della carica di presidente della

Repubblica, e la separazione del capo dello Stato dal potere esecutivo, anche se alcune delle sue attribuzioni possono essere

riconducibili al potere esecutivo stesso.

2.L’elezione del Presidente della Repubblica

Il presidente della Repubblica italiana è eletto da uno speciale collegio, previsto dall’articolo 83 costituzione: si tratta del

parlamento in seduta comune, integrato con rappresentanti delle regioni. Ogni regione ha il potere di designare tre delegati, ad

eccezione della Valle d’Aosta che può esprimere un solo delegato (perché ha una popolazione molto ridotta rispetto alle altre

regioni italiane).

“Ciascun consiglio elegge due rappresentanti, designati dai partiti di maggioranza nella Regione, ed uno, espressione dei partiti

dell’opposizione”.

In base all’articolo 85 costituzione, il parlamento in seduta comune deve essere convocato dal presidente della camera dei

deputati 30 giorni prima che scada il mandato. Nel caso in cui le camere siano sciolte o manchino meno di tre mesi alla loro

cessazione, l’elezione si deve svolgere entro 15 giorni dalla riunione delle camere nuove. Nel frattempo, sono prorogati i poteri

del presidente in carica. In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni del capo dello Stato, il presidente della

camera deve effettuare la convocazione nel più breve termine di 15 giorni. Il parlamento in seduta comune integrato si riunisce

nella sede della camera dei deputati ed è presieduto dal presidente della camera. Durante i suoi lavori, viene applicato il

regolamento della camera. L’elezione del presidente della Repubblica si svolge a scrutinio segreto: viene eletto chi ottiene il

voto dei dei componenti dell’assemblea, e se al terzo scrutinio nessuno ha ricevuto tale somma di consensi, nelle votazioni

successive è sufficiente la maggioranza assoluta. L’alto quorum richiesto nelle prime tre votazioni, testimonia la volontà di

selezionare un candidato in grado di acquisire il consenso di un’ampia maggioranza, che superi quella governativa, mediante il

coinvolgimento di settori dell’opposizione.

3.Requisiti di eleggibilità

I requisiti personali richiesti dall’art. 84, 1º comma cost., per l’elezione alla carica di presidente della Repubblica, sono: il

possesso della cittadinanza italiana, l’età superiore ai cinquant’anni, ed il godimento dei diritti politici e civili. È pacifica

l’opinione secondo la quale tali condizioni debbano essere possedute al momento dell'elezione, e non all’inizio del procedimento

elettorale.

Per quanto riguarda i requisiti formali, va aggiunto che non esiste alcun limite espresso alla rieleggibilità del presidente della

Repubblica: la giustificazione della mancanza di un divieto di rielezione sta nella considerazione che sia inopportuno lasciare

inutilizzate le alte capacità che abbiano ricevuto il collaudo delle prove già fornite durante l’esercizio del mandato, oltre che nella

convinzione che vi siano sufficienti freni all’azione presidenziale, al fine di garantire da eventuali velleità dittatoriali o da

trasgressioni dell’obbligo di imparzialità rivolte a conquistare i favori di futuri elettori. Nell’esperienza costituzionale italiana, si

sono avuti due casi di rielezione del presidente della Repubblica, nel 2013 con Napolitano (dimesso nel secondo mandato) e nel

2022 con Mattarella. In tutte e due le circostanze, i presidenti avevano manifestato il desiderio di non essere rieletti, ma le

divisioni tra le forze politiche all’interno delle stesse relativamente ad altre candidature, sono state superate solo grazie alla

convergenza sul rinnovo del mandato al presidente uscente. I due candidati hanno poi incontrato i rappresentanti dei partiti e

hanno accettato la rielezione. Si deve ritenere che, data la lunghezza del mandato presidenziale, la rielezione dovrebbe

considerarsi un’eccezione, qualora le forze politiche non riescono a trovare un diverso punto di equilibrio; probabilmente le

tensioni quasi quotidianamente emergono nel dibattito politico, come pure l’incapacità di instaurare un dialogo che serva a

risolvere i concreti problemi con i quali le forze politiche debbono confrontarsi, finiscono per rendere estremamente difficile una

avvicendamento alla massima carica dello Stato al quale possono concorrere personalità riconducibili ad uno o ad un altro

schieramento.

