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MERCATO IN CONCORRENZA NELLE NORME DEI TRATTATI
La concorrenza perfetta non s realizza nella realtà e il grado di concorrenza cambia a seconda del
mercato che si prende in considerazione. I trattati si riferiscono al tema della concorrenza non
soltanto nelle norme dedicate alle pratiche antitrust ma anche in altre disposizioni. L’economia di
mercato che si ritrova nei trattati è un principio di economia di mercato aperta e in libera
concorrenza (art.119):
Aperta diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi che consente di accedere al mercato
Libera concorrenza il public enforcement garantisce che non ci saranno operatori che
soverchiano la posizione di altri. Se si manifesteranno la Commissione interverrà a garantire la
parità delle armi.
Art. 3, trattato di Maastricht trattato sull’UE
Trattato più tecnico sul funzionamento dell’UE dentro il quale sono state inglobate le norme dei
precedenti trattati in particolare il Trattato sulla comunità europea (TCE)
Nell’art.3 del trattato di Maastricht si indicano i fini, mentre nell’art. 119 del trattato sul
funzionamento dell’UE si dice in maniera più tecnica che per raggiungere quei fini gli stati membri
“adottano una politica economica fondata stretto coordinamento delle politiche economiche degli
Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente
al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.”
C’è un principio di libera concorrenza, e le imprese che stanno in concorrenza possono essere sia
pubbliche che private e questo si trova sancito dall’art.345: al diritto europeo non importa se la
proprietà sia pubblica o privata, la cosa che interessa è che sia le imprese pubbliche che private
rispettino le regole del mercato in concorrenza a prescindere dalla natura degli operatori economici
che si muovono in quel mercato. Deve essere garantita una concorrenza effettiva tra imprese anche
solo potenziale: “ concorrenza potenziale” è un concetto che il diritto europeo utilizza in materia
antitrust non in materia di regolazione economica. Possiamo avere anche un settore in cui non
ci sono operatori economici in concorrenza perché hanno deciso che non sono interessati a quel
settore, ciò non significa però che potenzialmente in quel settore non possa esserci concorrenza.
C’è un mercato potenziale che al momento non si è realizzato, ma si potrebbe realizzare: non c’è un
monopolio naturale o un problema di accesso a quel mercato (non ha senso parlare di mercato
potenziale quando ci sono i monopoli naturali).
Il mercato è in concorrenza effettiva potenziale quando le imprese non tengono condotte antitrust
cioè si sottopongono alle regole antitrust e non tengono condotte lesive della concorrenza (imprese
sono i primi destinatari del diritto antitrust), però ci sono casi in cui anche gli stati possono
contrastare questa concorrenza effettiva o potenziale, e devono quindi per il diritto europeo
astenersi dal farlo, ovvero con gli aiuti di stato che possono distorcere la concorrenza. Affinchè la
concorrenza effettiva e potenziale sia garantita, il diritto europeo mette in campo il diritto antitrust
per le imprese e le regole sugli aiuti di stato per gli stati che essendo preordinate ad evitare una
distorsione della concorrenza attengono alla concorrenza ma NON SONO diritto antitrust.
Ci sono casi in cui il diritto europeo ammette che si possa derogare alle regole di concorrenza
quando gli scopi che si prefiggono di raggiungere i poteri pubblici non verrebbero garantiti se non
derogando alla concorrenza, quindi ci sono casi in cui le imprese sono sottratte al rispetto delle
regole di concorrenza e questi casi sono indicati nei trattati. Il nostro mercato interno funziona
grazie alle 4 libertà economiche, e il diritto europeo anche qui ammette in casi tassativi una
compromissione di queste libertà: è ovvio che sono casi molto esigui, e questo avviene quando
entrano in gioco interessi pubblici come ad es. l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica (Art.36) la
salute, la vita delle persone, la preservazione dei vegetali etc…
L’art. 36 ci dice che è possibile che uno stato introduca un divieto dentro il mercato interno o una
limitazione quantitativa allo scambio di merci, servizi, capitali quando entrano in gioco questi
interessi pubblici. Ad es blocco in dogana di alcuni container perché si sospetta che ci siano delle
armi che possono essere utilizzate in un attentato: in questi casi è possibile limitare gli scambi. La
Corte di giustizia ha ampliato la portata di questi art.36 prevedendo che queste restrizioni
quantitative agli scambi dentro il mercato interno si possano realizzare anche per altri motivi
imperativi di interesse generale. Si è cercato di intervenire sul testo di questo art. dicendo che
l’elenco non è tassativo ma altri motivi di interesse generale possono generare un limite ma è ovvio
che questi motivi devono avere a che fare con i pubblici poteri, non potranno mai essere obiettivi
economici, non si potrà mai utilizzare per far sì che siano gli stati a sostituirsi alle dinamiche
generate da mercati, cioè uno stato non potrà mai restringere un import-export sostenendo che in
questo modo si ottengono dei prezzi migliori, perché questo è u obiettivo economico che deve
raggiungere il mercato. Gli stati possono prevedere per interessi pubblici non solo un divieto o un
limite quantitativo ma possono introdurre misure ad effetto equivalente cioè misure diverse che
hanno lo stesso effetto, ad es. introdurre un regime autorizzatorio e prevedere che per il rilascio
dell’autorizzazione bisogna avere de requisiti particolarmente stringenti.
