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Pampinea non rispetta esattamente l’argomento proposto per la giornata, va "fuori tema” in

quanto nella novella il protagonista Cisti non viene provocato(come in altre novelle), ma è lui

che provoca:” beveva così «saporitamente questo suo vino, che egli n’avrebbe fatta venir

voglia a’ morti”.

Inoltre, Cisti non fugge neanche «perdita o pericolo o scorno», ma esercita con accorta

liberalità un atto (anzi, molti atti) di cortesia. Cisti, oltre all’ “industria”, all’arte della parola,

possiede anche le virtù cortesi e agisce secondo il codice della liberalità cavalleresca. In lui, i

valori borghese e quelli cortesi si fondono insieme, creando una perfetta sintonia fra un fornaio

e un signore, fra ceti medi e ceti dirigenti

154. Decameron, VI 3: quale è la beffa di Dego della Ratta?

Il marito di Monna Nonna de’ Pulci, era un uomo avarissimo e cattivo. Dego della Ratta,

essendo innamorato della donna, concorda con lui di dargli 500 fiorini d’oro in cambio di

passare una notte con la moglie. In realtà lo imbroglia facendo dorare delle monete di scarso

valore. Quindi, il marito della donna, oltre al danno per il fatto che l’imbroglio divenne di

dominio pubblico, non ebbe la somma concordata con Dego della Ratta.

155. Decameron, VI 3: in che modo il Vescovo offende monna Nonna? Come risponde

la donna? Quale reazione suscita nell’interlocutore?

Il vescovo offende monna Nonna domandandole se fosse capace di resistere alla bellezza

dell’ufficiale maniscalco spagnolo, Dego della Ratta.

Monna Nonna restituisce il colpo infertole con un motto mordace dicendo che molto

probabilmente sarebbe l’ufficiale a non resistere alla bellezza e che per questo avrebbe preteso

“buona moneta”. La donna, con tale risposta, rende colpo su colpo e fa riferimento all’inganno

che era stato fatto alla nipote del fratello del vescovo, divenuto di dominio pubblico; così

facendo, monna Nonna colpisce nel profondo i due uomini, uno perché aveva effettivamente

ingannato, l’altro perché aveva fatto finta di ignorare l’offesa fatta alla nipote del proprio

fratello.

L' "aggressività" di monna Nonna suscita scalpore e fa sí che la sua reazione venga

commentata da tutti i componenti della brigata.

156. Decameron, VI 3: i personaggi di questa novella sono personaggi storici? Ce ne

sono altri nelle novelle di questa giornata? Quali?

I personaggi storici in questa novella sono Antonio degli Orsi che era stato vescovo di Fiesole

dal 1301 al 1309. Fu un uomo famoso per la gloria militare e per la sua avarizia, dando forse le

voci che hanno dato origine all’episodio narrato dal Decameron. Diego della Ratta era un

importante membro della corte angioina di Napoli, dove era giunto al seguito di Violante

d’Aragona, prima moglie di re Roberto d’Angió. Fu a Firenze con il vicario del re nel 1305, nel

1310 e nel 1317-18 e forse a quest’ultima occasione si riferisce questa novella. Molto

probabilmente, Monna Nonna, protagonista della novella, nobildonna che apparteneva alla

famiglia dei Pulci e risulta contemporanea alla vicenda narrata e attestata nei documenti come

cugina di Alesso Rinucci, personaggio politico fiorentino dell’epoca.

Nella VI giornata, ci sono altre due personaggi storici molto celebri: Giotto e Vasari(V novella).

157. Decameron, VI 4: quale è il carattere e la condizione di Chichibio? Quale è il suo

rapporto con Currado?

Chichibio è un cuoco ai servizi di un nobile fiorentino Currado Gianfigliazzi. Egli era un

“bergolo”, parola veneta dispregiativa per indicare un fatuo chiacchierone. Ha origini veneziane

e per questo viene evitato da tutti perché i fiorentini vedevano in Venezia una città rivale a

Firenze sia in campo politico che economico. Dinanzi alla sua amata si mostra temerario, ma si

rivelerà anche timoroso nei confronti di Currado. In seguito al danno arrecato al padrone, con

l’arguzia della parola supera la difficoltà e riesce a convertire l’ira del suo padrone in un’allegra

risata, mostrandosi essere anche uomo di spirito capace all’improvvisazione.

Il suo rapporto con Currado è basato sul contrasto sociale perché Currado non è solo il suo

padrone ma anche un noto personaggio fiorentino. La loro è una relazione tra un padrone e un

servo ma anche tra un personaggio significativo e un personaggio appartenente ad un basso

ceto sociale. Sono diversi anche per la diversa provenienza: uno è fiorentino e l’altro è un

veneziano. Inoltre, il loro rapporto è regolato anche dalla differenza tra l’intelligenza riflessiva

di Currado e l’arguzia inconsapevole di Chichibio.

158. Decameron, VI 4: quale è la battura di spirito di Chichibio? Che cosa giustifica?

Come reagisce Currado?

Il racconto rientra nel tema della sesta giornata dedicata ai motti e alle risposte pronte, che

celebra appunto l’arte della parola. La novella, rapida ed essenziale,finisce con la fortunata

risposta che salva un personaggio umile da un’inevitabile punizione. Chichibio, cuoco

veneziano si reca vicino a un fiume con Currado per controllare se effettivamente le gru hanno

un zampa sola, ed effettivamente a prima vista, Chichibio aveva ragione. Currado, per

dimostrare che queste ultime avessero due zampe, batté le mani spaventandole. A questo

punto allora, Chichibio ricorre alla battuta di spirito e furbescamente si difende rispondendo

che il padrone doveva battere le mani e urlare anche alla gru servita a cena la sera precedente.

