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Il sorvegliante ha un modo per liberarsi dalla responsabilità (prova liberatoria), cioè
dimostrare di non aver potuto impedire il fatto. Può accadere che il danneggiato non riesca a
ottenere il risarcimento dal sorvegliante: sia per ragioni giuridiche e pratiche. In questo caso,
rischia di consumarsi un'ingiustizia: il danneggiato dovrebbe tenersi il danno causato da altri;
e l'incapace non soffrirebbe nessuna conseguenza per un fatto dipeso da lui. Per evitare tale
ingiustizia, si prevede che il giudice possa condannare l'incapace a pagare un'equa
indennità, che non è commisurata all'intero ammontare del danno, ma all'esigenza di
ripararlo in qualche misura, anche solo parziale.
L'incapacità considerata è l'incapacità naturale, per cui contano le condizioni fisio-psichiche
del soggetto. Perciò la norma si applica anche ai soggetti legalmente capaci (maggiorenni
non interdetti) che siano in stato di incapacità naturale. Non si applica invece agli incapaci
legali che avessero la capacità naturale, cioè fossero in grado di intendere e di volere.
Le cause di giustificazione
Il danno ingiusto causato da un soggetto non deve essere da lui risarcito, se il fatto dannoso
è stato compiuto in circostanze idonee a giustificarlo: così che il comportamento del 145
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danneggiante, astrattamente qualificabile come illecito, perde il suo carattere di illiceità, e
non genera responsabilità a carico dell'autore.
Le principali cause di giustificazione sono tre:
- il consenso dell'avente diritto ricorre quando il comportamento dannoso è stato
autorizzato dallo stesso danneggiato (se invito amici a giocare a calcio nel mio
giardino, non posso pretendere che risarciscano i danni recati a fiori e piante)
- per il criterio della legittima difesa, non è responsabile chi causa il danno per
difendere un diritto proprio o altrui, al quale il danneggiato portava minaccia. Occorre
però che la difesa sia proporzionata all'offesa minacciata
- lo stato di necessità ricorre quando l'autore del fatto dannoso è stato costretto a
compierlo per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave
alla persona, a condizione che si tratti in un pericolo non volontariamente causato dal
danneggiante, e non evitabile; quest'ultimo dato differenzia la fattispecie da quella
che giustifica la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo. (es. non
risponde del danno l'automobilista che, per evitare di investire un pedone, sterza di
colpo e danneggia un'auto in sosta; l'automobilista non sarebbe invece liberato dalla
responsabilità se avesse fatto la manovra per non investire un gatto). Quando il
danno è causato in stato di necessità, il danneggiante non è responsabile e non deve
risarcirlo, ma deve corrispondere un'indennità, quantificata con equo apprezzamento
del giudice. La regola risponde a un principio di equità, per cui si ripartisce tra i due.
Dolo e colpa del responsabile
Il dolo è la volontà di tenere il comportamento dannoso, con la coscienza della sua idoneità
a recare danno; può presentarsi anche nella forma di dolo eventuale. La colpa è la
negligenza, imprudenza o imperizia che caratterizzano il comportamento del danneggiante:
è il mancato impiego della diligenza richiesta per l'attività, nel cui svolgimento si è verificato il
danno. A sua volta, la colpa può essere ordinaria o grave.
Anche nel campo extracontrattuale la colpa ordinaria non è sufficiente a generare
responsabilità del danneggiante. In certi casi occorre almeno la colpa grave, per cui se il
danno dipende da semplice colpa ordinaria, non è risarcibile (es. danno causato dal
giudice). In altri casi non basta neppure la colpa grave, e perché sorga responsabilità
occorre che il fatto dannoso sia compiuto con dolo (secondo acquirente che prevale sul
primo risponde verso di lui solo se ha agito in mala fede).
Negli ordinamenti giuridici dell'ottocento, senza dolo o colpa del danneggiante si riteneva
che non dovesse sorgere alcuna sua responsabilità. Oggi le cose sono diverse. Il criterio
della colpa conserva valore in collegamento con la funzione preventiva della responsabilità:
se i soggetti sanno che rispondono dei danni causati da una loro condotta imprudente, per
evitare l'onere del risarcimento sono portati a comportarsi con diligenza, e in questo modo la
quantità dei danni si riduce. In altri settori, però, i danni non dipendono da negligenza o
imprudenza. Inoltre, quando si verificano, c'è l'esigenza che siano risarciti, che dipendano o
meno da colpa di qualcuno.
Tutto questo porta gli ordinamenti giuridici a superare il principio nessuna responsabilità
senza colpa, e ad ammettere che un danno possa essere accollato a un responsabile,
anche se non lo ha causato per sua colpa. Entra in scena la responsabilità oggettiva.
