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Se saliamo con il risanamento termico, quindi ci spostiamo dalla termizzazione alla pastorizzazione, ecco che la pastorizzazione avviene a
71,7°C per 15 secondi o coppie equivalenti. 71,7°C sono dei gradi che superano la T° di denaturazione della fosfatasi alcalina, che è l’enzima
più termolabile; quindi, se ho riscaldato il prodotto a questa T° vuol dire che ho inattivato questo enzima; mentre il secondo enzima
lattoperossidasi diventa interessante per identificare le tipologie di latte pastorizzato; infatti, a seconda del tipo di pastorizzazione che mettiamo
in atto possiamo avere o non avere la lattoperossidasi ancora attiva. Quando abbiamo parlato di pastorizzazione abbiamo definito varie
tipologie di latte pastorizzato, un latte pastorizzato propriamente detto e un latte pastorizzato fresco; il pastorizzato fresco è quello che viene
sottoposto a una pastorizzazione entro 48h dalla mungitura ed è quello che quindi ha una carica microbica più contenuta, di conseguenza consente una pastorizzazione più blanda. Allora, la
lattoperossidasi risulterà essere inattivata in un latte pastorizzato propriamente detto, mentre risulterà essere ancora attiva in un latte pastorizzato fresco, perché è quello che, se è effettivamente, fresco,
è stato risanato a una coppia tempo-T° più blanda. Quindi, più spinte sono le condizioni di pastorizzazione e allora inattiveranno anche la lattoperossidasi oltre alla fosfatasi alcalina; più blande sono e
più invece lasceranno attiva la lattoperossidasi rispetto alla fosfatasi.
Poi abbiamo le proteine, in particolare abbiamo le sieroproteine, che sono termolabili; quindi, a seconda della T° alla quale il latte viene risanato avremo una concertazione di sieroproteine che varia
significativamente. A seguire abbiamo il lattulosio, la furosina, la frazione volatile del latte e la proteoso peptoni che, invece, sono tutte specie chimiche che si vanno a formare quanto più è spinto il
risanamento termico; quindi, tipicamente quando passiamo alla tipologia di latte UHT e oltre. Quindi, in generale, questi sono i 7 indicatori termici che sono presi in considerazione, poi, ciascun
indicatore termico viene abbinato alla specifica tipologia merceologica che deve essere preparata.
1. FOSFATASI ALCALINA: è il primo enzima in assoluto, denaturato alla T° di 57-68°C, quindi diventa l’indicatore termico di riferimento per tutta la tipologia di latti termizzati, in quanto è
l’unica tipologia merceologica di latte che mi dà ancora una fosfatasi alcalina attiva. Tutti gli altri risanamenti, a partire dalla pastorizzazione in su, mi devono dare una fosfatasi alcalina
negativa/inertizzata, altrimenti il prodotto non è conforme. Come si determina la fosfatasi alcalina? Si sfrutta l’attività dell’enzima stesso: è una fosfatasi, questo significa che taglia gruppi
fosfato. Quindi sfruttiamo questa particolarità utilizzando come substrato un reattivo, ossia il 4-nitro-fenilfosfato, che è quindi il reattivo di riferimento per la determinazione dell’attività della
fosfatasi alcalina. Questo reattivo ha un gruppo fosfato e, in presenza dell’enzima fosfatasi alcalina, la stessa fosfatasi alcalina determinerà quindi il taglio del gruppo fosfato, con la conseguente
liberazione del 4-nitrofenolo. Il 4-nitrofenolo ha la caratteristica di essere un composto intensamente colorato di giallo, a differenza invece del suo precursore 4-nitrofenilfosfato che è
incolore. Quindi, se prendiamo il nostro latte e ci mettiamo dentro il reattivo di riferimento 4-nitrofenilfosfato, la presenza di fosfatasi alcalina determina il taglio del gruppo fosfato, con la
liberazione del 4-nitrofenolo, che è colorato di giallo; l’intensità di colorazione di giallo che si sviluppa, in relazione alla quantità di 4-nitrofenolo che si forma dal reattivo di partenza, quindi, la
si può mettere in relazione all’attività dell’enzima. Quindi, la colorazione gialla che si sviluppa ha un’intensità misurata a 405 nm ed è direttamente proporzionale alla concentrazione di fosfatasi
alcalina presente nel campione. Viceversa, un latte nel quale la fosfatasi alcalina è stata inertizzata/denaturata in seguito a riscaldamento, ecco che se in questo latte ci mettiamo il 4-
nitrofenilfosfato l’enzima non sarà più attivo, in quanto denaturato; quindi, non ci sarà più la liberazione di 4-nitrofenolo intensamente colorato di giallo e quindi il latte resterà del suo colore. In
questo modo evidenziamo la presenza o meno della fosfatasi alcalina e quindi se l’enzima è ancora attivo o meno e quindi se il latte torna con la categoria merceologica.
Riassumendo: Determinazione della fosfatasi alcalina La Fosfatasi Alcalina (ALP) è un enzima normalmente presente nel latte crudo. È inattivato a condizioni di trattamento termico
leggermente più drastiche rispetto a quelle richieste per la distruzione dei batteri patogeni. La determinazione si basa sulla capacità di ALP di idrolizzare rapidamente il 4-nitrofenilfosfato a 4-
nitrofenolo. Si sviluppa una colorazione gialla la cui intensità, misurata a 405 nm, è direttamente proporzionale alla concentrazione di ALP nel campione
2. LATTOPEROSSIDASI: viene inertizzata a una T° di 70°C e mi permette di distinguere le varie tipologie di prodotto molto di più che non la fosfatasi alcalina. È l’enzima che nello specifico
determina la liberazione di ossigeno O a partire da acqua ossigenata H O . L’ossigeno che si forma è in grado di andare a ossidare l’1,4-fenilendiammina, che è un derivato aromatico che in
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presenza di ossigeno si ossida, imerizzando, dando luogo a un composto che è intensamente colorato di viola, ossia l’indofenolo. Se noi abbiamo un campione di latte al cui interno mettiamo
acqua ossigenata e 1,4-fenilendiammina, se nel campione di latte la lattoperossidasi è ancora attiva, allora la lattoperossidasi degraderà l’acqua ossigenata, determinando la liberazione di O , il
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quale ossiderà la 1,4-fenilendiammina, determinando lo sviluppo di una intensa colorazione di viola, per formazione dell’indofenolo. Se l’enzima è ancora attivo, quindi, si svilupperà entro 30
secondi la colorazione viola.
