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B) I DIRITTI DELLA PERSONALITA’
Per parlare di diritti della personalità si parte dell'art. 2 cost. in cui è presente il principio personalistico e
infatti che “la
quindi il fatto che la persona venga prima dello Stato. L'articolo 2 cost. proclama
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo e sia nelle formazioni
sociali”. Questi diritti sono diritti che preesistono rispetto alla formazione dello Stato, sono diritti che ci
appartengono per il solo fatto di essere nati; questa è una concezione ottocentesca tipica del
giusnaturalismo, una corrente filosofica secondo cui esistono diritti inviolabili e che appartengono alla
persona per il solo fatto di essere nati, infatti vengono chiamati anche diritti naturali. Questi diritti
riguardano sia la percezione che il soggetto ha di se stesso, sia l'identità personale che la percezione che
gli altri hanno di noi. L'elenco dei diritti inviolabili è aperto essendo ammissibili diritti della personalità
per così dire atipici ; oltre ad essere previsti dalla nostra carta costituzionale si trovano anche nelle fonti
internazionali e sono definiti inviolabili proprio perché non possono essere scalfiti e dallo stato né da
tutti gli altri consociati. I diritti inviolabili si trovano anche in norme di derivazione extra statuale, come:
- la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata nel 1948;
- la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
firmata a Roma nel 1009;
- il patto internazionale relativo ai diritti economici sociali culturali e il patto internazionale
relativo ai diritti civili e politici adottati a New York nel 1966;
- la carta dei diritti fondamentali dell'unione europea del 2007.
Tradizionalmente si afferma che i diritti della persona sono connotati da caratteri:
a. Della necessarietà, in quanto competono a tutte le persone fisiche che li acquistano al momento
della nascita e li perdono solo con la morte;
b. della imprescrittibilità, in quanto il non uso prolungato non è determina l'estinzione;
c. della assolutezza, poiché implicano in capo a tutti i consociati un generale dovere di astensione
da ledere l'interesse da detti diritti e sono tutelabili erga omnes;
d. della non patrimonialità, poiché tutelano valori della persona non suscettibili di valutazione
economica;
e. della indisponibilità, perché non sono rinunciabili.
a) Diritto alla vita
Seppur non testualmente previsto dalla nostra carta costituzionale il diritto alla vita dalla Corte
costituzionale è definito come il primo dei diritti inviolabili dell'uomo. Tale diritto impone a tutti i
consociati l'obbligo di astenersi dall'attentare alla vita altrui, obbligo presidiato anche da sanzioni penali.
L’art. 1 comma 1 della legge del 22 maggio del 1978 n. 194 stabilisce che lo stato tutela la vita umana
dal suo inizio ovvero dal momento del concepimento; il diritto a nascere trova tutela piena e immediata
nei confronti di soggetti diversi dalla madre, è infatti penalmente sanzionata la condotta di chiunque
cagioni l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna manifestato secondo le modalità
previste dalla legge. Se è tutelato nei confronti dei terzi, il diritto alla vita non lo è in concreto nei
confronti del diretto interessato: nessuna sanzione consegue al suicidio. Costituiscono reato le condotte
di chi determina altri al suicidio, ovvero ne rafforzi i propositi suicidi oppure ne agevoli in qualunque
modo l'esecuzione di detti propositi: cosiddetta istigazione o aiuto al suicidio.
Costituisce reato anche la condotta di chi cagioni ad altri la morte, seppure con il lui il consenso di lui:
omicidio del consenziente. Si ritiene illecita anche la condotta di chi provochi la morte dell'infermo
affetto da malattia probabilmente o certamente incurabile attraverso un diretto intervento acceleratore
volto ad anticiparne il decesso allo scopo di evitargli le sofferenze del processo patologico terminale,
eutanasia attiva.
Diverso è il caso in cui l'interessato rifiuti il trattamento terapeutico necessario per salvargli la vita o
decida di interromperlo, il principio secondo cui i trattamenti sanitari possono essere praticati solo con il
consenso dell'avente diritto, principio di autodeterminazione, vale anche con riferimento ai trattamenti
salvavita ovvero con riferimento a quegli interventi che la scienza medica indica come idonei a
scongiurare o ad allontanare il rischio di morte dall'info dell'infermo. Il diritto alla salute
costituzionalmente garantito dall'art. 32 implica anche il suo risvolto negativo e cioè il diritto di non
curarsi o di lasciarsi morire. Di fronte al rifiuto del trattamento medico consapevolmente espresso
dall'assistito, così come di fronte alla sua richiesta di interruzione del trattamento, il dovere del medico
di curarlo viene meno in quanto è obbligato a rispettare la volontà dell'assistito contraria alle cure. Tutto
ciò presuppone che l'interessato sia in grado di manifestare consapevolmente liberamente il proprio
intendimento in ordine al trattamento medico propostogli; allorquando il soggetto così è in grado il
medico deve senz'altro praticare le cure necessarie. La decisione in ordine al consenso o al rifiuto di un
determinato trattamento terapeutico da praticare all'incapace spetta al suo rappresentante legale, nel caso
in cui questo rifiuti le cure proposte che il medico ritenga appropriata e necessarie, la decisione è
demandata al giudice tutelare. Di fronte a paziente con prognosi infausta a breve termine o di
imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione e ragionevole nella somministrazione
delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati, ricorrendo alla sedazione palliativa
profonda e continua in associazione con la terapia del dolore. Nel caso invece di patologia cronica o
invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, il paziente può concordare
per iscritto con il medico una pianificazione delle cure alla quale il medico e la sua equipe saranno
tenuti ad attenersi quando anche l'assistito dovesse venire a trovarsi in una condizione di incapacità.
