LA PROVA DELLA FILIAZIONE:
La filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile.
Ma in mancanza di questo titolo basta il possesso continuo dello stato di figlio (articolo 236).
La prova della filiazione: la filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nel registro dello stato civile. In
mancanza di questo titolo basta il possesso continuo dello stato di figlio.
LA PERDITA DELLO STATO DI FIGLIO:
Disconoscimento di paternità (art. 243bis): è praticamente il padre ad agire (ma anche la madre o
- il figlio, disconoscimento della maternità) in quanto si mette in discussione la paternità
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità
Termini: 6 mesi per la madre, 1 anno per il padre, decorrenti dalla nascita o dalla scoperta
(dell’impotenza o dell’adulterio)
- Contestazione dello stato di figlio (art. 248): azione che mette in discussione la maternità (ad es.,
supposizione di parto, sostituzione di neonato)
2 modi di perdere lo stato di figlio:
1. disconoscimento di paternità; quando si ritiene che non vi sia corrispondenza tra presunzione di
paternità e verità biologica, è possibile esercitare l’azione di disconoscimento. Originariamente, l’esercizio
dell’azione di disconoscimento prevista nel Codice del 1942 era consentito unicamente al marito nel
termine di 3 mesi a decorrere dal giorno della nascita, mentre se egli avesse provato di non aver avuto
notizia della nascita, il termine dei tre mesi sarebbe decorso dal giorno in cui ne fosse stato messo al
corrente.
Successivamente, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, le modifiche introdotte sul tema della
filiazione, ampliarono i soggetti legittimati ad agire in giudizio per ottenere il disconoscimento della
la
paternità : anche la madre ed il figlio legittimo madre poteva promuovere il disconoscimento entro 6
mesi dalla nascita del figlio, il marito entro un anno, ed infine il figlio entro un anno dal compimento della
maggiore età o dal momento in cui fosse venuto successivamente a conoscenza dei fatti che rendono
ammissibile il disconoscimento (se il figlio è minorenne, l’azione viene esperita da un curatore speciale,
nominato dal giudice). La novità più rilevante è inserita nel comma 4 dell’art. 244 c.c. con la previsione che
in ogni caso l’azione da parte del padre o della madre non possa essere promossa oltre 5 anni dal giorno
della nascita del figlio, facendo prevalere sul principio di verità della filiazione l’interesse del figlio alla
conservazione del suo status.
Una delle questioni più dibattute in tema di azione di disconoscimento ha riguardato le condizioni di
ammissibilità: l’azione era ammissibile se nel periodo compreso tra il tredicesimo e il 180º giorno prima
della nascita i coniugi non avessero coabitato oppure il marito fosse affetto da impotenza, o la moglie
avesse commesso adulterio o tenuto celata al marito la gravidanza e la nascita del figlio. In questi ultimi due
casi, il marito è legittimato a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche incompatibili con quello
del presunto padre.
L’articolo 246, infine, disciplina i casi di trasmissibilità dell’azione con previsione che in caso di morte del
presunto padre o della madre senza che sia stata promossa l’azione, saranno ammessi ad esercitarla in loto
vece i discendenti e gli ascendenti. Competente, per la pronuncia di disconoscimento è il tribunale
ordinario, la cui sentenza produrrà l’estinzione del rapporto di filiazione sul versante paterno con
conseguente perdita del cognome attribuito al momento della nascita e acquisizione di quello materno. 38
2. contestazione dello stato di figlio; azione che mette in discussione la maternità
Lo stato di figlio nato fuori del matrimonio Art. 250:
La posizione giuridica del figlio nato fuori del matrimonio è stata considerata per secoli una posizione
deteriore rispetto a quella del figlio nato nel matrimonio.
Un tempo era detto «figlio illegittimo»
Si acquista attraverso il riconoscimento da parte del genitore. Tutti possono riconoscere?
Divieto di riconoscimento da parte del minore che non abbia compiuto 16 anni, salvo autorizzazione del
giudice (TM). Per legge chi partorisce a 14 anni non lo può riconoscere per legge.
