Canti della terza fase leopardiana
I testi degli ultimi anni di vita di Leopardi contengono delle novità rispetto ai testi precedenti. Questi testi fanno prefigurare degli sviluppi ulteriori del pensiero leopardiano che noi però vediamo solamente in una fase embrionale, perché la vita del poeta si interrompe nel 1837.
Gli ultimi testi presentano delle novità e quindi, pur essendo presenti delle forti continuità nel pensiero di Leopardi, La ginestra si differenzia dai testi precedenti per molti aspetti. Negli ultimi tre anni della sua vita, Leopardi, mentre si trova a Napoli, scrive le sue ultime composizioni, come il testo intitolato Paralipomeni della Batracomiomachia, ovvero un testo di commento a un poema pseudo-omerico che racconta una battaglia tra rane e topi. Si tratta di un testo di carattere satirico e il tono satirico è una delle novità stilistiche che caratterizza questi ultimi testi di Leopardi, tra cui La ginestra. L'ironia e la satira sono elementi che caratterizzano il testo La ginestra, che ha alcuni passaggi condotti con tono fortemente satirico. In ambito poetico questo è un elemento nuovo.
In questi canti Leopardi affronta alcune questioni di attualità. Leopardi sembra voler prendere posizione nel dibattito vivo e attuale riguardo ad alcune ideologie e tendenze che si stavano diffondendo ai suoi tempi.
La ginestra o il fiore del deserto
Si tratta di uno dei testi più significativi e lunghi del poeta. Questo componimento è composto da 317 versi e, dal punto di vista metrico, è una canzone libera. Viene composto mentre il poeta si trova a Napoli nella primavera del 1836 ed è uno degli ultimi testi che compone prima di morire. Quindi può essere considerato un sorta di testamento ideale di Leopardi.
Questo testo porta con sé dei segnali evidenti del luogo in cui è stata composta. Infatti si apre con un'articolata descrizione del paesaggio vesuviano. Il titolo stesso del testo fa riferimento a un fiore che cresce sulle aride pendici del Vesuvio. Il testo si apre con l'immagine della ginestra che cresce sulle pendici del Vesuvio. La ginestra è anche chiamata fiore del deserto.
Il testo si apre con una citazione in greco posta in epigrafe e si tratta di una citazione presa dal Vangelo di Giovanni. Questa citazione ha in Leopardi un significato diverso rispetto a quello che ha nel contesto religioso. Infatti Leopardi non vuole affermare una prospettiva religiosa, ma c'è un rovesciamento ironico ed antifrastico di queste due immagini, ovvero luce e tenebre.
Per Leopardi la luce e le tenebre hanno un significato diverso: la luce non è quella dell'illuminazione divina, ma è la consapevolezza della condizione effettiva dell'uomo ottenuta attraverso la ragione. Nella prospettiva illuministica, la luce non rappresenta la grazia di Dio o la fede, ma rappresenta la conoscenza ottenuta attraverso la ragione (in questi anni siamo in un contesto illuminista, in cui si parla di "luce della ragione").
Prima strofa
È una strofa molto articolata, con uno stile aulico e movimentato. Questa strofa è suddivisibile in due parti:
- Prima parte: si apre con la descrizione del paesaggio vesuviano. Leopardi crea un'opposizione tra le aride pendici del Vesuvio e la ginestra che riesce a crescere anche nei luoghi così isolati e sparge il suo profumo intorno. La ginestra è un fiore gentile. Anche la ginestra, come il Vesuvio, assume un significato allegorico, ovvero fa riferimento da un lato alla poesia, che è l'unica vera consolazione alla condizione di infelicità in cui l'uomo versa e dall'altro lato la ginestra è allegoria della consapevolezza del vero, del coraggio di coloro che, come Leopardi, guardano in faccia alla realtà e svelano la vera condizione dell'uomo;
- Seconda parte: dal verso 37 il tono diventa polemico e lo stile è ironico e sarcastico. Questa parte è occupata da una dura invettiva che Leopardi fa contro la natura e contro coloro che si illudono che la natura non sia un'entità maligna, ovvero coloro che sono soliti esaltare la condizione umana, cioè che considerano l'uomo come un essere potente e amato dalla natura. Leopardi invita questi uomini a recarsi dove c'è il Vesuvio per rendersi conto della forza distruttrice della natura. Non a caso nei versi precedenti, Leopardi ricorda gli effetti distruttivi del Vesuvio, ma il paesaggio serve a far comprendere che la natura è maligna. Infatti, l'eruzione del Vesuvio ha distrutto numerose città.
Il Vesuvio è allegoria della forza distruttrice della natura. Il Vesuvio è la prova che la natura non si cura della condizione dell'uomo. La natura al verso 44 è definita dura nutrice. Gli ultimi tre versi, a differenza degli altri che sono molto articolati, sono molto brevi e incisivi. C'è una conclusione ironica in cui Leopardi si rivolge a coloro che ritengono che l'uomo sia un essere amato dalla natura. Il poeta afferma che è nelle pianure che circondano il Vesuvio che sono rappresentate le sorti splendide e destinate al progresso dell'uomo. Questa frase è ironica, perché Leopardi vuole intendere l'esatto opposto.
