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Le tre fasi della risposta immunitaria

1. Ciclo afferente: trasporto dell'antigene dal sito del suo ingresso nel corpo agli organi linfatici secondari (linfonodi, milza). Può avvenire passivamente oppure attivamente ad opera di cellule dendritiche e macrofagi. L'attivazione del sistema immunitario è mediata prevalentemente da cellule dendritiche.

2. Reazione contro l'antigene: Gli effettori sono i linfociti.

  • Immunità cellulo-mediata: uccisione diretta delle cellule infettate.
  • Immunità umorale: produzione di anticorpi specifici per gli antigeni estranei.

3. Ciclo efferente: è l'insieme di effetti della risposta immunitaria volti ad amplificare la risposta infiammatoria.

Ciclo afferente: A livello dei tessuti periferici le cellule dendritiche normalmente monitorano l'arrivo di antigeni e possiedono un'attività fagocitaria in grado di recuperare l'antigene. Se nel sito periferico si ha contestualmente una risposta infiammatoria,

La cellula dendritica cambia stato differenziativo e perde la capacità di fagocitare a favore di quella di migrazione: esprime, quindi, sulla sua superficie dei recettori che seguono le chemochine prodotte dai linfonodi e attraverso i vasi linfatici si dirigono verso questi ultimi.

In questo suo viaggio la cellula dendritica acquisisce tutti gli elementi necessari per presentare l'antigene. L'antigene viene degradato all'interno della cellula e poi esposto, legato a MHC. Gli antigeni a questo punto sono riconoscibili dai linfociti, ai quali si legano -> si scatena la risposta immunitaria.

LE FUNZIONI DEL SISTEMA IMMUNITARIO

I linfociti B producono gli anticorpi (RISPOSTA UMORALE)

I linfociti T hanno diversi ruoli:

  • Sono effettori della RISPOSTA CELLULO-MEDIATA: i linfociti T citotossici sono attivi nella distruzione diretta di cellule dell'organismo che esprimono sulla loro superficie antigeni aberranti (presenti su cellule tumorali). L'uccisione

indurrà apoptosi.

  • Incrementano la risposta di altre cellule dell'immunità innata o acquisita: T helper.
  • Se supportano la risposta infiammatoria dei macrofagi si definiscono infiammatori Th1.
  • Se supportano la risposta dei linfociti B, attivando la produzione di anticorpi si definiscono adiuvanti Th2 (RISPOSTA UMORELE) - linfocita B non è attivato da dendritiche.

Il linfocita T Th1 durante l'infiammazione produce la citochina proliferativa dei linfociti, IL-2. Induce la proliferazione di tutti i linfociti circostanti, in particolare i citotossici.

PATOLOGIA: LEZIONE 7

Nelle scorse lezioni abbiamo visto che i linfociti T si dividono principalmente in due grosse categorie:

  • linfociti T-helper;
  • linfociti T-citotossici.

Linfociti T citotossici: I linfociti T-citotossici hanno lo scopo preciso di andare a distruggere le cellule del nostro organismo che devono essere in qualche modo eliminate. Si tratta di cellule che presentano sulla loro

superficie particolari determinanti antigenici che provengono da mutazioni endogene della cellula. - Tali mutazioni possono avvenire, per esempio, in seguito:
  • a un processo di tumorigenesi cellule tumorali
Con il termine tumorigenesi si fa riferimento a un processo multistadio in cui le cellule normali progrediscono verso la malignità con l'acquisizione di mutazioni a carico del patrimonio genetico.
  • ad un attacco di tipo virale alle strutture cellulari cellule infette
Sappiamo che i virus sono in grado di modificare il materiale genetico della cellula ospite. Quest'ultima esprimerà così proteine endogene di tipo virale. Tali proteine verranno esposte sulla superficie cellulare assieme alle proteine fisiologiche della cellula, attraverso il complesso maggiore di istocompatibilità.

È importante ricordare che i linfociti T-citotossici non vanno mai, a differenza dei macrofagi, ad uccidere direttamente gli agenti lesivi.

Linfociti t-citotossici uccidono infatti le cellule del nostro organismo che contengono gli agenti lesivi o che sono andate incontro a mutazioni. Va inoltre ricordato che quando un linfocita T riconosce una cellula bersaglio la uccide attraverso meccanismi precisi e specifici. L'uccisione avviene infatti esclusivamente per apoptosi, eccezion fatta per gli esperimenti in vitro in cui l'uccisione si verifica anche per necrosi. Questo fa si che le altre cellule del tessuto danneggiato non vengano lese dall'azione di killing dei linfociti. Attraverso l'apoptosi viene infatti evitato il rilascio del contenuto intracellulare nell'ambiente esterno.

