Anteprima
Vedrai una selezione di 1 pagina su 5
Giacomo Leopardi Pag. 1
1 su 5
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

La concezione pessimistica di Leopardi

In questi stessi anni Leopardi venne formulando una concezione dolorosamente pessimistica del reale, che si farà via via sempre più rigorosa e coerente e che in sede di scrittura si affidò in prevalenza allo Zibaldone (un'ampissima raccolta di ragionamenti e note filosofiche, psicologiche, letterarie, scritti fra il 1817 e il 1832, e soprattutto fra il 1820 e il 1826): in sostanza Leopardi contrappone l'innocente e sereno stato di natura alla civiltà, condizione tormentosa che ha reso l'uomo insieme raziocinante e infelice. Sulpiano della poetica questo pensiero si traduce in un singolare, antiaccademico recupero del classicismo, mirante ad attingere una remota antichità non ancora contaminata dal progresso verso il 1820, nella constatazione dell'impossibilità di nei tempi moderni una poesia basata sulla creazione di immagini ("poesia immaginativa"), restando possibile solo una "poesia sentimentale", volta...

all’analisi degli stati d’animo. Roussoianesimo ealfierismo concorrono a nutrire questa concezione, ben esemplificata dai due articoli dipolemica antiromantica (ma con notevoli inflessioni romantiche) che egli scrisse neglianni 1816-18 e che rimasero inediti: Lettera ai Sigg. compilatori della «Biblioteca italiana» eDiscorso di un italiano intorno alla poesia romantica. A tali riflessioni di natura teoricacorrispondono le realizzazioni poetiche di quegli anni. Tra il 1819 e il 1821, infatti, Leopardicompose i primi idilli (L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria),un gruppo di liriche nelle quali gli oggetti e i paesaggi assumono una amplissimarisonanza sentimentale, dove dominano i toni della evocazione e della memoria e doveil dolore per il cadere di dolci speranze e per l'inesorabile trascorrere del tempo si sublimanella composta contemplazione di un'immensa natura onnicomprensiva. Parallelamente,tra

Il 1820 e il 1822, egli compose anche varie canzoni (Ad Angelo Mai, Nelle nozze dellasorella Paolina, A un vincitore nel pallone, Bruto minore, Alla primavera o delle favoleantiche, Ultimo canto di Saffo), la cui nota saliente è costituita da un certo eroicoagonismo, volto contro la tirannia del destino e le disumane leggi universali.

Nel 1822 Leopardi ebbe dalla famiglia il permesso di recarsi a Roma, dove conobbe tra l'altro il grande filologo B.G. Niebuhr; ma la città lo deluse e gli rivelò ancora più chiaramente la sua inettitudine ai rapporti mondani. Tornato a Recanati, vi trascorse due anni di tenace lavoro scrivendo un gran numero di pagine dello Zibaldone, l'Inno ai patriarchi e la canzone Alla sua donna in cui la figura femminile oggetto del canto appare come sogno evanescente, irraggiungibile ideale. A periodo risale anche la maggior parte delle Operette morali, dialoghi e prose filosofiche in cui Leopardi attribuisce ancora in parte.

l'infelicità umana al distacco dalla natura, ma, adottando posizioni sensistiche, la considera soprattutto conseguenza della costituzionale fugacità del piacere. Il discorso è qui lento, distaccato, stilizzatissimo, e affronta con tono ironico-fantastico i miti del suo pensiero: La Natura e la Morte, il Piacere e il Dolore, la Felicità e la Noia ecc. Il Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, il Dialogo di un folletto e di uno gnomo, il Dialogo della Natura e di un islandese, il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez sono forse, tra le Operette, le prove più alte della prosa leopardiana, bizzarra spesso, come è nella tradizione dei dialoghi morali, ma anche cadenzata con lirica intensità. Su un registro diverso, fondamentalmente patetico, altre grandi prove fornisce l'Epistolario, dal quale è possibile estrarre "romanzo di un'anima" dicui Leopardi lasciò progetti e appunti seppure minimi. Nel 1825, accettando la proposta dell'editore Stella di curare un'edizione di classici, partì per Milano. dove conobbe V. Monti e l'abate Cesari; quindi si trasferì a Bologna, dove fece conoscenza con il conte Carlo Pepoli e si innamorò, non corrisposto, della contessa Teresa Carniani Malvezzi. In tale periodo preparò per l'editore Stella un'edizione commentata del Canzoniere di Petrarca, scrisse l'epistola Al conte Carlo Pepoli e approfondì la propria concezione materialistica del mondo, giungendo a rovesciare alcune sue iniziali premesse e a identificare nella Natura (materia in perenne, inesorabile trasformazione che garantisce il perpetuarsi della specie soltanto attraverso il sacrificio dei singoli individui) la causa prima dell'infelicità dell'uomo. Dopo un terzo breve soggiorno a Recanati si trasferì nel 1827 a Firenze, dovefece conoscenza con Vieusseux. Niccolini, Colletta, Tommaseo, Manzoni: e quindi a Pisa: ivi, interrompendo un silenzio poetico che, tranne la parentesi di Alla sua donna, durava dal 1821, scrisse i canti Il Risorgimento e A Silvia (1828). Tornato poi a Recanati, Vi trascorse due anni (1828-30), durante i quali compose i cosiddetti grandi idilli: Le ricordanze, Il passero solitario, La quiete dopo la tempesta. Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia. In queste liriche agli accenti prometeici si sono sostituiti il senso di un universale dolore e una pietà che tocca tutti i viventi (sia eroici che umili), tutti egualmente illusi dalla Natura matrigna nei loro giovanili sogni di felicità e da essa poi tutti egualmente ingannati e travolti. Nel 1830, grazie all'aiuto di P. Colletta e di altri amici toscani, Leopardi poté tornare a Firenze. Qui egli nutri l'ultimo suo intenso e sfortunato amore (per Fanny Targioni Tozzetti) che gli

