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L’OGGETTO DEL CONTRATTO DI LAVORO (LA PRESTAZIONE LAVORATIVA):
Il rapporto di lavoro è un rapporto complesso risultate di due elementi: lavoro e retribuzione.
Quando si parla della prestazione di lavoro si fa riferimento alle mansioni, cioè i vari compiti e il
tipo di attività che il lavoratore è chiamato a svolgere. Le mansioni costituiscono l’oggetto della
prestazione di lavoro. L’oggetto del contratto di lavoro deve essere preciso ai sensi dell’art. 1346
c.c. La mancanza del requisito dell’oggetto causa la nullità del contratto di lavoro (art. 1418 c.c.).
Alle mansioni corrispondono qualifiche e categoria:
la qualifica è il raggruppamento di mansioni che identifica una figura professionale. Ovvero
un gruppo di mansioni che determinano una figura professionale (es. tornitore di terzo
livello).
le categorie sono definite in dottrina (non vi è una definizione legale) come entità
classificatorie più ampie. La legge, ovvero l’art. 2095 c.c. dice quali sono le categorie:
operai, impiegati, quadri e dirigenti. Bisogna stare attenti quando si raffronta la terminologia
contrattuale con quella legale.
La contrattazione collettiva utilizza una terminologia differente:
quando parla di qualifica fa riferimento alla categoria legale, ovvero operaio, impiegato,
quadro e dirigente;
quando parla di categoria fa riferimento ai livelli, alle aree e profili professionali. Es.
operaio di primo livello o prima categoria.
Il Codice civile non definisce chi è impiegato, operario o dirigente. Il legislatore è intervenuto in un
secondo momento con un r.d.l. 1825/1924, cosiddetta legge sull’impiego privato che definisce
l’impiegato come “colui che svolge attività professionale con funzioni di collaborazione (collabora
con l’imprenditore), tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione di mera
manodopera”. È impiegato per sottrazione colui che non svolge attività di mera manodopera. Colui
che svolge attività di mera manodopera è operaio.
Cosa significa l’espressione “con funzioni di collaborazione, tanto di concetto che di ordine”?
Stiamo parlando di quello che all’epoca veniva definito impiegato di concetto (ha funzioni direttive)
e impiegato d’ordine (ha funzioni esecutive). Però questi criteri di distinzione non erano rigorosi per
la giurisprudenza che si è espressa a riguardo perché non sempre nell’impresa si svolge solo
un’attività e c’è il pericolo di svolgere attività promiscue. In che modo classificare questa tipologia
di lavoratore? La giurisprudenza ha enucleato il criterio della collaborazione creditizia. Cosa
significa? Collabori all’impresa, cioè all’organizzazione della produzione sei impiegato, collabori
nella produzione sei operaio.
Come si fa a stabilire se svolgo attività promiscue? A partire dagli anni ‘70 si ha il superamento
della classica divisione tra operai e impiegati. Questa distinzione tra operaio e impiegati oggi non
c’è più. Al suo posto si è previsto l’ inquadramento unico. C’è una sola scala di classificazione unica
con una pluralità di livelli comune sia agli impiegati che agli operai. Come si fa a capire quando si
appartiene a un livello piuttosto che un altro? L’appartenenza a tali livelli è basata su declamatorie
ed esemplificazioni. Cosa sono le declamatorie? Le declamatorie definiscono le caratteristiche
generali dell’attività prestata. Cosa sono le esemplificazioni? Le esemplificazioni sono un elenco
dei diversi profili professionali a cui sono riferite un gruppo di mansioni omogene. I livelli su cosa
si basano? Sulla competenza necessaria per svolgere la mansione, le abilità e l’esperienza.
I dirigenti sono sempre stati definiti dalla giurisprudenza l’alter ego dell’imprenditore. È una sorta
di braccio destro all’imprenditore. È colui che è preposto alla direzione dell’intera impresa o di un
ramo d’impresa. È provvisto di piena autonomia decisionale nell’ambito delle direttive
dell’imprenditore. Rappresenta il motore del cambiamento e dello sviluppo dell’impresa. I dirigenti
sono sottoposti a una disciplina speciale sia positiva che negativa. Negativa: non si applicano ai
dirigenti una serie di tutele (licenziamento, orario di lavoro). Positiva: hanno una retribuzione
maggiore e hanno i fringe benefit, cioè compensi di natura non monetaria.
I quadri (art. 2095 c.c.) non sono stati concepiti dal legislatore del 1942. I quadri sono stati
introdotti in un secondo momento con la legge n. 190/1985. Si tratta di una via di mezzo tra
dirigenti e impiegati. È sotto il dirigente ma sopra l’impiegato. Il quadro svolge con carattere
continuativo funzioni di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e degli obiettivi dell’impresa. Il
quadro svolge funzioni direttive, ma non funzioni di mera manodopera. La distinzione tra quadro e
impiegato e quadro e dirigente è controversa. La Corte costituzionale dice che il quadro appartiene
alla disciplina dell’impiegato, ma ci sono casi di giurisprudenza in cui il giudice si è dovuto
esprimere per determinare l’inquadramento del lavoratore.
