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Mentre la guerra pullula nelle campagne, Corrado si rifugia prima in un convento,
poi
alla casa natia, in un paese immerso nelle colline langarole, nei luoghi in cui la
guerriglia partigiana è fra le più attive e sanguinose.
Ma sarebbe riduttivo e fuorviante considerare i temi della Casa in collina soltanto la
vergogna di un neutrale, i protratti pentimenti di un inetto all' azione, o la cronaca
del
suo imboscamento, pur considerando tutto il fine travaglio psicologico, il sobrio
nitore
È questa l'unica pista interpretativa che segue Roberto Galaverni nell'analizzare Il
carcere e La casa in collina in "Prima che il gallo canti: la guerra di liberazione di
Cesare Pavese", in Letteratura e
Resistenza, a cura di Bianchini Andrea e Lolli Francesca, Bologna, Clueb, 1997, pp.
107-155. .
sapevo d' avere già scelto" .
Nel viaggio di ritorno, che copre l'ultima parte del racconto ( capitolo XIX, XX, XXI,
XXII), nei luoghi familiari stravolti dalla guerra, avviene il perfetto incrocio tra mito e
storia10. Nella violazione della pace ancestrale che ispira quei luoghi sorge la pietas
universale che, vedremo, sarà la lezione e l' approdo morale del libro. La pietas
sorge
solo quando ( e perchè) la guerra contamina i luoghi in cui l'io di Corrado si
riconosce e
si riscopre. La sapienza morale è tutt' altro che un approdo intellettuale; arriva solo
quando il soggetto è davvero coinvolto, ovvero quando i luoghi ( e le persone)
specchio
della sua anima ne sono le vittime:
Quanto sangue, mi chiesi, ha già bagnato queste terre, queste vigne.
Pensai che era sangue come il mio, ch'erano uomini e ragazzi cresciuti
a quell'aria, a quel sole, dal dialetto e dagli occhi caparbi come i miei.
Era incredibile che gente come quella, che mi vivevano nel sangue e
nel chiuso ricordo, avessero anche loro subìto la guerra, la ventata, il
terrore del mondo. Per me era strano, inaccettabile, che il fuoco, la
politica, la morte sconvolgessero quel mio passato. Avrei voluto trovar
tutto come prima, come una stanza stata chiusa11.
Ma è solo la visione diretta della morte ( Corrado si ritrova nel viaggio di ritorno a
pochi metri da un'imboscata partigiana ai repubblichini) a rendere possibile
l'insegnamento. Solo ciò che sconvolge emotivamente, ciò che si sconta di persona,
vuole dire Pavese, si può imprimere come salda conoscenza e garantire gli
insegnamenti
irremovibili. Ben lontano dalle dottrine politiche infuse, del grado intellettuale della
loro
assimilazione, della loro licenza storica e del loro carattere umanitario. Non a caso
Pavese sceglie di far vedere a Corrado i morti della fazione nemica: lo fa per ribadire
l'insignificanza della casacca politica, quando si comprende la portata del crimine
perpetrato da questa ai danni dell' uomo.
La coscienza della morte riconduce ai giusti termini con cui trattare la vita. La visione
dei morti funziona come ritorno alla giusta prospettiva, come disvelamento di una
9 Ivi, p.102
10 Elio Gioanola, Cesare Pavese. La poetica dell'essere, Milano, Marzorati editore
1971, p. 306.
11 La casa in collina, p.109.
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partes. Il suo è un distacco contemplativo già formato. Sin dall'inizio non ha dubbi su
qual è la parte col diritto alla vittoria ( ed è ovviamente quella che si prende carico
degli
umili, condanna gli alti gradi politici e il gran potere finanziario e incanala nella
guerra
la rivoluzione socialista); solo che tale consapevolezza non lo tocca dentro, non gli è
sufficiente. Corrado può così osservare, senza che il suo giudizio sia increspato da
sentimenti di appartenenza, tutti gli animi e le opinioni delle varie classi di italiani
durante il conflitto, e specialmente nel periodo d' incertezza e d' allerta che corre tra
la
caduta di Mussolini e l'instaurazione della Repubblica Sociale. Vive con due signore
borghesi che trascorrono la guerra pregando, fedeli alla chiesa e fiduciose del
fascismo;
comunica con scioltezza con Giorgi, prima convinto aviatore fascista, poi partigiano
di
destra; passa il tempo nell'osteria coi bravi operai, che discutono su come prendere
l'iniziativa, tra chi è socialista e spera nell' unione degli italiani e chi è comunista e
vuole la rivoluzione e l' abbattimento totale del vecchio potere, non solo politico ma
anche economico. È gran parte delle voci degli italiani che Corrado ascolta, privo di
qualsiasi pregiudizio di parte, tanto che a ragione si può dire La casa in collina un
inestimabile documento della Resistenza.
