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ZIBALDONE
Redatto a partire dal 1817 lo zibaldone nasce come una raccolta di materiale vario, non pensata per la pubblicazione: appunti,
meditazioni filosofiche, pagine di diario, riflessioni su diverse tematiche. Il testo rimane inedito fino al 1898-1900, quando viene
“Pensieri
pubblicato da Giosuè Carducci con il titolo di varia filosofia e di bella letteratura”; il titolo con cui è conosciuto oggi, ossia
Zibaldone di pensieri, compare nella seconda edizione del 1937-8. Zibaldone indica letteralmente un insieme eterogeneo di elementi
diversi, quindi un titolo generico che per lungo tempo sembrò indicare una semplice raccolta di appunti personali. Si tratta in realtà di
dell’opera
un progetto molto più innovativo poiché le pagine rispecchiano un lavoro quotidiano, non sistematico, che procede per
correzioni successive, ripensamenti e ridefinizioni costanti. La prosa dello zibaldone è quindi spontanea e provvisoria, che cerca di
all’esigenza l’autore
rispondere di rapidità e sintesi di una meditazione che è ansioso di fissare sulla pagina. Perciò per molto tempo lo
zibaldone è stato considerato solo un laboratorio di abbozzi utile per chiarire le opere maggiori del poeta. In realtà leopardi coltiva ad
l’idea
un certo punto di organizzare la raccolta in modo più sistematico, perciò nel 1827 egli comincia a stendere un indice, ordinando
l’opera
le riflessioni secondo categorie linguistiche, filosofiche e morali. Dunque può essere in ordine cronologico o in direzione
tematica.
I CANTI “canzoni”,
“Canti”
Titolo ed edizioni: Il titolo non significa ma indica semplicemente che i testi raccolti sono componimenti lirici, a
prescindere dalle loro specifiche caratteristiche metriche e stilistiche. Il libro fu stampato due volte durante la vita dell’autore: la prima
volta a Firenze nel 1831, la seconda a Napoli nel 1835. La prima edizione conteneva le canzoni, gli idilli, e i canti pisano-recanatesi;
la seconda aggiungeva a questi i canti fiorentini e napoletani. Una terza edizione, arricchita di due poesie scritte nel 1836 (Il tramonto
della luna e La ginestra), fu pubblicata a cura di Antonio Ranieri amico di Leopardi nel 1845 dopo la morte dell’autore.
1. Le canzoni: hanno come forma metrica la canzone, fin dal Duecento considerata quella più alta della poesia lirica, che Leopardi,
però, elabora in modo originale. La scrittura delle canzoni impiega parole rare, metafore ardite e una sintassi complessa che ne
rende difficile l’immediata comprensione.
2. Gli idilli (Infinito, il passero solitario): nella tradizione greca erano un breve componimento che descriveva uno scenario naturale,
campestre. Leopardi lo trasforma spostando l’attenzione dal paesaggio naturale, che pure è presente, all’interiorità. L’indagine
interiore è condotta attraverso uno stile «vago» e «indefinito», caratterizzato da un lessico meno ricercato e più familiare (ma
‘letterario’)
sempre rispetto a quello delle canzoni, da una sintassi più elementare.
• dell’io, dell’infinito.
Temi: la centralità il valore conoscitivo della poesia e il tema del ricordo e ’
3. Canti pisano-recanatesi (A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del
villaggio): hanno come forma metrica la canzone libera, nella quale le strofe non hanno un numero di versi predefinito e non
esistono vincoli di rima, sembra fondere la tradizionale forma chiusa delle canzoni con la libertà degli idilli. Non a caso fino a non
“grandi “piccoli
idilli” idilli”.
molti anni fa questi canti venivano chiamati in opposizione-continuità con i
• La canzone libera, detta poi anche leopardiana, è una forma svincolata dagli schemi fissi della canzone petrarchesca. Presenta tre
caratteristiche fondamentali:
- le strofe sono di differente estensione e struttura;
- L’endecasillabo
endecasillabi e settenari sono liberamente alternati; e il settenario, gli unici metri a cui Leopardi ricorra, sono
dell’enjambement.
quelli canonici della tradizione, ma accolgono soluzioni innovative, soprattutto grazie al largo uso
- le rime sono presenti, ma non sistematiche e non riproducono uno schema fisso di strofa in strofa.
• dell’io, dell’esperienza.
Temi: indifferenza della natura, sofferenza valore universale
4. Canti fiorentini (A se stesso): La composizione di questi canti è connessa a una sua personale storia d’amore: quello non
corrisposto, e perciò causa di delusione e sofferenza, per una nobildonna fiorentina. Leopardi, tuttavia, non rinuncia alla
dimensione conoscitiva della poesia: queste poesie, infatti, sono sì una celebrazione dell’amore, un’indagine sulla sua natura, ma
tutto ciò sfocia in una catastrofe conclusiva, in una delusione che significherà per il poeta il definitivo abbandono di ogni
investimento affettivo nei confronti della vita e del mondo.
5. Canti napoletani (Ginestra): caratteristica principale è l’impostazione impersonale, universale e filosofica del discorso poetico,
un’impostazione che fa di ciascuno di essi una meditazione su un tema-chiave della filosofia materialistica leopardiana: il rapporto
tra morte e vita nell’esistenza umana.
