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L’INTEGRITA’ FISICA
Tutelata dall’art 5 cc., che vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo quando cagionano una diminuzione permanente
dell’integrità fisica o quando siano contrari alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume.
Si interpreta l’integrità fisica non in quanto bene della persona da
tutelare, ma come strumento necessario all’adempimento dei
compiti che il soggetto deve svolgere al’interno della società.
Nonostante la formulazione della norma in chiave di divieto, in
dottrina si è osservato che la norma dà luogo a un vero e proprio
diritto di libertà di decidere del proprio corpo che rappresenta un
corollario logico della libertà personale ex art 13 Cost.
Secondo la dottrina, gli atti di disposizione si dividono in 4 gruppi:
1. Quelli che esauriscono i loro effetti nella sfera personale
dell’oggetto in quanto compiuti senza l’ausilio di terzi (es.
suicidio)
2. Quelli posti in essere da terzi ai quali il soggetto acconsente in
quanto ritenuti vantaggiosi (es. tsv e chirurgia estetica)
3. Quelli diretti a realizzare un vantaggio nei confronti del terzo
ma che non escludono un vantaggio morale o economico nei
confronti del soggetto leso (es. donazione organi o sangue)
4. Quelli attraverso i quali la persona assoggetta il proprio corpo
al rischio di menomazioni anche gravi (es. sperimentazione
umana)
In dottrina è sorto un dibattito a proposito del contrasto che si
potrebbe creare in certi casi tra il principio di tutela dell’integrità
fisica e il principio di libertà di decidere in ordine agli atti di
disposizione del proprio corpo: in effetti, il contrasto diventa
particolarmente stridente nel caso degli atti di disposizione che
esauriscono i loro effetti nella sfera personale del soggetto leso(es.
suicidio e automutilazione) nel qual caso si risolve il contrasto a
favore del principio di libertà di disposizione del proprio corpo; per
contro, nel caso degli atti che coinvolgono in qualche modo i terzi si
privilegia il principio di tutela dell’integrità fisica.
I frammenti del corpo sono da considerarsi oggetto estraneo alla
persona o parte integrante della persona? Il problema è stato
affrontato da Baud riguardo il caso di un carcerato che si è mutilato
una falange, che gli è stata poi confiscata perché il regolamento
prevede che si potessero confiscare gli oggetti che i reclusi portava
con sé. Il giudice ritenette il frammento di dito un semplice oggetto.
Inoltre, non si può parlare di un vero e proprio diritto di proprietà
della persona sul suo corpo, ma di un diritto reale di godimento
della persona sulle parti staccate del proprio corpo e quindi di una
disponibilità illimitata sulle stesse.
Esiste una facoltà di suicidio? In dottrina c’è chi parla di mera
liceità, c’è chi parla di un diritto al suicido e c’è chi lo ritiene un
reato, che non viene punito solo perché manca l’agente. Ma la tesi
di gran lunga preferibile è quella che considera come illeciti
quantomeno quelli che coinvolgono in qualche modo i terzi (es.
automutilazione per frodare l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro).
I limiti dell’art 5 si applicano a operazioni chirurgiche e trapianti?
Non si applicano in caso di operazioni chirurgiche a scopi curativi: in
questo caso la lesione è volta a reintegrare l’efficienza corporea o a
evitare conseguenze più gravi. I limiti operano, invece, nei casi di
operazione chirurgiche finalizzate alla cura di terzi o svolte
nell’interesse della scienza.
Per quanto riguarda i trapianti, c’è da distinguere il caso della
persona vivente dal quello del cadavere. Nel primo caso, devono
senz’altro operare i limiti ex art 5. Da questo punto di vista, sono
permessi i trapianti di epidermide, mentre sono vietati quelli di
organi, fatta eccezione per il trapianto di rene, in quanto un
soggetto può vivere una vita dignitosa anche con un solo rene.
Riguardo i trapianti da cadavere, invece, è permesso il trapianto di
qualunque organo, sufficiente solamente una generica
manifestazione di volontà da parte del soggetto quando ancora in
vita. È però vietata la cessione a titolo oneroso, per evitare il cd
commercio di organi.
Trattamenti sanitari obbligatori: l’art 32 cpv cost afferma che
nessuno può essere obbligato ad un determinato ts se non per
disposizione di legge e che, in ogni caso, non si può violare il limite
imposto dal rispetto della dignità della persona. Diversa è la
posizione dei soggetti incapaci d’intendere e di volere; degli infermi
psichici e dei minori, per i quali i ts sono stati disposti talvolta
contro la volontà dei genitori che, per trascuratezza o motivi
ideologici/religiosi, si ritenevano contrari.
L’INTEGRITA’ PSICHICA
Il concetto di integrità psichica è piuttosto difficile da esaminare. Le
difficoltà di qualificazione del danno psichico derivano dal fatto che
il giurista quando pensa a questo tipo di danno lo intende in due
modi:
- Modo tradizionale, secondo cui il danno psichico è
conseguenza del danno fisico, e lo identifica come danno
morale subiettivo (es. sofferenze), riconducendolo all’area del
danno non patrimoniale
- Modo più innovativo (di Paolo Cendon), secondo cui il danno
psichico è autonomo, che si produce in sé e per sé a seguito
della lesione alla salute
Cendon opera una connessione tra danno psichico e danno alla
salute attraverso la formula del danno biologico.
