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LA PROSPETTIVA INTERSOGGETTIVA E IL MODELLO
RELAZIONALE
L’intersoggetività è un costrutto emerso in varie discipline e in primo luogo in filosofia con
il concetto cartesiano di soggettività intesa come mente isolata e autosufficiente.
Anche Hegel nella sua fenomenologia della mente parla di intersoggettività, infatti, si
vedrà come la mente non può essere intesa solo come una struttura autonoma ma può
emergere esclusivamente all'interno di un rapporto interpersonale.
L'idea che l'esperienza psichica emerga all'interno di un contesto relazionale fa riferimento
anche alla teoria del campo, nata dalla psicologia nella Gestalt dal lavoro di Lewin, i suoi
studi ispireranno Sullivan che sarà il primo autore di cui parleremo, in quanto, pur non
essendo un intersoggettivista poiché si focalizza più sulle interazioni che avvengono nel qui
ed ora e non considera la matrice intersoggettiva della mente, ma rimane comunque
un’apripista dell’approccio b-personale all'interno della psicodinamica e della psicanalisi.
Il passaggio segnato dal modello relazionale è dalle teorie centrate sull'individuo a una
prospettiva basata sul campo delle relazioni interpersonali, che ritiene che gli individui
esistano e siano conoscibili solo nell'interazione con gli altri.
Hartman nel 1956 fu il primo ad usare il termine intersoggettività, ma il concetto si pose
con più fermezza all'inizio degli anni ’80, soprattutto con lo svilupparsi di patologie nuove
e più gravi delle nevrosi, come ad esempio la psicosi, disturbi borderline, narcisistici,
l'Intersoggettività divenne l’approccio principale della cura. È possibile rintracciare nelle
nuove psicopatologie la nuova strutturazione teorica grazie alle evidenze cliniche, in cui si
ha bisogno di un ambito di cura più ampio, per la prima volta si è visto che ci sono delle
patologie che sono legate all'ambito relazionale e non al vissuto intrapsichico infantile. Ad
esempio il disturbo borderline è un disturbo delle relazioni, si capì che questo deficit aveva
bisogno di un approccio nuovo, che il modello ortodosso freudiano non poteva garantire.
Harry Stack Sullivan, (1892-1949)
Il presupposto da cui hanno origine le sue teorizzazioni è l'idea di "un'esistenza
comunitaria", ovvero l'idea che "ciò che vive non può essere separato da un ambiente, che
può quindi essere chiamato ambiente necessario". Lo sviluppo del soggetto sarebbe quindi
radicalmente condizionato e plasmato dalle sue relazioni interpersonali tanto che la
personalità di un individuo è percepita come "l'insieme delle configurazioni, relativamente
durevoli, delle situazioni interpersonali che caratterizzano la vita umana”.
Per questo Sullivan teorizza uno sviluppo del bambino interpersonale, egli sostiene
l'idea che l'organismo umano sia come una persona in un perenne stato di tensione
caratterizzato da due estremi, l'euforia assoluta e la tensione assoluta: la prima viene
descritta "come uno stato di completo benessere, il punto più prossimo ad essa", la
seconda "come la deviazione più grande possibile dell'euforia assoluta, il punto più
prossimo ad essa che si possa osservare, e quello stato piuttosto raro è sempre passeggero
che chiamiamo terrore”.
La tensione del bambino mobilita chi si prende cura di lui e dell'appagamento del suo
bisogno, grazie a ciò il bambino fa un'esperienza di euforia. Dato che la soddisfazione
dell'infante implica sempre l'altro, il sollievo della tensione procede in parallelo alla
soddisfazione dei bisogni del Cargiver, creando così un nesso importante tra i due.
Sullivan ritiene che le tensioni e il sollievo delle tensioni operino come tendenza
integrativa, ovvero come forze che uniscono in maniera reciproca l’altro significativo.
L’autore parla anche di angoscia, che interferisce nello sviluppo del bambino e con il suo
bisogno di tenerezza, ciò ha un effetto a valanga che accresce l'angoscia materna,
ostacolando così l'integrazione. L'angoscia è l'evento interpersonale che ha origine dagli
eventi relazionali accaduti all'interno della diade madre-bambino, questi eventi avranno
ripercussioni anche nella vita da adulto, è importante specificare che quest'angoscia non
avrà peso solo su una delle due parti ma su entrambi, poiché formano una diade
indissolubile.
Per Sullivan l'angoscia non è riconducibile dal bambino a una fonte specifica perché non è
rappresentabile e collocabile in esperienze simili nel passato, per cui le situazioni ad essi
associate non possono essere rimosse, né distrutte, né sfuggite. Mentre la riduzione della
tensione provocata dai bisogni porta alla soddisfazione euforica, la riduzione della tensione
provocata dall'angoscia coincide con la sicurezza interpersonale, che, originatasi nella
relazione del bambino con la madre, determinerà in maniera decisiva le esperienze
relazionali successive del soggetto. Al contrario, ripetute e imprevedibili esperienze di
angoscia non contenuta, conducono verso stati di disintegrazione, intesa come rottura
delle possibilità di integrazione interpersonale e una frammentazione dell'esperienza
soggettiva con influenti conseguenze sullo sviluppo del bambino. L'angoscia da una parte
può aiutare come campanello d'allarme, per attivare la dinamica "soddisfacimento del
bisogno", però dall'altra se si ha un'angoscia troppo grande si causano dei sentimenti e dei
vissuti negativi, che poi genereranno psicopatologie.