• all’inizio
Nei canti notiamo della composizione la descrizione di una natura che a primo impatto sembra dolce e bellissima, ma che
l’immagine dell’uomo
poi progressivamente mostra opposta: quindi di una natura pur sempre bellissima ma non dolce nei confronti
all’essere
poiché essa è completamente indifferente umano.
L’INFINITO l’orizzonte. Quest’ostacolo
Lo spunto iniziale è dato dalla percezione di un limite, una siepe che impedisce allo sguardo di vedere attiva
l’immaginazione
tuttavia e il soggetto immagina tutto ciò che non vede e quindi figura cose che non potrebbe con la ragione, poiché
l’immaginario.
se la sua vista si estendesse dappertutto, il reale escluderebbe l’esistenza
1. Lo spazio reale: tutto parte da una siepe che impedisce lo sguardo, è il limite che caratterizza la percezione e umana.
L’infinito l’immaginazione
2. spaziale: tale limite stimola e la proietta a considerare tutto ciò che non vede, tutto ciò che è illimitato:
l’infinito. spazi”
Esso si presenta ora soprattutto a livello spaziale, legato ad elementi visivi ed acustici (“indeterminati
“profondissima “ “sovrumani silenzi”). “nel fingo”,
quiete Il poeta afferma pensiero mi un latinismo che sta ad indicare che con
l’immaginazione l’infinito.
crea ciò che non vede, immagina ciò che razionalmente è irraggiungibile, Spingendosi al di la dei
dell’esperienza l’uomo dell’ignoto
margini prova la vertigine ed ha paura.
L’infinito dall’infinità “morte stagioni”).
3. temporale: Ben presto la riflessione si sposta spaziale a quella temporale, (“l’eterno” le
Alternarsi di silenzio e fruscii porta il poeta a riflettere sul contrasto fra eternità e mortalità umana e sul fluire incessante del tempo.
L’infinito temporale si fa così infinito esistenziale. dell’eterno, l’uomo
4. Lo smarrimento e il piacere: giunto al vertice di questo sentimento si smarrisce, naufraga, si perde in una
L’uomo
vastità che lo trascende. ha così la fugace sensazione di unione con l’assoluto e prova di conseguenza piacere (“il
m’è mar”). (L’immagine
naufragar dolce in questo del naufragio tradizionalmente si lega a situazioni negative, sofferte: nel De
rerum natura di Lucrezio, per esempio, la serenità del sapiente è paragonata a quella di chi osserva un naufragio standosene sicuro
a riva, felice di non essere coinvolto nella sciagura. Nell'Infinito avviene l'esatto contrario: è proprio la deriva del naufrago a
rappresentare il piacere. Un ribaltamento di prospettiva significativo, in un poeta e pensatore che non crede che la ragione possa
portare ad alcuna felicità.)
• Lessico e stile: lo stile è limpido e fluido, grazie ai vari enjambement che producono un effetto di continuità; il lessico è semplice e
spazi”, “sovrumani silenzi”, “profondissima quiete”,
ricco di parole indefinite che leopardi considera poetiche (“indeterminati
“infinito silenzio”) “fingo”, dell’immaginazione,
e il termine verbo della creazione artistica. La ripetizione di due voci al gerundio
mirando”)
(“sedendo e con la loro musicalità danno una percezione temporale indefinita ancora maggiore. Caratteristico è anche
l'uso di aggettivi dimostrativi che sta inizialmente a simboleggiare il contrasto tra mondo fisico e infinito, tra il reale e il non reale.
“questa”, “quella”.
La siepe è inizialmente diventa poi
IL PASSERO SOLITARIO
Il passero solitario è una canzone libera di tre stanze con versi variamente rimati, talvolta anche a metà verso, strutturata in forma di
dialogo con un alter ego nel quale il poeta si riconosce, il passero solitario, quel "solitario" che compare nel titolo della poesia non è
un semplice attributo di passero, ma indica una vera e propria specie; il passero solitario, inoltre, non cinguetta, come il passero
comune, ma canta.
1. Abbiamo inizialmente la descrizione di una natura dolce e bellissima che serve a introdurre una contrapposizione sulla quale si
regge tutto il discorso: da una parte il poeta e il passero solitario («Oimé, quanto somiglia / al tuo costume il mio!»), dall’altra
il mondo circostante, che vive gioiosamente un momento di festa.
2. A questo punto è presentata l’analogia fra i due, fondata sulla scelta della solitudine: come il passero canta «pensoso» e «in
disparte», a differenza degli altri uccelli che volano e cantano insieme; allo stesso modo il poeta canta, ossia scrive poesie, non
partecipando ai divertimenti e agli amori della gioventù a differenza dei suoi coetanei. Anzi sembra addirittura fuggire da essi (“da
lontano”).
loro quasi fuggo
3. Ma l’analogia serve anche a fondare una differenza fra il poeta e il passero: quella che per il passero è una scelta necessaria e
indolore, perché indotta dalla natura, per il poeta è una sorta di costrizione dolorosa. Il passero non rimpiangerà questo modo di
aver vissuto, essendo il comportamento tipico della sua natura; ma il poeta li avrà, perché una volta venuta meno «la beata
gioventù», si pentirà di non averla saputa c