La posizione giuridica del figlio nato fuori dal matrimonio è considerata per secoli una posizione
deteriore rispetto a quella del figlio nato nel matrimonio. Un tempo era detto “figlio illegittimo”. A
differenza della filiazione in costanza di matrimonio, nel caso di figli nati fuori del matrimonio non si opera
alcuna presunzione di paternità: non vi è, infatti, alcun soggetto giuridicamente qualificato cui ricondurre
l’atto procreativo. Pertanto, quando i figli sono concepiti da persone non sposate tra loro, vi è la necessità
di un atto di riconoscimento da parte di chi voglio attestare il fatto della generazione.
Lo stato di figlio si acquista attraverso il riconoscimento da parte del genitore il riconoscimento
è un atto personalissimo ed è espressione della volontà di chi lo compie di costituire il rapporto di filiazione.
Fino all’entrata in vigore della legge 219/2012, il riconoscimento era consentito a chi avesse compiuto 16
anni, ora il comma 5 dell’art. 250 c.c. prevede che sia ammesso il riconoscimento anche da parte di chi sia
stato a ciò espressamente autorizzato dal giudice. La competenza sull’autorizzazione spetta, in questo caso,
al Tribunale Ordinario il quale ha la competenza su tutte le azioni di stato. È rimasto in vigore il divieto di
riconoscimento da parte della persona interdetta per grave infermità di mente. Il figlio può essere
riconosciuto da entrambi i genitori o prima da uno e poi dall’altro.
Art. 250 (commi 1-2-3):
• Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dalla
madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il
riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.
• Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso.
• Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso
dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Art. 250 (comma 4):
• Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere
il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un
termine per la notifica del ricorso all'altro genitore.
• Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che
tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna
informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età
inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di
instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata.
• Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in
relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315-bis e al suo cognome
ai sensi dell'articolo 262.
Forma del riconoscimento:
Può essere effettuato 39
nell'atto di nascita
● in una dichiarazione successiva alla nascita fatta davanti all'ufficiale di stato civile
● in un atto pubblico
● in un testamento, qualunque ne sia la forma.
●
Addirittura è possibile il riconoscimento anche prima della nascita ma sempre dopo il concepimento
Cognome del figlio art. 262
• Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento
è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del
padre.
• Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al
riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo,
anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.
• Il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto
autonomo segno della sua identità personale.
• Questione di legittimità costituzionale dell’art. 262 comma 1 c.c. (sollevata d’ufficio dalla Corte Cost.
con ordinanza n. 18 del 14.1.2021, e discussa all’udienza del 27 aprile 2022): cognome paterno retaggio
patriarcale?
Corte costituzionale n.131/2022:
L’automatica attribuzione del solo cognome paterno “si traduce nell’invisibilità della madre” ed è il segno di
una diseguaglianza fra i genitori, che “si riverbera e si imprime sull’identità del figlio”.
Illegittimità, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost. (quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14
CEDU), dell'articolo 262, primo comma, c.c. "nella parte in cui prevede, con riguardo all'ipotesi del
riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del
padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell'ordine dai medesimi concordato,
fatto salvo l'accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto".
L'illegittimità costituzionale, relativa alla disciplina sull'attribuzione del cognome al figlio nato fuori del
matrimonio, è stata estesa anche alle norme sull'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio e al
figlio adottato.
Secondo la Corte a fronte dell'evoluzione dell'ordinamento, il lascito di una visione discriminatoria, che
attraverso il cognome si riverbera sull'identità di ciascuno, non è quindi più tollerabile.
Il cognome del figlio deve pertanto comporsi con i cognomi dei genitori, salvo il loro diverso accordo. La
proiezione sul cognome del figlio del duplice legame genitoriale è la rappresentazione dello status
filiationis: trasla sull'identità giuridica e sociale del figlio il rapporto con i due genitori.
Invito al legislatore:
In primo luogo, auspica un intervento finalizzato a impedire che l'attribuzione del cognome di entrambi i
genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della
funzione identitaria e di identificazione, a livello giuridico e sociale, nei rapporti di diritto pubblico e di
diritto privato, che non è compatibile con un mecca
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