vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
GESTIONE DELLA TOSSICITÀ DA IMMUNOTERAPIA
L’immunoterapia, oggi ampiamente utilizzata nel trattamento dei tumori, sfrutta il sistema
immunitario per indurre una risposta antitumorale, ed in particolare si basa su farmaci che
agiscono sugli immunocheckpoint. Gli immunocheckpoint sono proteine coinvolte in
pathway di regolazione, sia attivatoria che inibitoria, delle cellule del sistema immunitario.
Tali pathway sono fondamentali dal punto di vista fisiologico per la regolazione della risposta
immune, in quanto consentono di evitare fenomeni di autoimmunità e limitare il danno
tissutale in corso di risposta ad agenti patogeni, ma possono essere sfruttati dai tumori come
meccanismi di immunoevasione e immunoresistenza.
I farmaci immunoterapici attualmente impiegati nella pratica clinica sono
immunocheckpoint inibitori (ICI) che, bloccando le pathway inibitorie del sistema
immunitario, riattivano la risposta immune antitumorale (gli ICI attualmente impiegati in
oncologia sono anticorpi monoclonali diretti contro proteine specifiche).
L’immunoterapia, agendo su un sistema intrinseco all’organismo quale il sistema
immunitario, e non nei confronti di un singolo specifico bersaglio tumorale, è potenzialmente
attiva nei confronti di molteplici neoplasie. Gli ICI si sono dimostrati efficaci nel prolungare la
sopravvivenza in un ampio spettro di neoplasie solide ed ematologiche. Sebbene gli ICI
siano generalmente meglio tollerati rispetto ai comuni trattamenti chemioterapici, il loro
meccanismo d’azione si traduce in un peculiare profilo di tossicità, caratterizzato da
cosiddetti eventi avversi immunocorrelati (irAEs, immune-related adverse events) che
possono potenzialmente interessare qualsiasi organo o apparato e, sebbene nella maggior
parte dei casi siano di grado lieve-moderato e reversibili, in alcuni casi possono essere
severi e/o fatali, soprattutto se non prontamente riconosciuti ed adeguatamente trattati.
Gli organi più frequentemente interessati risultano essere la cute, le ghiandole endocrine,
il colon, il fegato e il polmone, il pattern, l’incidenza e la severità degli eventi avversi variano
in base a tipo di ICI e modalità di impiego (agenti singoli o in combinazione).
La tossicità può essere precoce < 8 settimane (tossicità cutanea, GI e epatica) e tardiva > 8
settimane (polmonare, endocrina, renale). La tossicità da ICI può manifestarsi anche
dopo il termine del trattamento (> 90 giorni dal termine del trattamento), tra i casi
confermati vi sono stati irAEs di tipo endocrino, cutaneo, neurologico, polmonare, cardiaco,
reumatologico e oculare. Alcuni irAEs possono essere cronici (definiti come persistenti
per un periodo ≥12 settimane dopo il termine del trattamento).
Non sono stati ancora adeguatamente delucidati i possibili effetti tardivi
dell’immunoterapia su un’ampia gamma di processi in cui può essere implicato il sistema
immunitario, tra cui l’aterosclerosi, l’insufficienza cardiaca, la neuroinfiammazione, l’obesità
e l’ipertensione, e questo aspetto rappresenta un’area di ricerca particolarmente rilevante
per i soggetti lungoviventi.
Noi operatori possiamo agire sulla prevenzione conoscendo le tossicità dei farmaci, i fattori
di rischio (malattie autoimmuni, infezione da HIV ed epatite virale, infezione da patogeni
opportunisti, terapie concomitanti con farmaci già associati a malattie autoimmuni) e
informando i pazienti. Occorre informare i pazienti che gli effetti collaterali possono
presentarsi in qualsiasi momento, anche dopo la sospensione della terapia, e devono essere
educati a riportare i sintomi senza ritardi per permettere una gestione tempestiva delle
tossicità. Quando informare il medico? Diarrea, sangue o muco nelle feci, dolore
addominale, stanchezza, perdita di peso, nausea e vomito, rash cutaneo e prurito, dispnea,
tosse, cefalea, confusione, debolezza muscolare, dolori articolari e muscolari, febbre e calo
del visus.
Bisogna poi agire di anticipazione, mostrandosi pronti nel riconoscimento della tossicità
immuno-mediata e con un trattamento tempestivo possibile grazie a controllo basale,
controlli periodici in corso di trattamento, e controlli al termine. Importanti sono la visita
clinica per sintomi preesistenti riguardo transito intestinale, tosse e dispnea, nausea,
cefalea, disturbi sensitivi e motori, artralgie, i test di laboratorio per funzionalità epatica e
renale, l’assetto ormonale (asse ipofisario che comprenda TSH e ormoni tiroidei, ACTH e
cortisolo, LH/FSH ed estradiolo/testosterone), esami sierologici (eventuale infezione da virus
dell’epatite e da HIV), emocromo completo con formula, ed esami radiologici come TAC
per la diagnosi di eventuali tossicità autoimmuni pleuropolmonari, e l’RM all’ipofisi.
Concentrandoci sul trattamento nello specifico invece la gestione delle tossicità da
immunoterapia si basa sul tipo di evento, sul suo grado di severità e in linea generale a
seconda dei casi prevede valutazione specialistica e terapia sintomatica, sospensione
temporanea o definitiva dell’ICI, o terapia steroidea. Si effettua una sospensione
temporanea se l’effetto collaterale si è risolto e se il paziente non necessita di dosi di
prednisone >10 mg/giorno, mentre si attua una sospensione definitiva in caso di eventi
avversi molto severi che mettono a rischio la vita del paziente (grado 4), eventi avversi
severi ricorrenti (grado 3 ricorrente), diarrea di grado severo, eventi avversi moderati (grado
2) che non rispondono a 3 mesi di trattamento adeguato.