concetti sembrano ovvi, ma in realtà portano un cambio di paradigma estremamente signi cativo, in quanto, la
*(Questi
patologia non è più proprietà esclusivamente individuale ma si con gura tra i membri di una relazione, è importante
sottolineare che stiamo ancora parlando di interpersonalità e non di intersoggettività poiché Sullivan non è ancora
de nito come tale ma arriveremo a un punto della teoria intersoggettivista in cui gli autori non riusciranno più a
distinguere di chi effettivamente sia l’angoscia, anzi, individuare chi sia il portatore di angoscia diventa un falso problema,
si parla piuttosto di un campo angosciato, di un rapporto angosciato)*
Un'altra teorizzazione molto importante dell'autore è sulla personalità, che secondo lui è
costituita da delle configurazioni che derivano da situazioni interpersonali e dalle loro
anticipazioni. Queste configurazioni sono il riflesso delle personificazioni, ovvero le
percezioni che l'individuo ha di sé e degli altri.
Possiamo distinguere:
- Me buono: questa percezione ha alla base situazione interpersonali gratificanti per il
bambino (madre buona)
- Me cattivo: qui si hanno situazioni interpersonali che esprimono angoscia
- Non-me: qui abbiamo delle esperienze che suscitano un’intensa angoscia nella figura
significativa (la madre) e che vengono trasmesse al bambino, si tratta di esperienze che
vengono dissociate, composti da aspetti paurosi, emozioni come sgomento e ripugnanza,
tali aspetti incorporati dal bambino verranno però dissociati e quindi resteranno
inaccessibili alla coscienza.
Infant Research, anni ’80-’90
Un gruppo di ricerca che ha contribuito, in modo significativo, alla costruzione di un
impianto teorico intersoggettivo della mente.
Offrirono un punto di vista relazionale della mente legato allo sviluppo infantile, mentre gli
autori di cui abbiamo parlato hanno offerto il loro contributo a seguito di pazienti che si
presentavano nei loro studi con patologie più gravi della nevrosi (es borderline), il gruppo
dell’infant Research ha costituito un punto di osservazione fondamentale per i passaggi
che portano un bambino a relazionarsi con il Cargiver e come questa relazione fosse
Co-costruita.
Il gruppo infant Research formò poi uno specializzato gruppo di ricerca a Boston nel 1995,
che si concentrò nello specifico nella relazione madre-bambino, e il metodo utilizzato era
quello dell'osservazione, che si avvalse in quel periodo anche di strumenti tecnologici
avanzati per i tempi, come la video registrazione e tecniche di indagine microanalitica (ad
esempio osservazione delle espressioni).
I principali esponenti furono: Sander, Beebe, Lachmann, Tronick, Stern (direttore) che poi
crearono un vero e proprio gruppo incentrato sul concetto di infant Research: Boston
Change Process Study Group.
L'innovazione portata avanti dal gruppo di Boston è il ruolo attivo del bambino nel
processo di sviluppo, non solo riceve le cure materne ed è influenzato da esse, non reagisce
solo al ruolo attivo della madre.
L'analisi delle interazioni disregolate come causa di sviluppi di disturbi psichici riveste
grande importanza, in questo senso il contributo di Beebe e Lanchmann è particolarmente
importante, sottolineano che non è la presenza di affetti non coordinati, di disgiunzione
nella relazione madre-bambino a generare i problemi, tali momenti sono "fisiologici" se
vengono seguiti da momenti di riparazione dell'interazione, da un processo di relazione
reciproca, è proprio la capacità di riparare a costruire momenti di scambio e coordinazione
che determinano la qualità positiva della relazione.
La patologia si crea nel momento in cui non si ha la possibilità e la capacità di rimediare
agli equivoci che si creano, senza trovare il nuovo modo id stare insieme nonostante tutto.
La psicopatologia assume una prospettiva diversa, non è più l’effetto di un evento a creare
lo sviluppo psicotico, ma è un continuum, cioè un modello relazionale disfunzionale che si
ripete nel corso dell'esperienza dell'individuo e ne influenza la personalità oppure degli
fi fi fi
eventi traumatici che si collocano in un esatto momento storico, è possibile però che gli
eventi disfunzionali dell’infanzia nell’età adulta possono essere riparati.
Daniel Stern, (1934-2012)
Lavora al confine tra l'analisi empirica della comunicazione e dei sistemi madre-bambino e
fra i vari paradigmi teorici di psicanalisi, neuroscienze e filosofia. Stern inizia una prima
parte del suo lavoro pubblicando nel 1987 "il mondo interpersonale del bambino” che
costituisce un primo approfondimento e uno studio con il gruppo di Boston, poi scrisse "la
costellazione materna" del 1990 in cui parla della relazione materna e dello sviluppo di
essa, dello sviluppo della personalità.
Stern utilizza il metodo della microanalisi, riprendendo l’interazione momento per
momento con delle sequenze, e