Leopardi si scaglia contro l'ideologia del progresso. La fiducia nella condizione umana e nella storia, intesa come progresso, è uno dei bersagli contro cui il poeta si scaglia e polemizza. L'idea di natura non è cambiata rispetto alle Operette morali. Infatti, la natura continua ad essere vista in maniera pessimistica e come un'entità maligna. In tutto il componimento Leopardi si scaglia contro le ideologie del presente, ovvero quelle dello spiritualismo, del romanticismo e del progressismo perché le ritiene dei falsi miti.
Seconda strofa
Leopardi continua l'invettiva iniziata nella strofa precedente. Leopardi si rivolge contro il tempo presente, che lui definisce "secolo superbo e sciocco". Attribuisce al secolo presente una serie di colpe:
- Non accetta la verità relativa alla condizione di infelicità dell'uomo causata dalla natura;
- Questo secolo rifiuta le idee dell'illuminismo e la ragione che ha reso palese la verità della condizione dell'uomo;
- Accusa il suo secolo di aver abbandonato il razionalismo e l'empirismo, correnti che hanno permesso di rivelare il vero. Accusa il suo secolo di avere interrotto quella tradizione del pensiero razionalista che aveva permesso di risorgere dalla condizione medievale;
- Nel secolo attuale non c'è coraggio di guardare il vero e l'uomo si aggrappa agli inganni della religione.
Leopardi, in questa fase, fa riferimento a delle ideologie ben precise e si scaglia contro le tendenze dell'età moderna. Leopardi esplicita il disprezzo verso queste tendenze e dice che chi va contro il pensiero dominante spesso viene escluso. Il poeta assume un atteggiamento eroico e agonistico nei confronti delle ideologie dominanti del suo tempo.
Il poeta ha un atteggiamento differente rispetto a quello dell'età attuale in cui vive, un'età che, per il poeta, non ha il coraggio di guardare alla verità delle cose, alla crudeltà della natura e alla condizione dolorosa in cui si trova l'uomo. Leopardi contrappone la sua figura agli atteggiamenti vili e spregevoli che caratterizzano il suo secolo. Il poeta rappresenta una figura eroica e solitaria, poiché ha il coraggio di guardare in faccia al destino degli uomini e riconosce l'insignificante e sofferente condizione che la natura ha assegnato all'umanità.
Terza strofa
È una strofa incentrata sull'allegoria dell'uomo che, essendo malato, può assumere due atteggiamenti contrapposti, ovvero l'atteggiamento di stoltezza o l'atteggiamento di nobiltà. Leopardi considera stolti coloro che, benché destinati a morire e cresciuti in mezzo ai dolori, dichiarano di essere stati creati per provare piacere. Invece considera nobili coloro che hanno il coraggio di guardare in faccia il destino comune degli uomini riconoscendo la sorte dolorosa, insignificante e la fragile condizione assegnata agli uomini.
L'immagine dell'uomo malato e povero rappresenta la condizione umana. L'uomo può assumere un duplice atteggiamento:
- Avere un'anima generosa e alta ed essere quindi nobile;
- Comportarsi da uomo stolto e fingere una condizione non reale.
Il punto di svolta si ha nei versi successivi, nella parte finale della terza strofa. Per Leopardi il vero progresso è quello autentico, di tipo civile e morale. Il vero progresso si fonda sul pessimismo e sulla consapevolezza della tragica condizione umana. La natura è la responsabile dell'infelicità dell'uomo, il quale deve coalizzarsi con gli altri uomini contro la natura nemica. La natura viene definita, attraverso una perifrasi, “madre degli uomini” perché è colei che ha dato vita all'umanità, ma, essendo causa di tutte le sofferenze, è da considerarsi "matrigna". Dunque considera la natura maligna e nemica degli uomini.
Leopardi ritiene necessario che l'uomo prenda coscienza della sua condizione di infelicità e miseria. Egli propone un modello sociale collettivo nel quale gli uomini siano consapevoli della loro condizione di infelicità per creare una società più civile e fondata sul vero. C'è una svolta nel pensiero leopardiano: nelle precedenti opere egli polemizza contro l'ottimismo progressista dei suoi tempi e si limita a posizioni critiche e negative. Qui invece propone un'alternativa alle idee che combatte. Nella Ginestra il poeta esclude la felicità, ma la grande svolta consiste nel fatto che egli afferma la possibilità di un progresso che assicuri una società giusta. In questa fase la riflessione sui legami sociali è centrale.
Quarta strofa
Nella quarta strofa c'è un forte stacco rispetto alla strofa precedente. Viene ripresa l'immagine del paesaggio vesuviano. Leopardi abbandona il sarcasmo e l'ironia che avevano caratterizzato alcuni momenti delle prime due strofe ed il tono si fa più lirico. All'inizio c'è il poeta che siede sulle pendici del Vesuvio e osserva la lava indurita che ricopre le pendici del Vesuvio e dice che questa lava sembra ondeggiare. Quindi paragona, attraverso un'analogia, la lava al mare.
Questa strofa è formata da tre lunghi periodi sintatticamente complicati:
- Il primo periodo termina al verso 166 e qui compare...
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