Riassumendo: Determinazione dell’attività perossidasica La lattoperossidasi è un enzima presente in grandi quantità nel latte crudo. Maggiore stabilità al calore rispetto alla fosfatasi
alcalina. La sua persistenza nel latte risanato termicamente può venire adottata come indice di qualità del prodotto.
Il saggio si effettua per via colorimetrica. L’enzima lattoperossidasi decompone il perossido di idrogeno; l’ossigeno atomico liberato ossida il reagente 1,4-fenilendiammina che è incolore,
trasformandolo in indofenolo, di colore viola. La comparsa di tale colore indica la presenza dell’enzima perossidasi nel latte. L’intensità del colore è proporzionale alla concentrazione
dell’enzima. Reazione perossidasi-positiva: Si manifesta un colore blu entro 30 secondi successivi alla miscelazione
Reazione perossidasi-negativa: Mancata comparsa di colore nei 30 secondi successivi alla miscelazione
Combinando il comportamento di questi due enzimi, quindi fosfatasi alcalina e lattoperossidasi, dobbiamo poter ritrovare il comportamento
per la categoria merceologica. Dato il termizzato, che so che è l’unico ad avere la fosfatasi alcalina positiva, tutti gli altri, a partire dal
pastorizzato propriamente detto in su, devono avere la fosfatasi alcalina negativa/inattivata (no sviluppo di colorazione gialla).
Discorso diverso, invece, per la lattoperossidasi: a seconda della coppia T°/tempo, se questa è più spinta allora avremo la denaturazione
anche della lattoperossidasi, oltre che della fosfatasi alcalina, mentre se la contaminazione microbica è tale da consentirmi una coppia
T°/tempo più blanda, allora devo trovare attiva la lattoperossidasi. Nel caso del latte ESL, che rientra nei latti pastorizzati, poiché lo
riscaldiamo a una T° che va dai 71°C ai 135°C, ecco che la lattoperossidasi deve risultare inertizzata.
Quando saliamo nella T° di risanamento termico abbiamo detto che impattiamo maggiormente sulla composizione chimica del prodotto;
quindi, provochiamo un’alterazione dei costituenti chimici che sono presenti nel prodotto, e quindi si può sfruttare questa cosa anche dal
punto di vista analitico andando a ricercare specifiche sostanze che, a questo punto, ci si aspetta nel latte UHT e a maggior ragione in un
latte pastorizzato. Questi composti sono:
LATTULOSIO: un composto di interesse farmaceutico, che viene usato perché ha caratteristiche lassative. Noi rimaniamo nel latte e sappiamo
che lo zucchero del latte è il lattosio, costituito da glucosio + galattosio, dove il galattosio lega con il suo C1 il C4 del glucosio e nel glucosio
rimane il C1 libero, quindi il carbonio aldeidico libero. Il fatto che il monomero di glucosio mantenga la parte C1 libera gli dà la possibilità di
poter essere in equilibrio tra la forma aperta (aldeidica) e la forma chiusa (ciclizzazione da parte dell’OH). Il processo termico a cui
sottoponiamo il nostro latte durante il risanamento UHT induce una trasformazione, ovvero quando abbiamo la forma aldeidica aperta, in
seguito a riscaldamento, questa può isomerizzare a forma chetonica, via enolo intermedio. Se isomerizziamo il glucosio aldoesoso in 2-chetoso
vuol dire che poi, richiudendosi, questo dà luogo alla formazione di un ciclo a 5 termini, ossia quello del fruttosio. Quando abbiamo parlato dei
carboidrati, l’aldoesoso glucosio è in equilibrio con la forma chiusa a 6 termini piranosinica, mentre il 2-chetosio, cioè il fruttosio, è in
equilibrio con la forma chiusa a 5 termini furanosinica. Quindi, il riscaldamento UHT del latte determina l’isomerizzazione del glucosio del
lattosio in fruttosio, il quale fruttosio poi dà luogo all’equilibrio di ciclizzazione, richiudendosi nel tipico anello a 5 termini e il composto che ne
deriva, ossia il 6,5-galattopiranosil-fruttofuranosio, è il lattulosio. Quindi, il lattulosio ce lo aspettiamo all’interno di un latte UHT, perché il
riscaldamento è stato tale per cui abbiamo avviato questa reazione di isomerizzazione a carico del lattosio. Il lattulosio viene usato a scopo
farmaceutico come lassativo in caso di stipsi perché non viene metabolizzato dagli enzimi, a differenza del lattosio, quindi resta come tale,
inalterato, a livello del lume intestinale ed è un composto polare; quindi, richiama acqua ed esercita quindi azione osmotica, che comporta lo
stimolo di peristalsi sulle pareti intestinali e quindi l’azione lassativa che ne consegue. A scopo tecnologico, invece, il lattulosio è, quindi, un
marker di prodotto e di processo. I metodi di analisi per questa tipologia di indicatori termici sono strumentali, preved