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PSI
genitore al mondo fa l’operazione di portare il figlio a qualche professionista a cuor
PSI
leggero: portare un bambino da un professionista il cui lavoro inizia con è un passo
che un genitore non fa a cuor leggero poiché, in qualche senso, è una dichiarazione di
fallimento. Il genitore che riesce a fare questa operazione è un genitore che è capace
di stare in contatto almeno in parte con la colpa. Se il genitore non riesce a farsi
carico di un bisogno suo o del bambino è come se ci fosse un qualcosa che,
immediatamente, fa vibrare delle angosce legate (anche) a un supposto danno che ci
può essere nel bambino stesso o come esito del comportamento e dello stato mentale
Per cui durante questo lavoro conoscitivo dei genitori si cerca di farsi
del genitore.
un’idea rispetto alle angosce che circolano data questa richiesta di aiuto per il figlio.
Nell’ambito dell’analisi dei bambini ci sono, a volte, dei bambini che si fanno portare;
io voglio
succede non così raramente che il bambino dice qualche cosa del tipo “
parlare con qualcuno” e convincono i genitori a farsi portare. In altre situazioni il
bambino è quello che viene portato. Il modo con cui si aiuta i genitori a dire la verità
(sempre) e anche a invitare il bambino a conoscerci inciderà sulla possibilità di fare
quelle consultazioni preliminari a scopo valutativo. Se non si costruiscono le premesse
questa operazione conoscitiva non potrà svolgersi, occorre quindi anche utilizzare
questi incontri preliminari sia per farsi un’idea sul tipo di ambiente facilitante o meno
che per raccogliere elementi chiave della storia del bambino che conoscono solo i
genitori e capire se c’è una versione differente tra madre e padre. In alcuni casi se i
genitori non sono pronti a portare il figlio non gli si chiede di portarlo per forza,
nessuno deve venire per forza.
soprattutto se è un bambino piccolo; Cosa bisogna fare
in questi casi? Occorre accogliere queste angosce che stanno prendendo forma nel
genitore? Si fa una scelta o meno di aspettare, magari si invitano i genitori a venire
qualche altra volta prolungando la fase di consultazione per capre come mai i vari
professionisti hanno così tanto insistito rispetto al fatto che ci sia un problema che essi
stessi dichiarano di non vedere. Si propongono dunque alcuni incontri solo con i
genitori per fare insieme questa esplorazione delle angosce che si sono sollevate
conseguentemente al fatto che qualcuno ha dichiarato la presenza di un problema.
Terminate le consultazioni, se si smuove qualcosa nei genitori, se si innesca un lavoro
psichico, una capacità di osservazione del bambino in modo diverso, una messa in
discussione o un arricchimento della funzione genitoriale, allora saranno i genitori
stessi a volerlo portare in analisi.
Con gli adolescenti la situazione è un po’ più complicata perché ovviamente si
privacy
pongono di più il problema della (i miei genitori sapranno quello che sto
Tutto in analisi è privato, sia quello che succede che quello che
dicendo qua dentro?).
non succede. Si può dire qualcosa rispetto al tipo di funzionamento psichico che il
non dicendo
bambino o ragazzino ci ha fatto conoscere in che modo siamo arrivati a
quella cosa e dicendo (o non) se c’è la necessità di fare una qualche lavoro. Nulla deve
trasparire poiché il lavoro è privato, intimo. L’adolescente dovrà sentirsi
assolutamente certo che quello che avviene lì non potrà mai essere detto ai genitori.
Nicola Salvadori
Se ci si accorge che il soggetto potrebbe far male a sé stesso o agli altri è necessario
capire in che momento siamo e cercare su lavorare (ad esempio) su degli aspetti
suicidari. Se ci si può lavorare ci si assume anche un po’ il rischio di tenere queste
cose dentro la stanza. In caso in cui si rilevi un immediato ed effettivo pericolo, se ho
un minore, ci si deve domandare e poi decidere se dire qualcosa a qualcuno, ma
sempre comunicandolo prima alla persona. La legge ci obbliga, quando capiamo che
qualcuno può far male a sé stesso o agli altri, a far decadere il segreto professionale;
che spazio
bisogna però considerare la violazione dello stato privato dell’analisi:
rimarrebbe al soggetto per lavorare su questi aspetti? Nel momento in cui c’è uno
spazio che viene violato ci deve essere in primis la reale necessità di farlo e prima che
questo avvenga si dice alla persona che ci sono alcuni elementi per cui noi ci
prendiamo la responsabilità e valutiamo che qualcun altro debba sapere che c’è una
situazione di rischio. Si avverte la persona che si parlerà o con i genitori o con un altro
professionista rispetto al fatto che in questo momento specifico del lavoro si sta
incontrando un elemento di rischio e lo si aiuta a elaborare, accogliendo l’eventuale
protesta, rabbia, violenza che può derivare da questo tipo di scelta clinica, anche se
sappiamo che è una tutela verso di lui.
