vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Nel prossimo articolo, l'autore preannuncia che affronterà la
del linguaggio, ponendo l'accento su come il linguaggio (e i linguaggi)
discorso dialettico
siano il risultato di un tra le esistenze. Il linguaggio,
dunque, non è visto solo come uno strumento di comunicazione, ma
fenomeno ontologico
come un che sorge dalla relazione e dallo scontro
tra esseri e realtà. Questo suggerisce che anche il linguaggio sia parte
integrante della comprensione dell'essere e del suo tempo, poiché la
parola e il discorso sono indissolubilmente legati all'esistenza stessa.
Introduzione al problema: le possibili connessioni tra il concetto di
tempo e la sua identificazione
Nel suo saggio Ousia e grammé, Jacques Derrida affronta il tema centrale
di Essere e Tempo di Heidegger, riconoscendo che la concezione comune
del tempo è stata a lungo il bersaglio principale nella critica all'ontologia
classica. Secondo Derrida, questa ontologia non può essere distrutta
senza esaminare attentamente il rapporto che essa intrattiene con il
tempo. Da Aristotele a Hegel, la storia dell'ontologia è stata caratterizzata
da un'idea del tempo che ha influenzato la comprensione dell'essere. In
particolare, Derrida analizza come Heidegger, partendo da Aristotele,
sostenga che l'essere è determinato dalla nozione di ousia, o sostanza,
che deriva dalla concezione del tempo come presenza e come "presente"
(Gegenwart).
La centralità del presente determina l'essere come sostanza, cioè ciò che
rimane stabile e duraturo nella sua presenza. Questa visione del tempo è
quella espressa da Aristotele nella Fisica, che definisce il tempo come il
ritmo del mondo naturale. Secondo Heidegger, anche Hegel non avrebbe
fatto altro che continuare questa tradizione, fondando la sua concezione
del tempo sulla stessa visione aristotelica. Tuttavia, Derrida propone
un'altra prospettiva, suggerendo che nel testo aristotelico esistano tracce
di un'idea del tempo che sfida questa concezione centrata sul presente.
La domanda che Derrida solleva è se, all'interno della tradizione
ontologica, ci siano già segni di una sua possibile distruzione, indicata
anche dai maestri stessi dell'ontologia. In questa stessa linea, possiamo
chiedere se il tempo hegeliano sia davvero una concezione basata sul
dominio del presente, o se in realtà ci sia altro.
Derrida, riprendendo il testo di Heidegger, ci invita a cercare queste
tracce nel pensiero di Hegel. Quest'ultimo, infatti, non riduce il tempo a
una mera "metafisica della presenza", ma cerca di mettere in discussione
questa visione tradizionale. Una delle frasi più citate di Hegel, che trova
posto alla fine della Fenomenologia dello Spirito, riguarda l'eliminazione
del tempo. Per comprendere questa concezione, è utile ritornare al passo
che esamina come il tempo sia intrinsecamente legato al concetto, e
come, quando lo spirito afferra il suo concetto puro, il tempo stesso
venga eliminato.
Nel passo, Hegel afferma che “il tempo è il concetto stesso”. In questa
affermazione, Hegel non sta semplicemente analizzando il concetto di
tempo nel contesto della filosofia della natura, ma sta cercando di far
convergere il concetto e il tempo. Qui, il tempo viene visto come il
concetto che si presenta alla coscienza come una "intuizione vuota", e lo
spirito si manifesta nel tempo fino a quando non arriva a comprendere il
suo concetto puro, cioè finché non supera e cancella il tempo stesso.
Il tempo, dunque, viene concepito come qualcosa di esterno al Sé, che
non è ancora stato afferrato dal concetto, ma è soltanto intuito. Quando
il concetto giunge alla piena autoconsapevolezza, il tempo perde la sua
forma e si dissolve in un'intuizione che è, a sua volta, concepita dal
concetto. Questo processo suggerisce una concezione del tempo che non
può essere ridotta a una visione banale e volgare del tempo, come quella
che metteva in evidenza Heidegger, ma che anzi invita a riconsiderare il
tempo stesso come parte di una dialettica più profonda tra concetto,
spirito e il Sé.
Il concetto di tempo in Hegel e la lettura di Kojève
Nel suo lavoro, Hegel definisce il tempo come il concetto stesso, che
esiste e si rappresenta alla coscienza come un’intuizione vuota. Se
consideriamo la frase con un diverso ordine delle parole, il significato
potrebbe emergere con maggiore chiarezza: Der Begriff selbst, der da ist,
ist die Zeit, che in italiano può essere tradotto come “Il concetto stesso,
che c’è, è il tempo”. Questo ordine grammaticale, con l’uso delle virgole,
evidenzia l’identificazione tra concetto e tempo, ma suggerisce anche che
tale identificazione è relativa. In altre parole, solo il concetto che “c’è”
può essere uguale al tempo, lasciando implicito che esista un altro tipo di
concetto che non appartiene al dominio temporale. Se invece si
omettono le virgole, sembra emergere una visione assoluta, in cui
concetto e tempo sono identificati senza alcuna ambiguità. In questo
caso, il tempo sarebbe il concetto stesso che esiste. La domanda che
nasce da questa riflessione è: si può parlare di un’identificazione assoluta
o relativa tra concetto e tempo? E quali conseguenze interpretative
avrebbe questa identificazione?
L’uomo e la morte naturale del tempo (una lettura di Kojève)
Un primo interprete dell’identificazione tra concetto e tempo è stato
Kojève, nelle sue celebri lezioni su Hegel. Per Kojève, questa
identificazione è una chiave fondamentale per comprendere la filosofia
hegeliana. Il passo sulla connessione tra tempo e concetto, tratto dalle
ultime pagine della Fenomenologia dello Spirito, rappresenta, secondo lui,
il nucleo di tutta la filosofia di Hegel. Kojève sostiene che senza questa
equiparazione non è possibile spiegare la storia umana. La sua lettura,
seppur antropocentrica, fornisce interessanti spunti da esaminare.