La restrizione è possibile quando c’è un interesse pubblico o un interesse generale, per es. libera
circolazione dei lavoratori: è una libertà economica su cui si è costruito il mercato interno; si è
molto dibattuto se gli insegnanti potessero liberamente circolare in Europa, cioè se il requisito della
cittadinanza dello stato potesse essere considerato essenziale oppure no. Si è molto discusso se lo
stato potesse limitare la circolazione invocando un motivo imperativo di interesse generale, cioè
l’istruzione è così vicina ai pubblici poteri da ritenere che è un motivo imperativo quella
restrizione alla libertà? La soluzione è stata negativa.
Il diritto europeo, quindi, prevede la regola della concorrenza effettiva, ammette che ci possono
essere dei casi in cui questa concorrenza effettiva può non esserci perché ci sono i monopoli
naturali: se ci sono i monopoli naturali o c’è un intervento sostitutivo dello stato, oppure è possibile
assicurare comunque la concorrenza sebbene con regolazione economica.
Questo è stato fatto con il diritto derivato, cioè non le direttive, ci sono stati dei settori economici in
cui il diritto europeo ha ritenuto che fosse possibile regolare i fallimenti del mercato applicando le
regole del mercato. Questo è stato quel passaggio nell’interpretazione dell’art.86 del Trattato: ci
sono dei casi in cui le imprese (pubbliche o private) possono derogare alle regole di concorrenza e
questo caso è codificato nei trattati.
Si tratta di imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico-generale. Queste
imprese si dice nel diritto europeo, che sottostanno alle regole di concorrenza nei limiti in cui
l’applicaz di queste regole non impedisca l’adempimento della specifica missione loro affidata; se
rispettare le regole di concorrenza vuol dire non adempire alla missione d servizio pubblico, allora
pur d garantire l’adempimento di quella missione, si accetta che deroghino al rispetto della
concorrenza.
La norma ci dice che lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria
agli interessi della comunità cioè deve essere comunque una deroga controllata, cioè necessaria
semplicemente a garantire la missione, non può essere eccessiva.
Su questo profilo succede che ogni volta che assistiamo all’esistenza di una missione configura con
legge dello stato di servizio pubblico , ben si potrà avere ad es. un monopolista legale l’importante è
che lo stato sia in grado di dimostrare che c’è una missione di servizio pubblico.
E’ un orientamento tradizionale che lascia autonomia agli stati membri.
Negli anni 90 le istituzioni europee, laddove c’erano monopoli naturali, hanno cominciato ad
elaborare delle direttive, che cercavano di far sì che la concorrenza entrasse anche in quei settori.
Hanno introdotto in quei settori per direttiva la regolazione economica e gli stati membri sono stati
obbligati a dare attuazione a quelle direttive, ad es. energia elettrica e gas, settore postale. In questi
3 settori, pur essendoci dei monopoli naturali perché c’è un essential facility, cioè si tratta di servizi
che per poter essere erogati hanno bisogno di una infrastruttura essenziale (reti della distribuzione
postale, viadotto del gas etc..); fino ad un certo punto quando c’era un’essential facility gli stati
membri potevano decidere liberamente di mettere un monopolista in base all’art.86 e la Corte di
giustizia si disinteressa ad applicare questo art e gli stati membri lo utilizzano moltissimo anche
oltre i limiti perché non sempre c’era una missione di interesse generale).
Successivamente però con la realizzazione del mercato interno viene utilizzato l’art.86 per
rafforzare il mercato e allora due sono gli atteggiamenti delle istituzioni europee:
1. Verificare la corretta applicazione dell’art.86, quindi se veramente c’è la missione di interesse
generale e se non c’è si può aprire una procedura di infrazione demandando la questione alla Corte
di giustizia. Gli operatori economici iniziano a sollevare cause sulla violaz del’art.86 quando ci
sono deroghe alla concorrenza anche oltre quanto consentirebbe il diritto europeo.
2. Si cerca un modo per regolare la concorrenza senza derogarla per realizzare quegli interessi
pubblici si fanno direttive di liberalizzazione, cioè direttive di settore che introducono l
strumento della regolazione economica per raggiungere quegli obiettivi che si realizzerebbero se ci
fosse il mercato in quei comparti.
Abbiamo quindi una situazione ordinaria che è quella del mercato in concorrenza e quando c’è
questa situazione ordinaria opera: il diritto antitrust o la regolazione economica; è una concorrenza
artificiale prodotta da regole giuridiche ed è quella cui mira il diritto europeo.
Abbiamo una situazione speciale in cui si rinuncia al mercato perch&e