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(LEGGERE SOLTANTO QUESTO PARAGRAFO PERCHÉ SI RIPETONO LE

COSE GIÀ DETTE IN PRECEDENZA)

Il danno non patrimoniale risarcibile viene oggi sia riscontrato nei casi di previsione

testuale, sia dedotto in via interpretativa.

1) Tra i casi di previsione testuale nell’ipotesi in cui il fatto illecito costituisca reato:

l'art. 185 c.p. infatti dispone che «ogni reato che abbia cagionato un danno

patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento». E risarcibile perciò il

danno derivante ad es. da un omicidio, dalle percosse, da un sequestro di persona.

fi fi fi fi fi fi fi

Ed è suf ciente che il fatto costituisca astrattamente reato, pur se in concreto sia

esclusa la punibilità dell'autore, ad es. per amnistia o perché non è stato provato

l'elemento psicologico.

In secondo luogo, è oggi risarcibile il danno non patrimoniale derivante dalla

violazione delle norme in materia di: illegittima detenzione, ragionevole durata del

processo, trattamento dei dati personali, discriminazioni contrattuali per motivi

razziali, etnici, religiosi, di salute o condizione psico- sica, "pari opportunità" tra

uomo e donna, parità di trattamento nel lavoro, diritto d'autore, proprietà industria-

le, vittime del terrorismo, ecc. (**queste leggere soltanto)

Altre ipotesi in cui sembra ammesso il risarcimento dei danni non patrimoniali

riguardano l'annullamento del matrimonio, la violazione dei doveri genitoriali in caso

di separazione personale dei coniugi.

2) In via interpretativa, si ammette a risarcimento la lesione dei diritti inviolabili della

persona costituzionalmente garantiti. Nella lettura della Cassazione, cioè, il rinvio

operato dall'art. 2059 ai «casi determinati dalla legge» ben può essere riferito

anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che la relativa tutela non può

che implicare anche una tutela risarcitoria: diversamente, tali diritti riceverebbero

una tutela solo formale, non anche sostanziale. E la risarcibilità riguarda non solo i

diritti espressamente contemplati, ma anche quelli individuabili in via interpretativa,

alla stregua degli interessi emergenti nella realtà sociale. In de nitiva occorre

ammettere a tutela risarcitoria tutti i valori inerenti alla persona riconosciuti nella

carta fondamentale.

La giurisprudenza ritiene oggi risarcibili, tra gli altri, i danni non patrimoniali

conseguenti alla lesione del rapporto coniugale e del rapporto genitori- gli (in caso

di grave menomazione o di morte del congiunto), del diritto all'onore e alla

reputazione (pur se manchino gli estremi di reato), e di altri ancora.

Ipotesi, quindi, disparate e non inquadrabili in una cornice unitaria. Realisticamente,

dovrebbe invece ammettersi che l'art. 2059 è, di fatto, abrogato e che il danno non

patrimoniale è risarcibile in tutti i casi in cui è (ritenuto) ingiusto: è perciò "atipico" al

pari del danno patrimoniale.

6. Segue. Il danno alla persona.

Il danno alla persona indica la lesione dell'integrità psico- sica: fattispecie, che ha

costituito il 'motore' dell'evoluzione interpretativa di cui s'è detto prima. In

particolare, nell'ambito della menomazione dell'integrità, si distinguono due tipi di

pregiudizio risarcibile: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, come

pregiudizio alla sfera personale.

In breve, il danno alla persona si compone di varie voci che però vanno considerate

unitariamente.

a) Danno biologico, inteso come «lesione dell'integrità psico sica della persona che

limita le attività quotidiane e relazionali (leggere, camminare, fare sport, sposarsi,

avere gli, etc.) del danneggiato, indipendentemente da eventuali conseguenze

economiche». Tale gura ha trovato esplicito riconoscimento anche in alcune leggi

speciali.

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b) Danno morale, inteso come dolore o sofferenza soggettiva. Tale pregiudizio,

abbandonata la lettura che ne limitava il risarcimento alle ipotesi di reato,

teoricamente è oggi risarcibile in tutte le ipotesi in cui sia rilevante il danno non

patrimoniale, ma di fatto continua ad emergere per i casi di reato. Comunque, la

distinzione tra danno morale (inteso come dolore, soggettivo e temporaneo) e

danno biologico (come danno non patrimoniale, oggettivamente accertabile e

permanente) è una distinzione meramente descrittiva rientrando entrambi nella

disciplina del danno non patrimoniale.

c) Danno patrimoniale, riguarda le perdite economiche per le spese di cura per la

lesione subita e per la perdita della capacità lavorativa e di reddito del danneggiato.

7. c) Il nesso di causalità.

Ulteriore requisito è l'esistenza di un nesso di causalità che leghi tra loro fatto

illecito e danno.

1) Occorre anzitutto che vi sia un nesso tra condotta dell'agente e danno-evento,

(cioè che la condotta dell’agente ha causato l’evento dannoso: rapporto di causalità

materiale (o naturale) tra l'uno e l'altra). Qui operano due criteri: "condicio sine qua

non" e "rischio speci co"

• Il criterio della condicio sine qua non afferma che l’evento non si sarebbe

veri cato senza quella condotta dell’agente: se il chirurgo non avesse

sbagliato l'intervento il paziente non sarebbe morto.

