I Giudei, creduloni, si convincono che quella feccia sia una reliquia, e addirittura se la spalmano sul
volto per venerarla. Lasciato libero, Dolcibene racconta questa storia in patria e viene lodato e
premiato per la sua astuzia e per avere beffato i nemici della fede cristiana.
Le novelle del 300 novelle abbiamo detto che sono poco più di 200, e se guardiamo la presenza di
novelle di motto ci rendiamo conto che è una presenza costante, sono oltre 30 catalogate come novelle
di motto che, come nel decameron, ci presentano una bella risposta e a volte anche una sola parola e
questo ci dimostra quante cose possiamo fare attraverso la sola parola o semplicemente il motto. Il bel
motto serve a difendersi, a confondere, a mordere, a far ridere, a far ricredere, a liberare e tutto questo
lo ritroviamo nel testo, sono tutti verbi che abbiamo già nel decameron.
Sono 2 novelle (60 e 72) che girano attorno al tema delle reliquie, della superstizione e tal volta
dell’ignoranza e stupidita dei frati, e della loro stessa malizia
- 60 -
Frate Taddeo Dini, predicando a Bologna il dì di Santa Caterina, mostra un
braccio contro a sua volontà, gittando un piacevol motto a tutta la predica.
Molte volte interviene che delle reliquie si truovano assai inganni,
come poco tempo intervenne a’ Fiorentini. Avendo aùto di Puglia un brac-
cio, il quale fu dato loro per lo braccio di santa Reparata, e facendolo venire
con gran cerimonia, e mostrandolo parecchi anni per la sua festa con gran
solennità, nella fine trovorono il detto braccio esser di legno.
Era adunque frate Taddeo Dini dell’ordine de’ Predicatori, valentissimo
uomo, il dì di Santa Caterina a Bologna; e al monistero di Santa Caterina
per la festa la mattina predicando, avvenne che, compiuta la predicazione,
anzi che scendesse del pergamo e pervenisse alla confessione, con molti
torchi gli fu recato un forzieretto di cristallo, coperto con drappi, dicendo:
— Mostrate questo braccio di santa Caterina.
Frate Taddeo, che non era smemorato, dice:
— Come il braccio di santa Caterina! Io sono stato al Monte Sinai,
e ho veduto il suo corpo glorioso, intero con le due braccia e con tutte
l’altre membra.
Dissono quei pretoni:
— Bene sta; noi tegnamo che questo sia veramente il suo braccio.
Frate Taddeo con chiare ragioni diceva non esser da mostrarlo. La
Badessa, sentendo questo, lo mandò pregando il dovesse mostrare; però
che, se non si mostrasse, la devozione del monastero si perderebbe.
Veggendo frate Taddeo che pur mostrare gli lo convenìa, aprì il forzierino,
e recatosi in mano il detto braccio, disse:
— Signori e donne, questo braccio che voi vedete dicono le suore di
questo monastero che è il braccio di santa Caterina. Io sono stato al Monte
Sinai, e ho veduto il corpo di santa Caterina tutto intero, e massimamente
con due braccia; s’ella ne ebbe tre, quest’è il terzo —; cominciando con esso
a segnare in croce, come si fa, tutta la predica.
Gl’intendenti di questo risono, parlando tra loro; molti uomini e
feminelle semplici si segnarono devotamente, come quelli che non intesono
frate Taddeo, né avvidonsi mai di quello che avea detto.
La fede è buona e salva ciascuno che l’ha; ma veramente solo il vizio
dell’avarizia fa di molti inganni nelle reliquie; che è a dire che non è cappella che
non mostri aver del latte della Vergine Maria! ché se fusse come dicono, nessu-
na sarebbe più preziosa reliquia, pensando che del suo corpo glorioso alcuna
cosa non rimase in terra; ed e’ si mostra tanto latte per lo mondo, dicendo esser
del suo, che se fosse stata una fonte ch’avesse più dì rampollato, quello si baste-
rebbe. Se se ne potesse far prova, come frate Taddeo fece del detto braccio, ciò
non avverrebbe. Ora la fede nostra ci fa salvi; e chi archimia sì fatte cose, ne
porta pena in questo o nell’altro mondo.
Frate Taddeo Dini, un frate domenicano, sta predicando a Bologna per la festa di Santa Caterina.
Durante la predica, gli viene chiesto di mostrare al pubblico un braccio che, secondo le suore del
convento, sarebbe appartenuto a Santa Caterina. Ma frate Taddeo, che era stato al Monte Sinai e aveva
visto il corpo incorrotto della santa con entrambe le braccia, si rifiuta inizialmente. Poi, per compiacere
la Badessa e non turbare la devozione del pubblico, accetta di mostrarlo, ma con ironia: afferma che, se
quello è davvero il braccio della santa, allora dev’essere il terzo, visto che gli altri due li ha ancora. E
con quel braccio finto fa il segno della croce per tutta la predica, suscitando la reazione confusa e
devota del pubblico, che non capisce l’ironia.
Non tutto il pubblico qui è in grado di capire, sopratutto le persone più sempliciotte, credono che quello
sia il braccio di santa Caterina. Qui ce un qualcosa che troviamo spesso nei testi di sacchetti, ovvero
l’intervento dell’autore sulla fede e su ciò che deve essere. Questo è un problema serio spesso
denunciato dagli uomini di fede come il Sacchetti, per lui avere fede è una cosa importate e salva
chiunque
- 72 -
Come in frate cipolla, ci sono sempre queste figure che ingannano i più sciocchi
portando anche molta gente alla chiesa.