La responsabilità oggettiva: le origini
Responsabilità oggettiva significa responsabilità senza 146
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colpa, Con l'avvento della società industriale, si moltiplicano le opportunità dell'esistenza
umana, ma anche le occasioni di danno. E si tratta di danni anonimi, che è difficile imputare
alla colpa di un soggetto, perché dipendono dall’organizzazione entro cui molte attività
vengono a svolgersi (es. caldaia scoppia improvvisamente). Sono danni che non è possibile
ricondurre alla colpa di un soggetto. Il moltiplicarsi di questi danni, poneva un problema
molto serio. Per risolverlo, si prospettavano diverse strade
- vietare le nuove attività dannose. Ciò avrebbe sì eliminato la fonte di danni, ma
avrebbe privato la società di strumenti irrinunciabili del suo progresso e del suo
benessere. La valutazione comparativa dei costi e dei benefici sociali di questa
soluzione porta a concludere che tale prevenzione dei danni avrebbe un prezzo
troppo alto, e intollerabile per la società
- consentire le attività pericolose, ma a condizione che vengano svolte con l'adozione
dei dispositivi di sicurezza necessari per garantire che non siano più fonte di rischi e
di danni. Questo presenta limiti tecnici ed economici. Per molte attività, è impossibile
garantire in modo pieno che nel loro ambito non si creeranno danni. Inoltre, la
sicurezza costa, quindi imporre come condizione per l'esercizio dell'attività
significherebbe impedire l'attività stessa.
Ma se determinate attività devono continuare a svolgersi nell'interesse sociale, si impongono
le misure di sicurezza compatibili con l'economicità del suo esercizio, e il residuo rischio di
danni viene messo a carico di chi esercita l'attività: questi diventa responsabile dei danni che
si producono, ed è obbligato a risarcirli. Anche se tali danni non dipendono da una colpa del
titolare dell'attività, costui è responsabile anche se non ha nessuna colpa.
Il rischio lecito: fondamento e ragioni della responsabilità oggettiva
Al di fuori dei casi di responsabilità oggettiva, la responsabilità si fonda sulla colpa del
danneggiante: la ragione per cui si ritiene mettere su di lui il peso del risarcimento, è che si è
comportato in modo negligente. Invece la responsabilità oggettiva si fonda sul rischio: la
ragione per cui si ritiene giusto addossare il danno al responsabile, è che egli esercita
un'attività rischiosa, dunque espone la società a un rischio, e sia pure un rischio lecito. E
siccome l'attività in questione è per lo più un'attività economica organizzata e svolta in modo
professionale, si può dire che la responsabilità oggettiva si fonda, in genere, sul rischio
d'impresa.
Ma perché il titolare dell'attività risponde dei danni che questa produce, anche se non ne ha
nessuna colpa? Le ragioni che giustificano questa scelta sono diverse:
- egli svolge l'attività nel proprio interesse, per ricavarne un profitto; se questa genera
un danno, il peso grava su di lui, anziché sul malcapitato che ne risulta colpito
- può assorbire facilmente il peso del risarcimento, attraverso l'assicurazione; se
l'attività causa un danno, questo viene risarcito dall'assicuratore, a cui il titolare
dell'attività paga un premio in cambio di questa copertura. In questo modo, per il
titolare dell'attività il peso del risarcimento non è casuale e imprevedibile nella sua
entità, ma diventa un costo fisso e calcolabile della sua impresa
- è colui che organizza e controlla l'attività. Quindi sa dove e come intervenire per
minimizzare i danni prodotti dalla sua attività. In questo modo la responsabilità
oggettiva svolge, oltre alla fondamentale funzione compensativa, anche un'utile
funzione preventiva
Queste ragioni spiegano il limite generale che la responsabilità oggettiva incontra in campo
extracontrattuale, così come anche in campo contrattuale: il titolare dell'attività non risponde,
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se il danno dipende da caso fortuito. Ciò segnala un'ulteriore differenza tra responsabilità
civile e penale: la responsabilità penale non è oggettiva, ma presuppone il dolo o la colpa
dell'autore del reato ; Invece in campo civile responsabilità per colpa e responsabilità
oggettiva coesistono. Ma con una differenza. Il principio dell'atipicità vale solo riguardo alla
responsabilità per colpa (o dolo), e quindi un fatto dannoso atipico, non previsto come fonte
di responsabilità, obbliga al risarcimento solo se dipende da colpa (o dolo) del danneggiante.
Questo non significa che le norme di responsabilità oggettiva siano norme eccezionali; non
lo sono, perché il criterio della responsabilità oggettiva esprime un'esigenza stabile e
duratura del sistema giuridico, che quindi possono essere interpretate estensivamente, e
anche applicate per analogia.
Capitolo 38
La responsabilità dei genitori e degli insegnanti
I genitori sono responsabili del danno causato dal fatto illecito del figlio minore non
emancipato, a condizione che abiti con loro. Quindi i genitori non rispondono se il fatto
dannoso del figlio non è un illecito e se il figlio non abita con loro (es. sta in collegio).
La norma va coordinata con quella sulla capacità d'intendere e di volere. Se il minore è
incapace, egli non risponde; risponde invece chi è tenuto alla sua sorveglianza. L'art. 2048 si
applica quando il danno è stato compiuto