vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
QUALIFICAZIONE ETICA
Poiché la poesia è imitazione e poiché l’imitazione è innata nell’uomo, la poesia nasce
naturalmente. Il poeta è colui che ha maggiori disposizioni all’imitazione: si riconosce
dunque una attitudine naturale. Questo orientamento spontaneo è determinato in
senso etico: il poeta dal carattere nobile imita azioni elevate, quello dal carattere più
ordinario imita azioni più basse. Lo stesso può essere detto a proposito del pubblico.
La qualificazione etica proposta da Aristotele presenta dunque diversi aspetti; l’ethos
qualifica:
- L’uomo reale
- Il personaggio
- I generi
- L’autore
- Il pubblico
La differenza si crea sulla base delle due tendenze comportamentali: il
comportamento virtuoso e quello vizioso.
Capitolo 6: si pone l’obiettivo di dare una definizione di tragedia. Aristotele dice ‘’la
tragedia è imitazione di un’azione virtuosa e conclusa dotata di grandezza (= durata
temporale), con parola piacevole separatamente o nell’interezza delle sue parti, di
persone che agiscono e non tramite narrazione, la quale attraverso pietà e paura
porta a compimento la catarsi (forma di compimento dell’esperienza fruitiva) di tali
passioni’’
In queste poche righe Aristotele tocca alcuni punti fondamentali:
con ‘’Conclusa’’ si intende ‘’portata a compimento’’: se ci viene raccontato un
momento di vita di un personaggio, esso deve essere rappresentato dall’inizio alla
fine, lo spettatore non deve rimanere col fiato sospeso ma deve sempre conoscere il
finale. Questo obiettivo è difficile da raggiungere perché il tempo di durata della
tragedia è limitato. Le parole sono il mezzo del poeta e vanno scelte con estrema
attenzione prima di essere inserite nella tragedia. I dialoghi dei personaggi devono
essere seguiti con attenzione e piacere dal pubblico. Le parole devono catturare il
fruitore senza mai farlo annoiare. Sono essenziali quindi le scelte linguistiche.
Secondo Aristotele, il pubblico di una tragedia prova due passioni: paura e pietà.
Queste passioni vengono mosse dalla retorica. Il poeta che compone la tragedia deve
conoscere molto bene le passioni e sviluppare un discorso di retorica che porti il
pubblico ad emozionarsi.
La paura = è un sentimento che si prova quando si percepisce che una
determinata cosa possa essere dannosa nei nostri confronti. Provare paura fa
parte dell’esperienza fruitiva. La paura ci fa sopravvivere in alcune situazioni.
Pietà = la paura è un sentimento che si prova solo per sé stessi mentre pietà
significa provare pena per gli altri. Provo pena per qualcuno che soffre quindi io
soffro nel vedere un altro che prova dolore. Quindi, vi sono analogie tra empatia
e pietà. Questo sentimento ci aiuta a creare un rapporto affettivo con l’altra
persona. Quando sono a teatro e vedo un personaggio soffrire, anche io soffro
per lui e creo con lui una vicinanza di tipo affettivo.
Aristotele nel 1 libro della retorica aggiunge: noi soffriamo nel vedere soffrire un altro,
ingiustamente. È come se lui ammettesse che una persona che soffre giustamente,
può non generare in noi la pietà. Es. quando un cattivo viene punito e soffre, il
pubblico non soffre con lui perché comprende che la sua punizione e la sua sofferenza
sono meritate. Devo distinguere tra chi soffre ingiustamente e chi no. La pietà può
diventare una passione sociale nella misura in cui io provo sofferenza nei confronti
dell’altro e lo aiuto a stare meglio. La pietà è una passione forte che si insinua nel
pubblico e lo scuote, travolgendolo completamente.
Importante capire cosa significhi ‘’catarsi’’ (anche se Aristotele la cita solo una volta
e non riprende più il concetto). Il filosofo sembra intendere che la catarsi sia il culmine
dell’esperienza fruitiva.
Nel capitolo 6 Aristotele fornisce la definizione di tragedia e l’ultima parte della
definizione è in particolare dedicata alla fruizione e a come essa termina. Aristotele ci
fa capire che l’esperienza fruitiva è un’esperienza molto complessa, non possiamo
capire bene cosa abbia in mente Aristotele anche nel momento in cui affronta i
concetti di passioni (paura e di pietà) se non attraverso un riferimento ad altre opere,
in particolare al primo libro della retorica. Bisogna per lo più interpretare le parole di
Aristotele.
Aristotele compie una riflessione significativa: il personaggio tipico della tragedia è
un personaggio che non deve essere perfetto, è un uomo nobile che tende al bene,
che ha generalmente un comportamento virtuoso e che vuole il bene di sé e della
comunità ma che può anche sbagliare, come ad esempio Edipo, che compie errori
fatali per sé e per la città a causa dell’ignoranza. È spesso presente un elemento di
non conoscenza che può essere molto dannoso e per questo l’uomo virtuoso è
chiamato a conoscere sempre di più la realtà in cui vive in modo da potersi muovere e
poter scegliere in modo appropriato. Le decisioni che compiamo possono rivelarsi
sbagliate a causa della poca conoscenza, possono essere dannose per l’individuo e per
la comunità.