Meccanismi di Killing dei linfociti T

La morte per apoptosi può essere innescata attraverso due meccanismi differenti:

  • interazione tra ligando e recettore
  • perforine e Granzima B

Ripasso sul meccanismo apoptotico

Il processo apoptotico è gestito in buona parte da una cascata enzimatica costituita da enzimi

detticaspasi.- Le caspasi sono delle cisteina-proteasi che tagliano le proteine a livello dei residui di acido aspartico (da cui C-ASP-asi). Si tratta pertanto di enzimi con la capacità di tagliare le proteine.- Le prime caspasi a venir attivate durante il processo apoptotico sono la caspasi 8 e la caspasi 9. Interazione tra ligando e recettore- Il ligando in questione è presente sulla cellula T mentre il recettore si trova sulla cellula bersaglio.- Il recettore è detto FAS ed è composto da tre proteine identiche fra loro.- Il recettore FAS si lega ai cosiddetti ligandi di FAS.- Quando il recettore FAS viene attivato dal ligando-FAS la caspasi 8 viene attivata. Tale attivazione deriva da un taglio autocatalitico. In altre parole, due procaspasi 8 si tagliano fra loro e formano un'unica caspasi 8 attiva.- La caspasi 8 è una caspasi d'avvio e, una volta attivata, determina l'attivazione di un'altra caspasi e così via, in un

Il processo che prende appunto il nome di "cascata di attivazione delle caspasi". Durante la cascata delle caspasi vengono prodotti vari enzimi che esercitano diversi compiti fondamentali nel processo apoptotico. Si riportano di seguito un paio di esempi, concernenti gli enzimi più rilevanti:

  • Uno degli enzimi finali che vengono prodotti ha la capacità di tagliare il DNA. Il DNA viene così tagliato con una particolare cadenza, determinata dalla presenza di particolari proteine istoniche. Il DNA tagliato viene poi degradato.
  • Altri enzimi determinano il cross-linking tra le proteine del citoscheletro. In questo modo si formano dei piccoli corpi apoptotici molto resistenti. Tali corpi apoptotici richiamano poi i macrofagi che li fagocitano.

Perforine e Granzima B- Il linfocita T-citotossico produce due differenti tipologie di proteine che esercitano un'azione pro-apoptotica rispetto alle varie proteine target. Tali proteine, contenute in lisosomi modificati,

Sono le perforine e il Granzima B.

Le perforine, quando vengono secrete, polimerizzano e causano dei pori nella membrana della cellula bersaglio:

  • In vitro tali pori determinano l'uccisione diretta per lisi;
  • In vivo permettono l'ingresso di Granzima B.

Il Granzima B entra quindi nella cellula bersaglio attraverso i pori formati dalla perforina.

Il Granzima B è una serin-proteasi, ovvero una proteasi che basa il suo meccanismo di catalisi sulla presenza della serina, particolarmente reattiva ed essenziale per l'attività enzimatica.

Una volta entrato nella cellula bersaglio tale enzima va ad attivare le caspasi effettori.

Vengono per cui "saltate" le prime fasi della cascata delle caspasi e si determina direttamente l'attivazione delle ultime caspasi, quelle che esplicano i vari effetti finali del meccanismo apoptotico.

Questo secondo meccanismo messo in atto dai linfociti T-citotossici è per cui un meccanismo molto

potente, rapido ed efficace. Accenno sui meccanismi di difesa

Attraverso vari processi, attivati in maniera casuale, le cellule tumorali o quelle infettate dai virus cercano di resistere all'azione di killing messa in atto dai linfociti T-citotossici.

Il meccanismo del granzima, rispetto a quello del recettore-FAS, ha una percentuale di successo più alta.

Linfociti T-helper

Esistono principalmente due classi di linfociti T-helper:

  • linfociti T-helper di classe I, T 1, o T-helper infiammatori
  • linfociti T-helper di classe II, T 2HT 1H

I linfociti T-helper di classe I interagiscono con i macrofagi.

Si ha un riconoscimento di tipo specifico tra l'antigene, legato ai marcatori MHC del macrofago, e i recettori della cellula T.

Grazie a tale legame si stabilisce un'interazione che può essere mediata:

  • da altri meccanismi recettore-ligando;
  • da una reciproca attivazione di linfocita e macrofago.

Il linfocita T 1 manda interferon gamma al

  1. macrofago

    Il macrofago di ricambio esprime una serie di citochine di classe I tra cui per esempio il TNF-alfa e IL-1. Tali citochine sono dette citochine di classe I proprio perché interagiscono con i linfociti T.

  2. 1° STEP

    I T1 interagiscono con i macrofagi, attraverso il riconoscimento dell'antigene presentato sulla superficie di questi ultimi, legato ai marcatori MHC. I macrofagi vanno così a stimolare il T1 attraverso la produzione di citochine di classe I quali TNF-α, IL-1, IL-6, IL-12. In particolare, IL-6 e IL-12 sono citochine di classe I particolarmente importanti.

  3. 2° STEP

    Le citochine prodotte dai macrofagi vanno a rinforzare l'azione del linfocita T1 che inizia a produrre IFN-γ. Abbiamo così da un lato un'interazione diretta mediata dal riconoscimento dell'antigene e dall'altra

parteun’interazione mediata da fattori solubili, quali le citochine di classe I e l’IFN-γ appena visti.

L’IFN-γ prodotto dai linfociti T 1 esercita sui macrofagi diversi effetti:

  • attivazione dei meccanismi di killing (produzione di NO e ROS)
  • maggior azione fagocitaria
  • maggior capacità di presentazione dell’antigene.

Il macrofago produce una maggiore quantità di MHC nonché di altre molecole coinvolte nellapresentazione dell’antigene.

Di conseguenza aumenta anche la capacità del macrofago di interagire con il linfocita T.

Dobbiamo infatti tener presente che, a differenza di quanto illustrato nelle figure, il macrofago esponesull

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher andrecarbo99 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Patologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Chiaramonte Raffaella.