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del mito di area mitteleuropea. Ciò che dell' animo ora deve essere disvelato e compreso

è qualcosa di fisso ed eterno: è un immutabile fondo oscuro, che determina le modalità

d'essere al mondo della persona; sono gli stampi mitici, ossia le prime

immagini-rivelazioni del mondo che l'io fanciullo ancora inconsapevole d'essere un io

scopre vivendo, e che, crescendo, rimangono come confusa promanazione di una verità

su sè stessi, di una personale appartenenza e comunione col mondo, atmosfere,

sensazioni e immagini dal gorgo del ricordo da riscoprire da adulti, identificare e

decifrare alla luce della ragione. Secondo la poetica del mito, "fonte della poesia è

sempre un mistero, un'ispirazione, una commossa perplessità davanti a un irrazionale –

terra incognita. Ma l'atto della poesia – se è lecito distinguere qui, separare la fiamma

dalla materia divampante – è un'assoluta volontà di veder chiaro, di ridurre a ragione,

di sapere"

Tale concezione della poesia come razionalizzazione dei misteri dello spirito, ossia

come trasformazione dell'informe e pre-storico mito in forme e immagini soggette alle

leggi della realtà, è per il Pavese degli ultimi anni l'idea stessa che anima l'intera cultura

occidentale. La vocazione dell'occidente è il progresso dell'intelletto, la scoperta di

nuovi misteri umani da chiarificare e il raffinamento degli strumenti dell'indagine3.

Il Pavese intellettuale spinge a piena forza il Pavese scrittore nel battere le ultime vie

che la cultura occidentale ha indicato ai suoi seguaci. Per questa ragione egli fu in Italia

un grande promotore culturale: in un periodo in cui la maggior parte della cultura

italiana era sorda alle moderne correnti di pensiero e ancorata alle sue posizioni

tradizionali e provinciali, la sua esigenza personale di novità culturali lo fece

divulgatore di nuove conquiste letterarie negli anni '30 (la narrativa americana) e

pionere in nuovi campi di studi negli anni '40 ( l'etnologia e il mito).

Per tutta la sua carriera dovette fare i conti con una cultura ufficiale retriva,

compromessa in larga parte col potere politico o da esso controllata. Durante il

ventennio fascista l'elité culturali italiane, tradizionalmente propense a riferirsi e

adattarsi a un'autorità politica4, trovarono una posizione comoda e prominente tra le fila

del regime, che necessitava della costruzione di un'autorevole identità culturale e di

un'efficiente sistema di propaganda. Di fatto, esse furono investite di un ruolo sociale

senza che di quel ruolo fossero espletate le funzioni5: al riconoscimento di essere i

rappresentanti della cultura umanistica non corrispondeva il fine di questa, di critica e

comprensione della società contemporanea.

Tale letteratura sussidiaria della politica o a essa asservita si conforma alle esigenze di

un potere che tenta di essere totalitario, cioé di un potere che non solo si arroga il

controllo di ogni attività umana, ma ambisce di infondere il sistema di valori della

propria ideologia nelle coscienze dei singoli. Il fine ultimo del suo programma culturale

è pertanto la statolatria, l'inculcare la convinzione che ogni azione compiuta dallo Stato

per il rafforzamento di sé stesso sia lecita, e che la ragione di stato sia legittimata a

prevaricare senza compromessi ogni altra. Idealmente, l'individuo si prostra a uno Stato

a cui tutto converge e che tutto direziona, e accetta per esso la rinuncia ad ogni altro

valore e la necessità di un sacrificio incondizionato.

Una concezione di letteratura come mezzo di educazione ideologica proseguì anche

dopo la caduta del fascismo. La corrente del neorealismo dominante in Italia circa dal

1943 al 1949, sorta dalla voglia di condivisione delle esperienze della Resistenza, e che

si esplicò in una letteratura che narrava di casi comuni e che manifestava gli schietti e

semplici sentimenti di giustizia e di libertà del popolo, fu il campo in cui poterono

attecchire i semi della propaganda del PCI. Poiché il neorealismo nel complesso si

valeva già di un'interpretazione semplificata dei fenomeni storici, imperniata su una

concezione manicheista delle parti in conflitto, il PCI poteva far leva su questa

immettendo una nuova coppia oppositiva: prolungando il conflitto dai buoni partigiani

4 Come sostiene l'autore nell'articolo inedito, " Il comunismo e gli intellettuali", ora in Saggi letterari,

Torino, Einaudi, 1951, pp. 207- 216.

5 Con riferimento alla classe intellettuale, il ruolo designa il posto di potere e mansione che gli è riservato

in una data società, la funzione la sua missione storico-antropologica a prescindere dal suo effettivo ruolo

vigente.

4

contro i servi fascisti, ai lavoratori sfruttati contro i padroni vessatori.

In questo contesto, dove molti intellettuali accettavano di difendere e di rinforzare con

armi culturali ideologie ostacolanti il libero pensiero, Pavese lottò per un' idea di

letteratura come questione anzitutto personale e come campo di conoscenza dell'uomo

doverosamente indipendente, capace di sospingere la propria ricerca nei recessi più

misteriosi dell'animo e nel cuore dei bisogni metafisici6, contro un'idea di letteratura

come strumento sussidiario, per cui il suo fine è confermare e rendere persuasivi idee,

pensieri e concezioni del mondo che trovano il loro naturale campo di sviluppo in altri

ambiti intellettuali. Ai suoi tempi, l'ambito umano che più ingeriva sulla letteratura era

appunto l'attività politica: che era molto più potente, pervasiva e ambiziosa di oggi, così

come la letteratura era ritenuta uno strumento più efficace di presa sulle menti e di

diffusione di idee.