Mansioni di assunzione:
Il lavoratore è assunto e sa quali sono le mansioni che deve svolgere. In merito alle mansioni di
assunzione vige il principio di contrattualità, è quello che all’art. 2103 prevede che “il lavoratore
deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto”. Significa alle mansioni pattuite con
il datore di lavoro. Vi è anche un obbligo da parte del datore di lavoro di comunicare per iscritto
queste informazioni all’atto di assunzione, la legge di riferimento è il d.lgs. 152/1997. In questo
decreto di attuazione di una direttiva dell’Ue il datore di lavoro è obbligato a fornire una serie di
informazioni per iscritto al lavoratore, tra cui l’inquadramento professionale, le mansioni, la
qualifica e la categoria.
C’è una autonomia nello stipulare un contratto, il datore ha bisogno di uno che svolga una tipologia
di mansioni. Può scegliere chi vuole? No, ci sono dei limiti all’autonomia di scelta: il primo limite è
che non può discriminare. Altri limiti riguardano il titolo di studio, in quanto per alcune mansioni è
necessario garantire perizia (es. medico, infermiere). Come sono assegnate le mansioni: posizione
professionale del lavoratore, condizioni organizzative dell’azienda e del mercato del lavoro,
tipologia definita dalla contrattazione collettiva.
La disciplina del mutamento di mansioni:
Quando si parla di mutamento di mansioni si fa riferimento al potere del datore di lavoro. Il datore
di lavoro ha un potere che si articola in:
potere direttivo: consiste nella facoltà di poter decidere come organizzare la sua impresa,
quali attività far svolgere ai prestatori di lavoro;
potere di controllo;
potere disciplinare.
Il potere direttivo si organizza guardando da un lato lo jus variandi (art. 2103 c.c.) e dall’altro
guardando all’articolo 2104 del c.c. Cosa si intende con l’espressione jus variandi? Il potere di
modificare unilateralmente le mansioni di quest’ultimo durante lo svolgimento del rapporto di
lavoro. Lo jus variandi è cambiato nel tempo. Dalla versione originale del 1942 abbiamo avuto una
modifica con lo Statuto del diritto dei lavoratori (art. 13 legge 300/70) e un ultima modifica
mediante il jobs act del decreto legislativo 81/2015 che modifica l’art. 2103.
Art. 2103 versione originale:
“Il prestatore di lavoro deve essere adibito per le mansioni per cui è stato assunto. Tuttavia, se non
è contenuto diversamente nel contratto l’imprenditore può in relazione alle esigenze dell’impresa
adibire il prestatore di lavoro a una mansione diversa purché essa non importi una diminuzione
nella retribuzione o un mutamento sostanzialmente nella posizione del lavoratore”. I termini usati
sono troppo generici. Cosa si intende per mansione diversa? Dello stesso livello di inquadramento o
della stessa categoria di inquadramento? Non si sapeva. Abbiamo due garanzie: 1. purché essa non
importi una diminuzione di retribuzione; 2. purché essa non comporti un mutamento sostanziale.
La dottrina ha evidenziato molte perplessità perché il datore di lavoro poteva modificare le
mansioni del lavoratore in modo incontrollato. Quando la modifica era definita consensuale, ma non
lo era in realtà, l’articolo non andava a vantaggio del lavoratore. Abbiamo una discrezionalità
imprenditoriale ampia e incontrollata. Ma negli anni ‘70 abbiamo una modifica dell’art. 2103 per
mezzo dello Statuto dei lavoratori.
Art. 2103 anni ‘70:
“Il prestatore di lavoro deve essere adibito per le mansioni per cui è stato assunto o a quelle
corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito (mobilità verticale) o
mansioni equivalenti alle ultime svolte (mobilità orizzontale)”. Ora si dice mansioni superiori o
equivalenti. Ma anche qui è troppo generico.
Cos’è l’equivalenza? Come una mansione è uguale all’altra? Si è espressa la giurisprudenza e la
dottrina. L’equivalenza è stata osservata con riferimento alla retribuzione, quindi sono mansioni
equivalenti quelle con lo stesso trattamento retributivo, o vista come equivalenza professionale, cioè
sono mansioni equivalenti quelle appartenenti allo stesso livello.
Nel caso di mansioni promiscue? Sono adibito a nuove mansioni ma sono diverse, delle mansioni
appartengono a un livello e le altre a un altro livello. Cosa faccio? La giurisprudenza ha usato il
criterio della prevalenza, la mansione svolta con più frequenza è quella con la quale si è inquadrati.
La criticità dell’articolo è che il concetto di equivalente appare rigido e statico soprattutto in caso in
cui il dipendente abbia bisogno di essere adibito a mansioni di livello inferiore.
Cosa accade se il datore di lavoro non rispetta la norma? Ogni patto contrario a questo articolo è
nullo. Il lavoratore può essere adibito a categorie di lavoro superiore e questo comporta una
retribuzione maggiore. Perché succede questo? Maggiori responsabilità. La Costituzione all’art. 36
dice che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro
svolto.
Cosa accade se vengo adibito a mansioni superiori? Nel caso di assegnazioni a mansioni superiori il
prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene
definitiva ove la medesima non abbia a