• Il criterio del rischio speci co addossa all'agente gli eventi che siano

concreta realizzazione del rischio tipico creato dall'illecito: ad es., Tizio

colpisce Caio che batte la testa su uno spigolo e muore. L'agente ha

creato una situazione di pericolo per l'incolumità altrui e il danno

prodottosi altro non è se non veri cazione concreta, realizzazione del

rischio: Il soggetto perciò è chiamato a risponderne (sul cd. delitto

«preterintenzionale», che cioè va oltre l'intenzione dell'agente). Per

contro, se il casellante lascia aperte le sbarre del passaggio a livello e

due vetture si scontrano frontalmente sui binari, l’incidente non sarebbe

avvenuto se le sbarre fossero state chiuse (e ciò soddisfa il criterio della

"condicio"), e tuttavia lo scontro non è realizzazione del rischio speci co

connesso all'illecito del casellante, che quindi non ne risponde.

2) Occorre poi un nesso tra danno-evento e danno-conseguenza e tale nesso viene

detto rapporto di causalità giuridica perché è la legge che speci ca di quali

conseguenze risponde il danneggiante. Pertanto, il danneggiante risponderà dei

pregiudizi (perdita subita e mancato guadagno) che siano «conseguenza

immediata e diretta» dell'evento lesivo, ed anche se essi siano imprevedibili. In ogni

caso il danneggiante non risponderà dei danni riconducibili allo stesso danneggiato

(sono i pregiudizi che egli stesso ha concorso a produrre e quelli che avrebbe

potuto evitare con l'ordinaria diligenza).

Va evidenziato inoltre che se più persone hanno concorso a cagionare il danno

sono tutte obbligate al risarcimento con vincolo di solidarietà, pur se diverso sia

stato il contributo di ciascuno. Viceversa, nei rapporti interni la responsabilità si

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suddivide in proporzione alla «gravità delle rispettive colpe e all'entità delle

conseguenze che ne sono derivate». Nel dubbio, le singole colpe si presumono

uguali.

8. d) Il dolo o la colpa.

Per avere responsabilità, la condotta dell'agente dev'essere «dolosa o colposa».

Si ha dolo quando «l'evento è preveduto e voluto dall'agente come conseguenza

della propria azione od omissione». L'evento lesivo, cioè, è lo scopo cui è diretta la

condotta dell’agente (ad es., un soggetto diffonde volontariamente notizie false sul

conto altrui). Questa nozione di dolo è diversa da quella incontrata a proposito dei

vizi della volontà perché lì si trattava di un raggiro posto in essere per ingannare un

soggetto in ordine a un contratto; qui è piuttosto una condizione psicologica e

attiene sia alla coscienza che alla volontà: è l'intenzione di realizzare un certo

evento. Comunque ciò che è necessario sia voluto è l'evento lesivo (e cioè il

danno-evento), non si richiede anche la volontà di produrre danni che ne derivano

nella sfera giuridica altrui.

Si ha colpa quando vi sia «negligenza o imprudenza o imperizia, o inosservanza di

leggi, regolamenti, ordini o discipline». Non importa che l'evento dannoso sia stato

magari preveduto dall'agente; l'importante è che non sia direttamente voluto, che

non sia lo scopo cui è diretta l'azione. Ad es., chi corre con l'automobile può

sicuramente prevedere il danno che ne potrebbe derivare, e tuttavia commette solo

una (grave) imprudenza: l'eventuale danno che ne consegua, pertanto, sarà

ascritto a sua colpa e non a dolo.

In sostanza, allora, ciò che si rimprovera al soggetto è di non aver osservato la

diligenza media, la cui inosservanza (che si designa come colpa) importa

responsabilità per i danni. La colpa d'altra parte potrebbe anche essere grave, ma il

grado di essa, mentre rileva nei rapporti tra corresponsabili dello stesso danno, non

in uisce sull'entità del risarcimento così come, almeno a tenore del codice civile,

non dovrebbe incidere il fatto che la condotta sia dolosa. Però, la prassi si è

discostata da tale impostazione.

La gravità della colpa (cioè colpa grave), e tanto più il dolo, facendo apparire più

riprovevole la condotta dell'agente, anzitutto richiedono risarcimenti più alti; in

secondo luogo, in uenzano il giudizio sul nesso di causalità, addossando all'agente

conseguenze pur anomale della sua azione ma intenzionalmente perseguite; in ne,

in alcune ipotesi l'ingiustizia del danno si riscontra solo in caso di dolo.

9. e) L'imputabilità e le cause di giusti cazione.

Perché ci sia responsabilità, ulteriore requisito è l'imputabilità della condotta

dell’agente. Anzitutto, l'agente deve avere almeno la capacità naturale d'intendere e

di volere; in secondo luogo, il soggetto deve aver commesso il fatto con coscienza

e volontà: ciò signi ca che deve aver scelto coscientemente e liberamente di tenere

il comportamento che ha cagionato il danno. Se il soggetto era drogato (non per

sua colpa) o è stato costretto sotto la minaccia di una pistola, l'atto non gli sarà

imputato ed egli non ne risponderà.

fl fl fi fi fi

L'imputabilità (e la c

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Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher digregorio.giorgio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto privato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Cavallaro Michela.
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