Prurito, rash maculo-papulare, eruzione lichenoide, lesioni vitiligo-like sono le
manifestazioni cutanee più frequenti.
Diarrea e colite sono le manifestazioni gastrointestinali più frequenti, la prima è uno dei
principali motivi di accesso in PS per i pazienti trattati con ICI.
Ci sono poi manifestazioni cliniche molto eterogenee: aumento della frequenza dell’alvo
con feci liquide, dolore addominale, febbre, presenza di muco e sangue nelle feci, ulcere del
cavo orale, lesioni perianali, tossicità gastrointestinale. Diagnosi differenziale con infezioni
gastrointestinali può essere effettuata con esami di laboratorio (anemia, aumento della PCR
e della VES, ipoalbuminemia), TC addome (distensione fluida colica, ispessimento delle
pareti viscerali, ectasia dei vasi mesenteriali), colonscopia (iperemia, edema, lesioni erosive
e ulcerative).
Occorre ovviamente effettuare un monitoraggio, osservando timing di risoluzione del
quadro, recidive e complicanze, il tempo necessario alla risoluzione degli effetti collaterali
dipende dal tipo di tossicità, eventi avversi gastrointestinali, epatici e renali: migliorano
rapidamente non appena instaurata una terapia immunosoppressiva, tossicità cutanea e
endocrina: maggior tempo e può residuare un’insufficienza endocrina che può richiedere
terapia sostitutiva a tempo indeterminato.
CANCER-RELATED FATIGUE
Si definisce fatigue correlata al cancro (CRF) la presenza di una sensazione soggettiva,
stressante, persistente di stanchezza o spossatezza correlata al cancro e al suo trattamento,
non proporzionale all’attività eseguita, che interferisce con le abituali attività e che spesso
non è alleviata dal sonno o dal riposo. Parliamo di una sensazione complessa,
multidimensionale, percepita come più stressante rispetto a dolore, nausea, vomito. Non è
un sintomo isolato ma si presenta con un cluster di sintomi fisici e/o emozionali.
La patogenesi della fatigue è poco conosciuta. Esistono delle ipotesi basate su evidenze
emerse in popolazioni non oncologiche, come il coinvolgimento del sistema immunitario con
ruolo delle citochine proinfiammatorie, del triptofano e alterata regolazione delle citochine,
alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni: diminuzione della risposta ai glucocorticoidi,
alterata regolazione del ritmo circadiano, della produzione di serotonina e della funzione
nervosa afferente vagale, perdita della massa muscolare, anomalie nella sintesi e/o
nell’utilizzo dell’ATP.
La fatigue cancro-correlata (CRF) andrebbe valutata ad ogni visita oncologica, conoscere
l’intensità di questo sintomo, la relazione con gli altri
sintomi, l’interferenza con le attività quotidiane e
l’impatto sulla QoL del paziente è importante ai fini di
un trattamento precoce, quanto possibile.
Oltre alla scala VRS esistono vari questionari per
indagare la fatigue, come l’ESAS, la facit, la BFI.
A livello del trattamento il primo approccio è l’identificazione dei fattori che causano o
contribuiscono alla CRF. Dopo che questi fattori sono stati identificati, trattati e possibilmente
rimossi, si possono considerare trattamenti farmacologici e non farmacologici specifici per la
CRF. Non ci sono ancora studi affermati e quindi non sono presenti raccomandazioni basate
su evidenze scientifiche nella gestione di questo fenomeno.
Tra i trattamenti non farmacologici abbiamo l'esercizio fisico di moderata intensità, esercizi
aerobici o di resistenza funzionale, e la meditazione (efficace nel migliorare i disturbi del
sonno, lo stress, i disturbi dell’umore). La combinazione di esercizio fisico e interventi
psicologici è più efficace dei trattamenti farmacologici e deve essere prescritta come prima
linea terapeutica ai pazienti sottoposti a trattamenti oncologici attivi.
CURE PALLIATIVE
Le cure palliative non si applicano solo all’oncologia, ma a qualsiasi patologia con prognosi
infausta, nella quale non possono più funzionare le terapie di base. La WHO porta però una
definizione più moderna, infatti alcuni interventi palliativi sono applicabili anche
precocemente nel decorso di una malattia, in aggiunta al trattamento oncologico, e
prevedono inoltre un aiuto generale alla famiglia.
All’interno delle cure palliative ci sono le terapie di supporto, le quali comprendono tutti gli
interventi volti al controllo dei sintomi causati dalla neoplasia stessa e dalle terapie
oncologiche, e le cure di fine vita, che invece riguardano la fase finale della direzione di
malattia. In generale l’obiettivo è il miglioramento della qualità di vita dato anche dalla tutela
del benessere psico-fisico, il quale porta anche una maggiore aderenza alle terapie.
L’aumento delle cure palliative non necessariamente inizia al termine di quelle attive, ma
procede spesso al decrescere di queste, parliamo così di cure simultanee, che vedono
come protagonisti l'oncologo e il palliativista, se non si occupa l’oncologo stesso dei
palliativi. L’utilizzo palliativo precoce, come indicato dagli studi, porta il paziente a
sopravvivere più a lungo, non perché agiscano direttamente sulla patologia, ma visto
l’aumento di qualità della vita e d