IL DIRITTO ALLA SALUTE E IL DANNO BIOLOGICO
La nozione normativa di danno biologico identifica il danno con la
lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di
valutazione medico-legale, il cui ristoro è indipendente dalla
capacità di produzione del reddito del danneggiato. La lesione è
considerata quindi in sé per sé come il fatto lesivo del bene salute,
quest’ultimo è annoverato tra gli interessi giuridicamente protetti e
rinviene il suo riconoscimento nell’art 32 Cost. Trattasi quindi di
diritto assoluto e come tale primario, irrinunciabile e indispensabile.
Sulla base di queste premesse diviene superfluo il dibattito sulla
natura (morale o patrimoniale) del danno biologico e sulla sua
configurazione come tertium genus, dal momento che la lesione in
sé per sé è il danno suscettibile di valutazione economica.
danno alla vita di
Rientra nell’area del danno biologico anche il
relazione, che si concretizza nell’impossibilità e nella difficoltà,per
chi abbia subito menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti
sociali e di mantenerli a un livello normale.
Non rientra, invece, nel danno biologico, la privazione della vita,
perché il bene della salute è diverso dal bene della vita. La morte
non costituisce la massima lesione alla salute, ma incide su un bene
diverso, la cui perdita estingue in capo al soggetto, morto, il diritto
al risarcimento. Dal punto di vista civile, il danno alla vita si
estingue con il risarcimento del solo danno morale ai superstiti.
L’AMBIENTE SALUBRE
diritto all’ambiente
Il è il diritto alla tutela conservazione e
promozione dell’integrità dell’ambiente, la cui lesione comporta il
danno ambientale, e legittimati a chiederne il risarcimento non sono
i singoli ma gli enti pubblici. Esso va contemperato con altri beni e
diritto all’ambiente
interessi come per es la proprietà. Mentre, il
salubre fa riferimento al danno alla salute arrecato da fenomeni
d’inquinamento ambientale, e costituisce una specificazione del
diritto alla salute costituzionalmente garantito e quindi prevale su
altri diritti sempre costituzionalmente garantiti ma a lui subordinati,
come ad es la proprietà.
I due tipi di danno posso ma possono anche nascere
separatamente: può esserci danno ambientale senza danno alla
salute (incendio boschivo), e può esserci danno salute senza danno
ambientale (quando deriva da immissione di gas da parte di
un’industria nei limiti consentiti dalla legge).
Negli anni 70, la Corte di Cassazione ha, in una sentenza, collegato
il diritto all’ambiente salubre al diritto di proprietà, nel senso che ne
è titolare il proprietario dei beni della zona, in un’altra sentenza,
invece, l’ha collegato al diritto alla salute. Sulla base di queste
pronunce, si sono consolidati due indirizzi giurisprudenziali:
1. L’ambiente salubre è inteso come specificazione del diritto alla
salute
2. L’ambiente salubre è inteso come habitat, un bene
immateriale tutelato in sé per sé e non perché collegato alla
proprietà o alla salute. Questo è l’orientamento attuale della
Corte Costituzionale.
Infatti, recentemente la Corte ha riconosciuto un danno morale ai
cittadini di Seveso, a causa di una nube tossica sprigionatasi da un
impianto chimico, nonostante i cittadini non avessero subito nessun
danno alla salute. Questo perché ci sono stati restrizioni alla libertà
e controlli sanitari coattivi e quando il danno ambientale non causa
danno alla salute, ma produce un cambiamento delle normali
abitudini sociali e personali, produce comunque un danno che
rientra nel danno biologico.
Le tecniche di tutela del diritto all’ambiente salubre sono due :
Tutela inibitoria,
- ordinando di adottare misure idonee a evitare
o almeno diminuire gli effetti nocivi
Tutela risarcitoria,
- che rinviene nella respons del produttore un
prodromo della responsabilità per danno alla salute derivante
da danno ambientale. In proposito, infatti, la Suprema corte ha
ritenuto che il produttore di rifiuti tossici si presume
responsabile ex art. 2050 c.c. e non può liberarsi, sostenendo
di aver affidato a terzi lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti
tossici, essendo solidalmente responsabili tutti coloro i quali
hanno partecipato al processo di produzione, stoccaggio e
smaltimento degli stessi.
LA RISERVATEZZA (PRIVACY)
L’espressione “privacy”, che significa letteralmente
“riservatezza” o “riserbo”, deriva dall’ordinamento di common
law, dal quale, oltreché l’uso linguistico del termine, si è mutuata
per intero la costruzione giuridica dell’istituto. Per questa
ragione, si può dire che, nell’esperienza italiana, il diritto alla
privacy sia il frutto di quello che, nel gergo comparatistico, si è
soliti definire “trapianto&rdqu