4.Il giuramento

Il presidente della Repubblica, a norma dell’articolo 91 costituzione, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di

fedeltà alla Repubblica ed osservanza della costituzione dinanzi al parlamento in seduta comune. Dopo la lettura della formula

di giuramento [“giuro di essere fedele alla repubblica e di osservarne fedelmente la costituzione…”], il capo dello Stato legge un

messaggio nel quale si preannunciano le linee generali dello stile della nuova presidenza, ma che non può rappresentare un

programma tale da condizionare la portata del giuramento o da interferire con la politica governativa e parlamentare. Al

contrario di quel che è previsto per tutti gli atti presidenziali, il messaggio di insediamento non è sottoposto a controfirma

ministeriale. Il giuramento viene pronunciato davanti alle camere riunite e non di fronte al parlamento in seduta comune

integrato con i delegati regionali, che esauriscono la loro funzione con l’elezione del nuovo presidente, poiché al momento del

giuramento, i delegati regionali, che avevano partecipato all’elezione del presidente, non hanno più ruolo attivo, perché la loro

funzione si esaurisce con l’elezione del capo dello Stato quindi anche se il parlamento è in seduta comune, di fatto il giuramento

avviene solo davanti ai deputati e ai senatori. Al giuramento sono connessi alcuni rilevanti effetti giuridici: innanzitutto

costituisce l’atto con il quale è espressa pubblicamente la volontà di accettare la carica, in secondo luogo, alla data del

giuramento è legata la decorrenza del mandato. Di conseguenza, solo gli atti compiuti a seguito del giuramento assumeranno

validità e godranno dello speciale regime giuridico connesso agli atti presidenziali. Per effetto del giuramento, si ritiene che il

presidente decada automaticamente da tutte le cariche ricoperte in precedenza e per le quali è prevista l’assoluta

incompatibilità.

5.La durata

Il mandato del presidente della Repubblica è di sette anni a decorrere dal giorno del giuramento. Una così lunga durata si

giustifica con due ragioni: la prima consiste nell’esigenza di affrancare il mandato del presidente della Repubblica da qualsiasi

dipendenza dal parlamento che lo ha espresso (in quanto il mandato delle camere e del Senato è di cinque anni); la seconda

ragione è quella di dare continuità, stabilità e permanenza all’esercizio delle funzioni presidenziali. La durata della carica, oltre

a poter essere ridotta da eventuali eventi naturali quali la morte o l’impedimento permanente, oppure dal verificarsi di

circostanze come la perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti politici e civili, può interrompersi per un atto volontario

del presidente: le dimissioni. Nella prassi, le dimissioni sono considerate un atto personale del presidente e pertanto non

vengono assoggettate alla controfirma ministeriale. L’atto di dimissioni viene ricevuto dal segretario generale della presidenza

della Repubblica, che assiste alla sottoscrizione e ne dà comunicazione ai presidenti delle camere e al presidente del Consiglio

dei Ministri. La prassi è criticata dalla dottrina che sottolinea la natura pubblica, e non personale, della decisione di porre fine al

mandato e le conseguenze politiche che è suscettibile di determinare.

Il mandato del capo dello Stato ha termine con lo scadere del settimo anno di presidenza. Se, nonostante l’anticipo di 30 giorni

sulla scadenza del mandato, previsto dall’art. 84, 2° comma, Cost. per le operazioni elettorali del Parlamento in seduta comune

integrato, non si riuscisse a raggiungere un accordo tra le forze politiche i

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Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ErminiaCoticelli2004. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Di Genio Giuseppe.
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