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XVII SAGGIO: I FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO: SOGGETTI O OGGETTI DI DIRITTO?
Par. 1 Premessa: i fondi comuni di investimento.
Il discorso riguarda il diritto degli strumenti finanziari e specialmente la disciplina dei fondi comuni di investimento. È il legislatore stesso a venire incontro all'interprete, in tema di fondi comuni di investimento, offrendone una definizione: "il patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissione di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell'interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi" (Testo Unico della Finanza).
Proprio il riferimento all'"autonomia" di un patrimonio, che nelle intenzioni del TUF avrebbe dovuto risolvere il problema della natura giuridica del fondo, ha contribuito invece a
creare incertezza sulla sua corretta qualificazione. È opportuno riassumere brevemente i termini della questione, perché incrocia temi di pertinenza del diritto commerciale e soprattutto di quello dei mercati finanziari. Anzitutto i tratti salienti del fenomeno evocato con l'espressione "fondo comune di investimento": Si tratta di un modello trilaterale di gestione collettiva del risparmio, che vede l'intervento di tre soggetti, ossia: - Una società di gestione del risparmio (Sgr) - Una banca depositaria - Una platea di partecipanti. La Sgr, società che ex lege deve godere di determinati (e stringenti) requisiti, istituisce il fondo e raccoglie le adesioni degli investitori, a fronte delle quali essi, previo versamento di determinate somme, acquisteranno corrispondenti quote di partecipazione al fondo, divenendone di conseguenza partecipanti. Così facendo, la Sgr avrà raccolto un "patrimonio" iniziale, chedeterminazione necessaria per la gestione del fondo.attività di gestione. Indubbiamente, tutto ruota attorno all'utilizzo da parte della società delle somme che sono conferite nel fondo, che dovrà avvenire "secondo il criterio della massima diversificazione degli investimenti al fine di ridurre il più possibile il rischio degli investitori e di assicurare loro un reddito stabile e costante" (a seconda del grado di rischio assunto dai partecipanti, poi, si distingueranno i vari tipi di fondi, dandosi così luogo a diversi sottotipi). Quali quelli "garantiti" o quelli "speculativi", anche detti "hedge funds".
La custodia delle disponibilità liquide del fondo e degli eventuali strumenti finanziari oggetto di investimento è affidata ex lege ad una banca, che viene denominata "depositaria": tutela i partecipanti da "comportamenti fraudolenti" della Sgr.
La Sgr "compie le operazioni di gestione in nome proprio ed è
quindi intestataria dei beni nei quali vengono investite le risorse dei partecipanti». Tale patrimonio, però, è «autonomo»: su di esso non sono ammesse azioni esecutive da parte dei creditori della Sgr.
Si tratta di uno schema simile, se si vuole, a quello del mandato senza rappresentanza: però anche se la Sgr assume verso i risparmiatori «gli obblighi e le responsabilità del mandatario» non riceve istruzioni dalla parte che dovrebbe prendere la posizione tipica del mandante (ossia dai partecipanti).
Se è vero che «la titolarità del diritto» «’appartiene’ al fondo», come è stato scritto in dottrina”, se ne deve dedurre che del diritto è titolare la Sgr oppure che è il fondo stesso ad essere titolare del diritto? In altri termini: il fondo è un soggetto o un oggetto di diritto?