Citiamo come esempio della piega documentaria del romanzo e dell' imparzialità di
Corrado il discorso con Giorgi al momento cruciale e caotico dell'armistizio, quando
l'Italia viveva giorni di anarchia politica, e gli italiani erano al culmine dell'incertezza
e
dell' ansia per il futuro:
Su un angolo m'imbatto nel fratello dell'Egle. S'era messo in divisa,
coi nastrini e il cinturone, e squadrava la strada indignato.
– O Giorgi,- gli dissi- finita la licenza?
– Quel che succede non doveva succedere,- disse- quest' è la
fine-.
– Cosa si dice nell'esercito?
– Niente si dice. Si aspetta. Nessuno ha il coraggio di venirci
attaccare. Sono un branco di vigliacchi.
– Chi , vi deve attaccare?
Giorgi mi guardò, sorpreso e offeso.
– Tutti scappano, tutti hanno paura, - disse, - e hanno aspettato
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L'esperienze e l'attitudine della gioventù determina poi una diversa idea della
ricostruzione e un diverso approccio nei riguardi della cultura passata. I giovani
cresciuti in un mondo di chiusura e coercizione serbavano infatti una speranza
palingenetica, laddove i più anziani auspicavano piuttosto un ritorno all'ordine
pre-fascista o perlomeno tenevano un contegno più cauto verso le nuove possibilità
storiche. Inoltre, i giovani potevano concepire una rivoluzione culturale che
rigettasse
(apparentemente) il passato, con tutte gli errori e le ingenuità populistiche ( ma
fatte in
buona fede) che ne conseguirono.
L'uscita del libro suscitò naturalmente scalpore e qualche fastidio nell'ambiente
comunista. È facile immaginarne i motivi. Pavese nel libro rifiuta la vulgata ufficiale e
manicheista della Resistenza, scelta come base ideologica della Prima Repubblica,
presentandone un' interpretazione più profonda, in cui problematicizza l' adesione
del
singolo alla fazione e mette in dubbio la validità stessa delle ideologie. È una visione
in
collisione con quella del partito di cui faceva parte, e che proprio al momento dell'
uscita del libro, ricordiamo, andava irrigidendo le sue posizioni. Corrado, secondo il
metro di giudizio dell'ortodossia, ha le caratteristiche dell' intellettuale antieroe,
quello
che comprende i meccanismi che regolano il corso della storia ma che si rifiuta di
prenderne le redini.
Le difese di Pavese alle critiche, che conosciamo dagli scambi epistolari, posano in
sostanza sulla circoscrizione del discorso all' ambito letterario, ricordando la
differenza
tra ragioni della finzione e ragioni della morale. Al suo ex insegnante Augusto Monti,
che gli rinfaccia l'immoralità di Corrado, Pavese ricorda che questo è costruito
proprio
per rappresentarla, ed è solo un personaggio moralmente negativo tra altri positivi:
Ma i testi sono testi e le frasi che tu mi citi e altre molte di quel
racconto fanno parte della confessione di un <peccatore> , sono la
piaga della sua coscienza, e in più d'un caso vengono da lui dette ad
altri con orgasmo, quasi a cercarsi un alibi. Mi pare evidente che quel
tal Corrado si autodenuncia, si autopunisce proprio per aver vissuto e
vivere in un certo modo – e l'autore che gli cava questo verme, sa ben
altro, sa che la vita consiste in tutt' altro ( e, come autore, l'ha
dimostrato inventando altri personaggi che non hanno nessun bisogno
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di rivolgersi quel rimprovero22.
Ancora più significativa sul valore che Pavese da alla finzione è la lettera del 1 marzo
in
risposta a Rino del Sasso. All'accusa della pietà per i fascisti risponde non con la
difesa