Ma al Pavese paladino dello spirito autentico della cultura occidentale ( con cui è in

accordo lo sviluppo artistico dei motivi intimi) deve essere accostato il Pavese involto

nel clima politicizzato di allora e che partecipa alla temperie dei tempi, quello che

appena dopo la guerra si iscrisse al Partito Comunista Italiano e che immise nella sua

vena autentica gli stilemi e gli obiettivi di una letteratura moraleggiante e nei casi

peggiori perfino apologetica.

Ciò che lo indusse a scendere alle umili quote della militanza fu l'esigenza di un dovere

morale da compiere verso la collettività, che era anche una sorta di offensiva alla sua

sofferente natura solipsistica: difatti la militanza fu abbracciata sotto il vessillo della

carità, un sentimento che subordina l'io al prossimo, e che esige dunque una condotta di

vita opposta a quella contratta nelle proprie ragioni individuali. Lo stesso scopo di

maturare che Pavese assurse a progetto di vita, a suo primo dovere di uomo7, pendeva

6 Ma che prevede un'attenzione anche verso le esigenze umane sorte da bisogni storici, tanto nel singolo

quanto nel sociale, secondo una funzione di cui la letteratura si prese carico a partire dal

romanticismo, come sostiene nell'articolo "Due poetiche" , in Saggi letterari, pp.325- 328.

7 Una vita organizzata da un' etica del fare, che riscatta l'infelicità di vivere grazie a un lavoro che

possa impegnare giorno per giorno. Poiché secondo quest'etica il valore di una vita è misurabile dal

successo mondano della propria azione, è stata anche definita un calvinismo laico ( in Armanda

Guiducci, Il mito Pavese, Firenze, Vallecchi editore, 1967). La vita così regolata, concepita come una

continua costruzione, è per Pavese quella virile, infusa di un sentimento tragico, in opposizione alla

vita voluttuosa, per cui il senso della vita si ricerca nell'abbandono alla fugacità del momento. Si veda

a proposito l'articolo "Pavese: essere e fare" in Italo Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura

5

verso due poli opposti: maturità come integrazione nel sistema dei valori sociali (e per

cui, nel secondo venticinquennio del secolo scorso, un'azione socialmente utile era

riconosciuta tale specialmente se passava attraverso canali politici) e maturità come

scoperta e definizione del sé autentico, svincolato dalle attività dell'uomo maturo. Nelle

strutture simboliche della sua arte egli attribuì alla città il primo tipo di maturità, alla

campagna il secondo ( la campagna dove riposano le immagini mitiche dell'individuo).

Entrambe le spinte, di fatto, si realizzavano sopratutto nella scrittura, essendo lo scrivere

il banco di prova della sua riuscita esistenziale, nonostante il desiderio mai veramente

trasformatosi in proposito di realizzarsi anche come uomo d'azione, capace e sicuro

nella relazioni umane.

Lo scopo della tesi è di illustrare le relazioni che intercorrono tra la poetica di Pavese,

nella sua essenza introspettiva e inerente a qualità astoriche dell'uomo, e la finalità

sociale della letteratura. Il che significa non solo mettere a nudo quando tale uso si sia

sovraimposto alla poetica come complesso di valori esterni e perciò dannoso al libero

corso delle ragioni artistiche; ma anche e sopratutto di spiegare quando le ragioni sociali

partecipino alla poetica autentica, ossia trovare i luoghi dell'opera in cui non intralciano

ma infuenzano il percorso conoscitivo-esistenziale, presenza determinante anche

quando la ricerca artistica si tuffa nei più intangibili recessi dell'animo. Si tratta quindi

di comprendere la natura delle controversie che gravano sull'autore, con lo spiegare i

mutamenti della dialettica tra la perentoria chiamata dei motivi sociali attuali e

l'irresistibile richiamo interiore.

Dopo aver tracciato una biografia dei rapporti dell' uomo Pavese con la politica,

rapporti ambigui e scostanti in un ambiente amicale e lavorativo che di politica era

pervaso, procederemo con l' illustrare in quale forma la sensibilità sociale sia insita nella

poetica introspettiva dell'autore, e quali interpretazioni della realtà sociale si possono

evincere in questa; quindi passeremo a quei romanzi della maturità in cui la dialettica da

noi indagata assume un fondamentale rilievo: Il compagno, dove il percorso di

formazione politica del protagonista, il giovane piccolo-borghese Pablo, si sovrappone

stridendo alla tipica aspirazione pavesiana, che traspare pagina per pagina, di narrazione

di una vita spirituale in presa diretta, attraverso il succedersi di esperienze emotive, e

non influenzabile, come accade qui, dalla morale (e dalla visione del mondo) delle

e società, Torino, Einaudi, 1980, pp. 58-63.

ideologie; La casa in collina, dove l'agire storico, che esplode nella guerra, si manifesta

in una serie di insensatezze e disumanità che il protagonista, l'intellettuale Corrado,

osserva e giudica con lucido occhio contemplatore, ed è tale da indurlo a rifugiarsi entro

Dettagli
Publisher
A.A. 2025-2026
6 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gigapower di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Marino Giovanni.