Par. 2 Le categorie civilistiche e il diritto degli strumenti
finanziari. Allo studioso di diritto civile, si pone da subito (e a dirittura) un problema linguistico. Se si tiene conto del quesito implicate, quelle di soggetto e di oggetto di diritto, e si procede a una primaverifica di corrispondenza nelle norme (specie di fonte regolamentare) e nei contributi di dottrina in tema di fondi immobiliari, nasce il sospetto dell'assoluta impraticabilità di una convenzione stipulativa volta anche solo a fissare una comune regola d'uso dei termini. La dottrina "di settore" di fronte a categorie come quelle di "soggetto" e "oggetto" di diritto, tende a negarne l'utilizzabilità con riguardo al fenomeno dei fondi comuni, tant'è che giudica superfluo "continuare a chiedersi di chi sia il fondo". Il modello del fondo comune d'investimento (inizialmente dalla legge 23 marzo 1983, n. 77) è quello di common law, in cui il riferimento primo è alla figura
del contractual investment trust. E tuttavia, il quesito proposto dal titolo, se cioè i fondi immobiliari debbano pensarsi come soggetti o come oggetti di diritto, mette in campo qualificazioni di teoria generale talmente apicali, che bisogna fare spazio all'impiego delle categorie ordinanti. Allora, quel che pare possibile, per tener fede a quelle categorie, ma nel contempo salvaguardare un ancoraggio pratico al discorso, è incrociare una rilettura di quella sentenza di Cassazione. Va sin d'ora evidenziato, che vi è una sorta di divaricazione tra l'obiettivo che la "soggettivazione" del fondo vorrebbe perseguire e lo strumento concettuale così impiegato nella qualificazione. Un'eccedenza del mezzo usato rispetto al fine, che conduce a sovrapporre due prospettive di analisi distinte e spesso incomunicanti. Ciò accade quando si finisce per affrontare un problema impostato in termini di appartenenza tramite l'impiego diUna categoria, come la soggettività, che probabilmente, al di fuori del suo ambito primo, quello della persona fisica, è volta a rispondere a esigenze di organizzazione, e di organizzazione dell'attività, in particolare. Inoltre, il ricorso alla soggettivazione del fondo avrebbe potuto ritenersi necessario in una stagione normativa, nella quale centrale era il primo comma dell'art. 2740 c.c.: norma che realizza una sovrapposizione tra regola proprietaria e regole di responsabilità tendenzialmente biunivoca e universale. Assai meno si spiega in un'epoca, come l'attuale.
Par. 3 La decisione della Corte e le reazioni della dottrina. Iniziamo dunque dalla ricostruzione della logica decisionale comunicata dalla sentenza del luglio 2010, n. 16605. Si è già detto della difficoltà di fissare stipulativamente, nella materia in esame, la regola d'uso dei termini: esemplare, in tal senso, l'indifferenza del legislatore.
all'uso promiscuo di espressioni quali patrimonio autonomo. Questi i più salienti passaggi argomentativi della sentenza:Si muove da una ricognizione degli indici normativi: la definizione del fondo come "patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti" sia da quello dei partecipanti che da quello della Sgr e da ogni altro dalla stessa costituito; l'esclusione di azioni dei creditori della Sgr (o nell'interesse della stessa) e l'ammissione dei creditori dei partecipanti a rivalersi solo sulle quote di partecipazione; l'assunzione da parte della società (sia promotrice sia di gestione) e nei confronti dei partecipanti, degli obblighi e delle responsabilità del mandatario.
Muovendo da questi dati, la Corte propone una rilettura del concetto di autonomia del patrimonio, che connota la disciplina del fondo: e dopo averlo ricondotto alla categoria del patrimonio di destinazione, procede a un inventario delle nuove ipotesi normative di
patrimoni destinati. Ipotesi nelle quali non si dubita,l’imputazione, al medesimo soggetto, di ogni attività negoziale e processuale posta in essere nell'interesse del patrimonio separato.
A questo punto, interrogandosi sull'esistenza di indici normativi che inducano a discostarsi da tale impostazione, con specifico riguardo ai fondi immobiliari, la Corte dà risposta negativa.
Dapprima, ricordando (e respingendo) talune delle ricostruzioni alternative proposte in passato: e così quella che considera i beni in fondo come oggetto di comproprietà degli investitori, o quella che, all'estremo opposto, ne fa un soggetto di diritto.
In seguito, argomentando "in proprio" e traendo spunto da tre rilievi: innanzitutto, dal significato della qualifica "autonomo" attribuita al patrimonio in fondo dal TU - riproduttiva della previsione originariamente contenuta nella legge istitutiva dei fondi comuni di investimento (la n. 77/1983,
che all'art. 3, comma 2°, utilizzava identica espressione); il gestore assume gli obblighi e le responsabilità del mandatario nei confronti degli investitori e non del fondo; infine, dalla mancanza di una organizzativa minima (come le associazioni non riconosciute), che consenta l'individuazione di un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici. In termini pratici, ciò significa che la titolarità (formale) dei beni non spetta né ai partecipanti, né al fondo stesso, che non può essere elevato a centro di imputazione di situazioni giuridiche. Invece, è proprio la Sgr a comparire quale proprietaria di tali beni ricompresi nel fondo: "i fondi comuni d'investimento (nella specie un fondo immobiliare chiuso) costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio che li ha istituiti, con la conseguenza che, in caso di acquisto immobiliare operato nell'interesse di un fondo,l’immobile acquistato deve essere» intestato alla suindicata società di gestione. Si è accennato alla possibile ambiguità della sintassi operata dalla Corte sul lemma “autonomia”, riferito al patrimonio.