Un Vescovo dell’ordine de’ Servi al luogo della chiesa loro di Firenze, dicendo le
più nuove cose del mondo, e le più stolte, tira a sé di molta gente.
La novella passata mi tira a dire quello che, fra l’altre nuove predicazioni
che facea, disse un dì un Vescovo dell’ordine de’ Servi nella loro chiesa in Firen-
ze in sul pergamo predicando. Questo Vescovo lavaceci, vogliendo ammaestra-
re nel vizio della gola, riprendea gli Fiorentini dicendo:
— Voi siete molto golosi; e’ non vi basta magnare le pastinache fritte,
ché voi le mettete ancora nell’agliata cotta; e quando mangiate li ravazzuoli,
non vi basta, quando hanno bollito nel pignatto, mangiarli con quel buglione,
ché voi gli traete del loro proprio brodo e friggeteli in un altro pignatto, e
poi gli minestrate col formaggio.
E molte altre cose simili che tutte venìano dalla sua profonda celloria.
E in questa medesima predica, che credo fosse quel dì della Assun-
zione, venendo a dire come Cristo n’andò in cielo, comincia a dire:
— E’ n’andò ratto più che cosa che si potesse dire. Come n’andò
ratto? andonne come uccello che volasse? più; andonne come freccia che
uscisse d’arco? più; o come strale che uscisse di balestro? più; come n’andò?
Come se mille paia di diavoli ne l’avessino portato.
Udendo questa così bella predica, mi ritrovai in quel dì col Priore
dell’ordine, e domandolo qual scrittura dicesse quello che quel Venerabile
Mellone aveva detto in pergamo; ed egli rispose ch’egli era de’ più valenti
uomini che avesse l’ordine, ma ch’elli credea che per infirmità ch’egli avea
aùto fusse alcun’ora impedito nella mente; e io risposi che quella infirmità
era continua e ch’ella durava troppo, però che in ogni predica che facea,
dicea cose simili a quelle o vie più nuove, per sì fatta forma che la gente
correa più al detto frate per avere diletto delle sue dolci parole, che non
andavono per divozione alla Nunziata per avere da lei grazia. Riconobbono
il loro errore, che ’l faceano predicare, e la stoltizia di colui che predicava; e
disposono lui della predica, e feciono predicare un altro. E pensa tu, lettore,
che frate costui potea essere; ché passando io scrittore poi ad alcun dì per
Mercato Vecchio, costui era sopra un paniere di fichi, e dicea alla forese:
— O donna, quante fiche date vui per un dinaro?
E comprandole le mangiava in piazza.
Le cose stratte fuori di forma, e nuove di scienza, e con sciocchezza
adornate nelle sue prediche, furono tante che lingua appena le potrebbe
contare, non che io scrivere. Tanto dico che, essendo costui così scorto, la
gente lasciava l’altre predicazioni, e correano alla sua; essendogli fatte alcu-
na volta di nuove cose, e fra l’altre gli vidi un dì conficcare la cappa su le
sponde del pergamo, e altre cose assai; e tanto se n’avvedea dell’altrui beffe
quanto farebbe una bestia.
E questi tali ci ammaestrano spesse volte, e noi così appariamo che
manco fede abbiamo l’un dì che l’altro.
Questo frate tenea oppinione che quando il nostro Signore andò in
cielo che n’andasse così veloce e ratto come avete udito. Uno mio amico
veggendo il dì dell’Ascensione all’ordine de’ frati del Carmine di Firenze,
che ne faceano festa, il nostro Signore su per una corda andare in su verso il
tetto, e andando molto adagio, dicendo uno:
— E’ va sì adagio che non giugnerà oggi al tetto.
E quel disse:
— Se non andò più ratto, egli è ancor tra via.
Un vescovo dell’ordine dei Servi, predicando nella chiesa dell’Annunziata a Firenze, si distingue per
le sue prediche bizzarre, stolte e sconclusionate. In una di queste, parlando contro il vizio della
gola, inveisce contro i Fiorentini descrivendo minuziosamente (e con tono ridicolo) come cucinano
pastinache e ravazzoli. Poi, parlando dell’Ascensione di Cristo, esclama che Gesù salì al cielo “come
se mille paia di diavoli lo portassero”, una frase assurda e blasfema. Il narratore riferisce che il
priore dell’ordine lo giustificava con una presunta infermità mentale, ma nota che questo tipo di
discorsi erano ricorrenti, tanto che il popolo accorreva non per fede, ma per divertirsi ascoltandolo.
Alla fine, il frate viene rimosso dalla predicazione, ma lo si ritrova in seguito a vendere fichi al Mercato
Vecchio.
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Boninsegna Angiolini, essendo in aringhiera bonissimo dicitore, su quella
ammutola come uomo balordo, e tirato pe’ panni, mostra agli uditori nuova
ragione di quello.
Anticamente nella città di Firenze si ragunava il consiglio in San Pie-
ro Scheraggio, e ivi si ponea o era di continuo la ringhiera; di che, essendo
nel detto luogo ragunato una volta il consiglio ed essendo fatta la proposta,
com’è d’usanza, Boninsegna Angiolini, savio e notabile cittadino, si levò, e
andò su la ringhiera, e cominciando il suo dire bene e pulitamente, com’era
uso, come fu a un passo dove conchiudere dovea quello ch’egli avea detto,
e quel subito, com’uomo aombrato, non dice più; ma sta su la ringhiera
buona pezza, e alcuna cosa non dicea. Maravigliandosi gli uditori, e
spezialmente gli signori Priori che erano di rincontro a lui, mandorono un
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