Non è una cosa così rara che un qualsiasi ragazzino durante l’adolescenza metta in
atto tutta una serie comportamenti a rischio. Cosa si fa rispetto a certe cose? È chiaro
che se non si può tollerare niente di tutto questo non si può lavorare con gli
adolescenti, occorre sempre capire su che crinale siamo e se c’è un po’ di impasto
possibile o un totale slegamento. Però, molto spesso, in alcuni momento della vita
alcune persone portano questioni riguardo il problema del principio
dell’autoconservazione. Le persone provano ad uccidersi in una miriade di modi, la
maggior parte non espliciti. Prima di fare un’operazione di questo tipo, di far uscire
qualche cosa di quello che è stato detto nella stanza per motivazioni concrete ci si
pensa, si valuta e si prova a costruire una situazione col ragazzino per cui si lavora
insieme anche su questa possibilità di comunicazione.
Ci sono anche situazioni in cui si assiste a bambini in situazioni particolarmente
difficili. Oggi, spesso, quando un genitore porta un ragazzino, la situazione è già
andato abbastanza in là. Se si fosse preso in carico prima ci saremmo imbattuti in un
certo tipo di questione con tutta una serie di possibilità di svolgimento, dieci anni dopo
non è che si sono perse le speranze ma l’individuo ha vissuto in un certo modo e la
sua famiglia con lui. Questo non è infrequente e non vuol dire che se a due anni ci sia
c’è però spesso la tendenza dei
accorge qualcosa occorre andare dal professionista,
genitori e dei medici a far fare al bambino tutta una serie di altre cose che lo
contengono.
L’altra cosa che c’è da dire in questo senso è che chi si prende in carico di un bambino
o adolescente si prende in carico tutta la famiglia e non perché prende in carico
effettivamente, per forza, ma perché diventa ricettacolo di tutta una serie di forze che
si sollevano nella stessa. Per come vanno di moda le cose ora, specie se ci sono
situazioni di una certa gravità, una persona prima di andare dall’analista è già stata
minimo da uno psichiatra e ci si trova quindi di fronte a interferenze, bisogni, curiosità
che hanno tutti coloro che lavorano a contatto con questo ragazzino. Gli insegnati
spesso vogliono parlare con noi, ci andiamo a non ci andiamo? L’educatore vuole
sapere come si deve comportare con lui, glielo diciamo o non glielo diciamo? Pensiamo
da una parte alla necessitò di non porsi in maniera troppo rigida (pur e sempre
tutelando la privacy del lavoro analitico), dall’altra immaginiamo noi stessi che,
mentre si fa un lavoro su di noi, scopriamo che l’analista va a parlare con qualcuno di
noi. Per quanto riguarda gli incontri con altri professionisti, senza che questo venga
Nicola Salvadori
percepito come una porta chiusa, come un qualcosa di negativo, quando si pone il
problema di parlare con altre figure professionali non è che si corre a farlo e non lo si
fa solo per il fatto che ci venga chiesto di farlo. C’è da valutare se davvero per quel
bambino è un vantaggio o uno svantaggio che la persona che fa con lui la terapia
venga consultata e se ne vada poi a scuola a parlare con le insegnanti. Cosa
diventerebbe questo evento per il bambino? Quanto sarà effettivamente utile?
La scissione e la proiezione. In base al prevalere di questi meccanismi o a quelli di
introiezione comincia a costituirsi il mondo interno. Se si alternano proiezione e
introiezioni e se alla fine i meccanismi di introiezione stessi possono avvenire allora è
possibile la costituzione del mondo interno e di un oggetto interno che diventa una
sorta di perno, di nucleo centrale attorno a cui si sviluppa la personalità. Da un punto
di vista di ciò che avviene nelle fasi precoci questi processi non sono patologici: in un
certo momento sono funzionali perché c’è un Io poco coeso che non può entrare in
contatto con le angosce e per cui mette in atto meccanismi di difesa per allontanarle.
Secondo la Klein questa messa in moto di processi proiettivi e introiettivi è causata
dall’inscindibile conflitto fra impulsi di amore e di odio che, in quanto conflitto, è
intollerabile per l’Io poco coeso. L’io non può tollerare la colpa, per cui non fa altro che
allontanare da sé tutto ciò che è negativo per far accadere dentro sé ciò che è
positivo; quando va incontro a dei processi di possibile integrazione, l’individuo può
formulare il dubbio che quell’oggetto cattivo in realtà non è altro che una parte di sé,
della propria aggressività che può cominciare a sentire come propria. Questo
riconoscimento di alcuni aspetti è ciò che fa da spinta compulsiva a un’ulteriore
integrazione per cui l’individuo può vivere l’ambivalenza verso l’oggetto (che colora di
qualità positive e negative) e può tollerare la colpa che deriva dal fatto che, nella
fantasia, quell’oggetto sentito come cattivo è stato attaccato o lo si voleva possedere,
distruggere, lo si voleva possedere sino al punto di distruggerlo per averlo tutto per
noi o perché non ci perseguitasse. Rispetto a Winnicott e alla Klein, l’integrazione non
si raggiunge mai del tutto, si oscilla tra due posizione (schizoparanoide e depressiva).
Tutto ciò che ritroviamo nella posizione schizoparanoide lo ritroviamo come prevalente
nel funzionamento mentale die cosiddetti pazienti gravi. Nicola Salvadori
Psicologia Dinamica [26] 22-11
Il modello Kleiniano
“Scritti- note su alcuni meccanismi schizoidi &ldquo