In quel modo, anche quella gru avrebbe mostrato l’altra coscia. Questa battuta di spirito

giustifica il danno di Chichibio e l’ira di Currado si trasformò in gaiezza, e il cuoco riuscì a

salvarsi.

159. Decameron, VI 5: quale è la massima generale della novella? Come si collega

con la battuta di Giotto?

La massima generale della novella dice che la fortuna sotto vili arti e sotto turpissime forme di

uomini si trovano meravigliosi ingegni. La frase esprime il complesso insieme di rapporti tra

fortuna, natura e intelletto e si adatta ai due protagonisti malconci e malvestiti: eppure Forese,

per la sua sapienza giuridica era ritenuto una biblioteca di diritto civile, mentre Giotto era il

mito dell’eccellenza del suo ingegno. Oltre a questo, pur avendo acquistato gloria mentre era in

vita, rifiutò sempre, con grande umiltà, di essere chiamato maestro. Entrambi erano di

“turpissime forme”, non primeggiavano in bellezza, ma nascondevano ingegni meravigliosi. In

seguito alla risata di Forese per il fatto che Giotto fosse un grande pittore, ma che in quello

stato nessuno l’avrebbe riconosciuto, Giotto rispose prontamente che lo stesso si poteva

credere di lui in quanto nessuno avrebbe creduto che in quello stato fosse il grande giurista che

era. La battuta di Giotto si collega con il senso della massima generale perché ripete il concetto

che spesso, la natura nasconde in bruttissimi corpi umani (turpissime forme) straordinari

ingegni, straordinarie capacità e a volte come nel caso di Giotto, nonostante il meritato primato

artistico e la gloria avuta, rifiutò sempre con grande umiltà di essere chiamato maestro.

160. Decameron, VI 5: chi sono i due protagonisti della novella? Quale è la battuta di

spirito? Quali notizie riporta Vasari su Giotto? Sono attendibili?

I protagonisti della novella sono due personaggi realmente esistiti: il pittore Giotto, mito

dell’eccellenza del suo ingegno e Forese Rabatta, famoso ai tempi di Giotto per la conoscenza

delle leggi ritenuto per la sua sapienza giuridica, una biblioteca di diritto civile.

La battuta di spirito di Giotto è la seguente: “Crederebbe che io fossi un grande pittore, ma

vedendo voi non vi crederebbe grande giurista”. Con queste parole, Giotto sottolinea che

l’aspetto malconcio di Forese potrebbe mettere in dubbio le sue grandi capacità di giurista e di

conoscitore del diritto. E’ una battuta che ripaga con la stessa moneta la precedente battuta

del compagno.

Giorgio Vasari considerava Giotto il mito dell’”eccellenzia” del suo ingegno. Da Dante in poi, il

mito di Giotto fu una costante nella cultura fiorentina fino a Giorgio Vasari e a Boccaccio. Tutti

erano d’accordo sul fatto che Giotto dipingeva le sue opere in modo tanto simile alla natura che

sembravano la natura stessa. Spesso, si credeva vero quello che era dipinto. Inoltre,Giorgio

Vasari ci dice che Giotto era un personaggio noto per la sua arguzia e per la sua pronta

risposta. Nella novella, scopriamo inoltre che era umile e che nonostante la sua bravura, non si

faceva chiamare maestro per umiltà.

161. Decameron, VI 6: in che modo Michele Scalza riesce a dimostrare l’antichità dei

Baronci?

Michele Scalza sosteneva che gli uomini di più antica nobiltà, non solo di Firenze, ma di tutto il

mondo o della Maremma, erano i Baronci. Per essere credibile, disse che gli uomini, più erano

antichi più erano nobili, ed egli avrebbe dimostrato che i Baronci erano gli uomini più antichi e

in questo modo avrebbe vinto la cena scommessa.

A dimostrazione di ciò, invitò i compagni a confrontare i Baronci e gli altri uomini. Dal

confronto risultava evidente che, mentre gli uomini avevano visi armoniosi e ben proporzionati,

i Baronci avevano visi lunghi e stretti, nasi lunghi o corti, menti fuori misura e mascelle enormi,

un occhio più grosso dell’altro. Finì l’elenco dei loro difetti con una battuta di spirito, dicendo

che i Baronci avevano i visi simili ai visi che facevano i bambini nei loro primi disegni,

imparando a disegnare. Scalza, quindi, considerò la nobiltà dei Baronci come la più antica per il

fatto che erano stati creati da Dio per primi quando Dio non sapeva ancora dipingere, e per

questo motivo erano così malformati.

162. Decameron, VI 7: quale è lo statuto «non men biasimevole che aspro» in vigore

a Prato? Perché è ingiusto, a detta di madonna Filippa?

*A Prato era in vigore uno statuto che Boccaccio definisce “biasimevole ma anche aspro”

perchè ingiusto in certi punti. Lo statuto prevedeva che la donna trovata in adulterio, sia per

prostituzione che per piaceri di lei, questa venisse bruciata viva. Scoperto il tradimento di

Madonna Filippa, il marito la porta in tribunale sapendo già la sentenza del giudice.

Quest’ultimo invita la donna a mentire in modo da non venire bruciata viva, ma Madonna

Filippa non solo ammette il suo errore ma ragiona sullo statuto ingiusto. Si difende dicendo che

le leggi dovevano essere uguali per tutti e dovevano essere fatte con il consenso di coloro cui

riguardavano (le donne).

Per quella legge non era avvenuto così, infatti essa p

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Publisher
A.A. 2019-2020
35 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Grace19 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Cappelletti Cristina.