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PASOLINI-LE CENERI DI GRAMSCI
l pianto della scavatrice, pubblicata per la prima volta per la rivista il Contemporaneo nel 1957 e successivamente inserita tra i pometti che compongono Le ceneri di Gramsci, è sicuramente uno dei componimenti più rappresentativi del dissidio interiore del poeta. I versi, costituiti da terzine libere, sono legati tra loro da rime, assonanze e consonanze, mantenendo una forte coesione interna. I frequenti enjambement, tuttavia, dilatano i versi e conferiscono alla poesia un andamento narrativo e incalzante. La direzione scelta da Pasolini è quella di una poesia prosastica, semplice, ma fortemente connotata semanticamente.
Nei primi versi si afferma l'importanza del presente come valore al quale la scrittura deve ancorarsi, poiché vivere nel rimpianto di un amore "consumato" non fa altro che provocare angoscia e impedisce all'anima di evolversi. Il senso di smarrimento del poeta è dovuto alla visione dei
luoghi della Roma che un tempo amava e che hanno animato il suo slancio poetico, ma che ora non riesce più a riconoscere. Pasolini rammenta i primi tempi del suo esilio, dopo la fuga dal Friuli per l'accusa di atti osceni, rimpiangendo quei momenti di vita, che ora non posso più tornare. Così, sin dai primi versi, si stabilisce subito il sentimento di malinconia e nostalgia che sarà caratterizzante dell'intero componimento. Il componimento prosegue accompagnando Pasolini durante una sua passeggiata notturna nella periferia romana e, attraverso i suoi occhi, descrive il paesaggio squallido e desolato che lo circonda. Da subito il lettore è introdotto in un parallelo tra l'afflizione dell'io poetico, che vede spenta la propria ragione d'esistere, e il paesaggio urbano degrado. Ma è nella visione dei giovani del proletariato romano che l'animo del poeta trova sollievo. La loro gioia di un vivere istintuale, innocente,
Inconsapevole, addolcisce la cupezza dei pensieri del poeta. È così che Pasolini rammenta la sua vita in una borgata "tutta calce e polverone", lontana dalla città, come un microcosmo che rappresentava "la vita". Ormai è sorto il sole e nella "vampa abbandonata del sole mattutino", si ode un rumore vibrante proveniente da un cantiere. Qui alcuni anziani operai, ritratti nell'umiltà della loro condizione, stanno lavorando faticosamente. È a questo punto che entrano in scena i veri protagonisti del poemetto: la benna e la scavatrice. Questi strumenti tecnici diventano il simbolo della trasformazione di una Roma che si sta ricostruendo e di un'Italia che si sta modernizzando. La periferia romana viene così svegliata dal lamento travolgente della scavatrice, che emette un grido "umano", spezzando il silenzio innocente delle piazzette vuote. Insieme alla scavatrice sembra piangere.
L'animo del poeta, e conesso tutto il quartiere e l'intera città. È la fine di una civiltà preindustriale e l'inizio di un boom economico che non farà altro che portare maggiori disparità tra i ceti sociali. Ogni cambiamento, seppure per il meglio, comporta una perdita. La perdita in questione è l'innocenza incorrotta della periferia romana e del suo connubio con il mondo rurale. La luce del sole, che acceca e brucia, diventa simbolo del futuro. A questa visione pessimistica, però, si contrappone il coraggio di quegli intellettuali che, come Piero Gobetti, auspicano un miglioramento della società che riguardi soprattutto le classi emarginate. E la fede marxista degli operai, che muti innalzano "il loro rosso straccio di speranza".
*COMMENTI PROFESSORE*
Lezione (fotocopia): non c'è una forte presenza di termini scientifici, vi è un abbassamento del linguaggio.
LA SPIAGGIA-VITTORIO
SERENI
La poesia La spiaggia di Vittorio Sereni è il testo conclusivo di una raccolta di 52 componimenti, articolati in cinque sezioni, dal titolo Strumenti umani, pubblicata da Einaudi nel 1965.
Una voce al telefono comunicava, parlando saputella e con superficialità, che tutti gli amici erano partiti dal luogo di vacanza e che non sarebbero più tornati. Ma oggi su questo tratto di spiaggia, che non ho mai visitato, ci sono zone rischiarate dal sole. Segnali che non sono partiti? E mentre tutti volti, quelli (i presunti segnali) stanno zitti come se niente fosse. I morti non sono ciò che si perde ogni giorno, ma sono quelle sacche di non esistenza che come calce o cenere sono pronte a trasformarsi in movimento e luce. Il mare mi investe della sua forza e mi dice: non avere dubbi, gli assenti parleranno.
Metrica
La poesia si articola in 4 strofe di 15 versi liberi.
Analisi e significato della poesia
L'incipit dialogico presenta l'occasione della poesia,
ovvero la notizia che gli amici sono partiti dalluogo di vacanza e che non torneranno più. A parlare è un interlocutore di cui vengono criticate superficialità (blaterava) e presunzione (saputa), messe a fuoco dal suo tono di voce. L'allontanamento definitivo, però, svetta subito dal particolare all'universale, perché gli amici sembrano coincidere con i morti, assenti per antonomasia. Nella seconda strofa l'io lirico, a distanza di tempo, individua in un tratto di spiaggia per lui nuovo alcuni segnali di coloro che non ci sono più: macchie di luce chiamate con il sostantivo di banale quotidianità: "toppe". La situazione comunque, malgrado la concretezza degli elementi paesaggistici, ha un forte margine di ambiguità come suggeriscono i segni interpuntivi: puntini di sospensione e un punto di domanda. Che la spiaggia sia l'inesplorato, un'area intermedia ol'aldilà? L'avversativaL'incipitaria "ma" sottolinea un passaggio cruciale: quello dalla distanza siderale con i morti a un contatto mediato da segnali. Un passaggio cruciale per chi, come il poeta, è alla ricerca di un dialogo con i morti.
La terza strofa introduce la riflessione sulla morte. Secondo l'autore morire non significa solo consumare le proprie energie giorno dopo giorno, ma significa anche nascondere o non realizzare