b) Diritto alla salute
L’art. 32 comma 1 cost. definisce il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo. L’art. 3
comma 1 della carta dei diritti fondamentali dell'unione europea proclama che ogni individuo ha diritto
alla propria integrità fisica e psichica; tale diritto implica per tutti i consociati l'obbligo di astensione da
condotte che possano cagionare ad altri malattie, infermità o menomazioni. L'interesse alla salute ed
all'integrità psicofisica è tutelato anche a favore del nascituro, si ammette la risarcibilità del danno
conseguente a lesioni subite dal feto nel periodo prenatale a causa di condotte sbagliate dal medico. Il
diritto alla salute è rimesso all'autodeterminazione del suo titolare, nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge; la legge può prevedere l'obbligo di
un determinato trattamento sanitario solo quando ciò sia giustificato, non tanto dal vantaggio che potrà
derivarne per il soggetto, quanto alla necessità di tutelare gli interessi superiore alla protezione della
sanità pubblica. Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori possono essere disposti solo nel rispetto
della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla costituzione; al di fuori dei casi in
cui risultino imposti per legge gli accertamenti e i trattamenti sanitari, sono volontari per il principio di
autodeterminazione. Richiedono il consenso dell'avente diritto che, se in stato di capacità legale naturale
di agire ben potrebbe legittimamente opporre un rifiuto alle cure. Senza il consenso del paziente il
medico non può sottoporlo ad accertamenti sanitari, cure mediche, interventi chirurgici neppure quando
il trattamento dovesse risultare necessario per salvargli la vita. Affinché possa prestare un valido
consenso è necessario che l'assistito venga prima correttamente, chiaramente ed esaustivamente
informato in ordine alle proprie condizioni di salute e alle relative diagnosi e prognosi con il consenso
informato. Nel caso in cui il sanitario non dovesse rispettare ciò potrà essere chiamato a rispondere per
il solo fatto che il paziente non è stato posto in condizione di prestare il proprio consenso; il consenso al
trattamento medico non obbliga a chi lo ha prestato che può efficacemente revocarlo in qualsiasi
momento.
Nel caso in cui il paziente sia incapace legale, il consenso deve essere espresso dal suo rappresentante
legale: in caso di minore età dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale e in caso di interdizione
dal tutore, mentre in caso di amministrazione di sostegno dall'amministratore. Il consenso informato
deve essere documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni ovvero per la persona con
disabilità attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Gli interventi chirurgici ed i trattamenti
medici devono ritenersi sottratti ai limiti al potere di autodeterminazione dell'interessato fissati dall'art.5
c.c., il paziente può legittimamente consentire anche interventi chirurgici o trattamenti medici destinati a
comportare menomazioni gravi e definitive alla propria integrità fisica come l'amputazione di una
gamba; le parti legittimamente staccate dal corpo sono beni autonomi di spettanza del soggetto al corpo
cui appartenevano punto per il momento successivo alla propria morte, la persona può disporre in ordine
alla collocazione della propria salma per testamento o per gli iscritti ad associazioni riconosciute che
abbiano tra i propri fini statutari quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati.
c) Diritto al nome
Il diritto al nome viene disciplinato dal Codice civile, nel primo libro, articoli dal 6 al 9; per nome si
intende il prenome più il cognome, ovvero il nome di battesimo più il cognome. Questo ha funzione di
identificazione sociale della persona e viene ricondotto nell'alveo dei valori fondamentali della persona,
nella prospettiva di salvaguardare l'identità della persona anche nella società.
La regola generale era che per il figlio nato all'interno del matrimonio, vi è un automatismo e che il
bambino una volta nato assume il cognome del padre, così come per i figli nati fuori dal matrimonio e
riconosciuti dal padre. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che la regola secondo cui il
figlio acquisti automaticamente il cognome paterno contrasti con le previsioni dettate dagli articoli 8 e