Ispirò cinque poesie: "Il pensiero dominante", "Amore e morte", "Consalvo", "A se stesso", "Aspasia"; in esse l'amore è considerato come la sola esperienza (assieme a quella della morte) capace di affrancare l'uomo dal tedio. Fece anche amicizia con un esule napoletano, Antonio Ranieri, e curò la prima edizione dei propri Canti (1831; la seconda edizione sarà del 1835). Nel 1833 si trasferì con Ranieri a Napoli, dove visse gli ultimi dolorosi anni e compose il "Dialogo di Tristano e di un amico", il poemetto eroicomico in ottave "Paralipomeni della Batracomiomachia" e le ultime liriche: la citata "Aspasia", "Sopra un bassorilievo antico sepolcrale", "Sopra il ritratto di una bella donna", "Palinodia al marchese Gino Capponi", "I nuovi credenti", "La ginestra", "Il tramonto della luna". L'estrema produzione poetica di Leopardi alterna al motivo del rimpianto per le speranze troppo presto distrutte quello della polemica ideologica contro il facile ottimismo dei liberali moderati,

legati a una meschina idea di progresso: tornando a certo illuminismo titanico, egli sottolinea infatti la necessità che tutti gli uomini ripudino ogni superficiale mito consolatorio e si uniscano invece fraternamente e coraggiosamente per meglio fronteggiare il cieco dispotismo della Natura. Nel giugno 1837 Leopardi moriva in seguito all'aggravarsi dei mali (idropisia, asma) di cui era da tempo sofferente.

LA POETICA E LO STILE

L'originalità della poetica del Leopardi maggiore nasce dalla coloritura tutta romantica che egli conferisce a una materialistica (illuministica, settecentesca) certezza: il moto inesausto delle cose, che cancella infanzia e giovinezza, affetti, bellezza, gloria, virtù, poesia e ogni più alto valore. Alla scoperta di questo acerbo vero rivelatogli dalla ragione, l'uomo chiude per viltà gli occhi e si adatta per convenienza alla tranquilla mediocrità del quotidiano, oppure (e questo è quanto fa l'uomo)

autentico e «di genio») guarda ben fisso il desolato nulla che gli si apre dinanzi e vive fino in fondo (senza religiose consolazioni) la propria infelicità. Questo romantico e antiprosaico (ma anche antimetafisico) «stare nella disperazione» non è però condizione immobile e monocorde: esso comporta un complesso processo psicologico, poiché da una parte significa resuscitare e auscultare le ragioni del cuore, la letizia dell'adolescenza, l'amore, le fantasie più vaghe; dall'altra significa riconoscere la loro caducità e infondatezza, le quali dilatano il senso e il fascino di quelle chimere, alimentando una sorta di moto pendolare, in cui ciascuno dei due momenti non elimina l'altro, anzi continuamente si trasfonde in esso. In coerenza con questa intima disposizione, Leopardi si allontanò dagli esempi arcadici e montiani che avevano concorso alla sua prima formazione letteraria, abbandonò le

Poetiche di Gravina e di Cesarotti e (accostandosi alle teorizzazioni di Schiller, degli Schlegel, della Staël) intese elaborare non una poesia che fosse di mera rappresentazione, ossia puramente e innocentemente descrittiva, bensì una poesia patetica, che muovesse dalla consapevolezza filosofica della squallida realtà della vita e si alimentasse tanto di sentimenti quanto di pensieri. Accolse così del romanticismo la proposta lirica e mirò non a "imitare" ma a "cantare", a esprimere non belle forme mai tristi e cari moti del cuore: in tale contesto la componente concettuale non si smarrisce, ma fa da controcanto al gentile immaginare, al configurarsi dei ricordi e all'accendersi degli affetti che si dispiega spesso nei vocativi. E ciò perché alla mente del poeta appaiono sempre insieme (come reciprocamente necessari in sede espressiva) il bello e il vero, i miti dell'esistenza e il loro inevitabile negarsi. Tuttavia,

benché esistano due diverse "tensioni" e l'accento cada ora più sull'una ora più sull'altra, è immotivato considerare come due lontani poli il momento della meditazione e quello della illusione o della rimembranza: essi sono intatti intrecciati sintatticamente, oppure mediati dal poeta attraverso la sua voce liberamente commossa, ora distesa, ora spezzata, ora inarcantesi in interrogativi senza risposta, ma sempre lontana sia da intemperanze fantastiche o emotive, sia da troppo analitiche ed esatte definizioni razionali. Significativo appare allora anche il progressivo distacco di Leopardi dalle forme metriche chiuse: egli ricorre all'endecasillabo sciolto o usa lo schema della canzone petrarchesca con grande libertà, fino a trasformarlo in un recitativo di endecasillabi e settenari alternantisi, ora rimati ora no, e riuniti in strofe di diversa lunghezza, anche per il continuo mutare del rapporto fra unità sintattiche e unità metriche.

Ne deriva un dettato originalissimo, fondato non sull'ignoranza o sull'oblio della tradizione classica, ma sulla modificazione (e relativa violazione) di essa «dall'interno»

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sofia_Gonni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Scienze letterarie Prof.