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L’arco di Tito
Realizzato per la vittoria di Tito sigli ebrei.
Era inserito nelle mura di un castello medievale, costruito sulle rovine del centro di Roma. L’arco fungeva
da porta di ingresso al castello. Il muro in parte viene tagliato, per cui l’arco si presentava come un
frammento incastonato in un muro tagliato.
Gisors dà delle indicazioni per il restauro dell’arco.
Per il restauro venne incaricato Stern. L’obiettivo era di restituite l’aspetto originario, il problema però era
che non si sapeva con certezza quale fosse.
C’erano state delle ricostruzioni: ad esempio gli architetti francesi quando venivano a studiare le rovine
antiche a Roma, da queste dovevano supporre quale fosse lo stato completo dell’edificio; realizzavano delle
restituzioni della struttura nella sua forma completa.
Anche per l’arco c’era stato un intervento del genere, anche se era italiano, parliamo dell’ipotesi Guattani
(1805); dai disegni realizzati possiamo vedere come secondo Guattani dovesse essere la forma originale
dell’Arco che presentava quindi un fornice, due pilastri con una nicchia al centro ed un ordine attico al di
sopra. Non si sapeva però come finissero le parti laterali.
Stern decise che per capirne l’andamento, si dovessero fare degli scavi archeologici, al fine di trovare il
basamento e capire quindi quant’è largo l’arco.
Da questi scavi Stern si rese conto che il disegno di Guattani non corrispondeva alla forma originale
dell’arco; infatti, questo si concludeva in corrispondenza della colonna (non presentava quindi lo spazio
dopo la colonna come possiamo vedere nel disegno di Guattani). Ciò era dimostrato da quella che viene
definita evidenza archeologica (la prova fisica, materiale).
Il problema ora era l’altezza dell’arco. Stern pensò che l’arco potesse essere simile agli archi di Ancona e
Benevento; quindi, per similitudine con archi che si ritengono analoghi, si arriva alla realizzazione della
forma completa.
Valadier studia, disegna, fa un progetto molto più preciso di quello di Guattani, che ricordiamo essere una
restituzione, con la stessa ipotesi di similitudine fatta da Stern.
L’arco di trionfo è un monumento che racconta una vittoria, non è un monumento che si vive.
È un monumento che si viveva nell’osservazione di un oggetto urbano, dall’esterno; quindi, per sua
natura erano strutture isolate per poter essere osservati al meglio.
Nella storia del restauro c’è stato un momento in cui per valorizzare i monumenti restaurati, per essere
ampiamente visti, venivano isolati. Ciò era dovuto anche al fatto che il tessuto edilizio e la stratificazione
della città che si era costruita intorno non ne consentiva la visione da lontano.
Il restauro dell’arco di Tito fa storia. Un importante storico dell’architettura fracenese, Quatremere de
Quincy che scrive il “Dizionario dell’architettura”, andrà a definire la voce restauro.
Restaurare è dare unità alla forma, ma riconoscere la reintegrazione dalle parti autentiche come, ad
esempio, è stato fatto a Roma con l’Arco di Tito.
Si trova un bassorilievo molto importante di Roma antica, che fa vedere un arco che per alcuni è stato
interpretato come l’Arco di Tito. Questo è ben diverso dal restauro di Valadier, ma è molto simile ad un
altro arco, quello di Orange.
Inoltre, ci sono degli studiosi che nel 1929, basandosi sullo studio sulle proporzioni vitruviane
(nell’architettura classica c’è sempre questo rapporto di proporzionalità tra le varie parti della struttura),
arrivarono alla conclusione che l’arco in origine avesse un aspetto diverso rispetto a quello odierno.
Abbiamo quindi un monumento che non è come l’arco originale; la figura unitaria realizzata nell’Ottocento,
non è la forma originaria che doveva essere quindi molto diversa.
L’arco è quindi un monumento rappresentativo del restauro ottocentesco (restauro nel 1821 – sebbene
avesse avuto Gisors nel periodo del decennio francese, viene completato solo più tardi, col ritorno dei
papi).