Il personaggio tipico è quindi virtuoso, che tende all’ideale di bellezza e bontà ma che
allo stesso tempo è un uomo che può sbagliare. Il fatto di non essere un eroe perfetto
pone il fruitore in una posizione di vicinanza rispetto al personaggio, è possibile
immedesimarsi in lui. Il fruitore deve sentirsi vicino al personaggio in scena, deve
condividere qualcosa con lui perchè altrimenti il coinvolgimento emotivo rischia di non
esserci. Il coinvolgimento è presente solo quando lo spettatore trova dei tratti in
comune con il personaggio sul palco. Deve esserci un avvicinamento
emotivo/passionale nei confronti del personaggio altrimenti non si prova né
compassione né coinvolgimento. Questo avvicinamento non avviene se:
- Il personaggio è un eroe perfetto
- Il personaggio è un cattivo, malvagio sarebbe impossibile provarne
compassione
Aristotele consiglia ai poeti di non mettere in scena questo tipo di personaggio: lo
spettatore avvertirebbe una distanza eccessiva. In base al personaggio, si crea un
grado differente di avvicinamento affettivo.
Per Aristotele, la componente affettiva nella fruizione è assolutamente necessaria, non
è accessoria.
Alla fine dell’esperienza fruitiva noi spettatori abbiamo una catarsi di tali passioni.
Ci sono state molte interpretazioni del termine catarsi:
- Deriva da un verbo (“catairo”) che significa “purificare” in senso concreto: era
un verbo utilizzato quando si pensava alla purificazione dell’acqua oppure
quando si pensava alla pulizia di un campo adibito alla coltivazione si tratta
di eliminare/rimuovere delle impurità, purificazione, chiarificazione, rimozione di
qualcosa dannoso. Tale componente pratica e letterale del significato va
mantenuta.
- Può riferirsi anche al corpo umano. In senso medico significa purgare, togliere
delle sostanze nocive dall’organismo. L’idea del togliere entra a far parte del
concetto di cura, si rimuove la malattia dal corpo per farlo tornare sano
- Il termine ha un’accezione anche filosofica, in senso di chiarificazione
intellettuale, liberazione da false opinioni e da passioni che offuscano la
ragione. Bisogna riflettere sulle situazioni senza farsi trascinare dalle passioni, il
cittadino deve scegliere in maniera adeguata sulla base di corrette conoscenze
ma anche sulla base di un controllo delle passioni umane. Aristotele non nega la
componente passionale dell’essere umano ma crede che sia assolutamente
importante la gestione di essa. Le passioni non vanno né negate né soppresse
ma bisogna saperle gestire, sono utili solo se controllate. Un personaggio che si
fa trascinare dalle proprie passioni è Achille, la sua rabbia gli sarà dannosa
infatti. Bisogna liberarsi dalla componente negativa delle passioni, poiché porta
a decisioni sbagliate. Le passioni sono importanti, senza di esse non può esserci
la fruizione, hanno una funzione.
- Vi è anche un significato religioso-morale di espiazione di una colpa, significa
liberare, togliere. Si rimuove il peso di un errore, di una colpa, di una scelta
sbagliata, anche in senso ontologico: l’uomo che sbaglia e fa danni a sé e agli
altri. Si procede in un cammino di espiazione che poi comporta un innalzamento
di tipo morale.
Non è semplice capire cosa avesse esattamente in mente Aristotele, non bisogna
prediligere un significato rispetto ad un altro. La questione è un vero e proprio enigma
nell’opera, bisogna azzardare delle ipotesi interpretative con cautela.
Durante il Rinascimento si sottolineò la valenza morale della katharsis in quanto
elevamento etico dello spettatore: l’arte tragica ha principalmente di mira il
miglioramento del soggetto fruitore, da qui il suo ruolo all’interno della comunità
sociale.
Lo spettatore è un cittadino e grazie alla fruizione intensa della tragedia subisce un
elevamento morale. L’arte tragica ha un importante aspetto morale.
Bernays (1880), amico di Nietzsche, attraverso precisi studi filologici, sottolineava
l’aspetto fisiologico-medico della catarsi in quanto purgazione, scaricamento: in
questo modo si ipotizza un venir meno delle passioni (pietà: eleos; paura: phobos) che
caratterizzano la tragedia. La catarsi viene vista come una liberazione dalle passioni:
questo da un lato è convincente, perché alla fine della fruizione lo spettatore si sottrae
alla paura o alla compassione che ha provato e che non gli consente di avere una
visione di insieme su quello che viene rappresentato. È un’interpretazione che, però,
dall’altro lato, tende a svilire il ruolo delle passioni: esse sono una componente
importante della fruizione.
La critica contemporanea, Dupont-Roc e Lallot, La Poétique (1980), sottolinea
l’aspetto intellettivo del processo catartico in quanto culminante nel piacere tipico
della tragedia. La catarsi sarebbe dunque una sorta di alchimia mimetica delle
passioni culminante nel piacere intellettivo.
Per Aristotele non c’è un’opposizione tra l’esercizio intellettivo e le passioni provate
dall’uomo, anzi, è fondamentale trovare un rapporto tra i due aspetti.
Negli ultimi anni prevale tale idea: bisogna conservare sia la componente intellettiva
che quella affettiva. La catarsi non significa una liberazione dalle passioni, ma una