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Versi
Ulisse racconta di come convinse i suoi compagni a varcare il limite.
103-142. Ulisse e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo,
verso ovest, fino a raggiungere lo stretto di Gibilterra – le colonne d’Ercole.
Dopo aver esortato e convinto i suoi compagni, attraverso un piccolo ma
convincete discorso, a varcare quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a
raggiungere la montagna del Purgatorio. In quel momento una tempesta si
alzò dal mare e colpì la prua della nave, facendola ruotare tre volte su se
stessa e, infine, inabissare.
La colpa: i consigli fraudolenti
Il peccato di cui si è macchiato Ulisse non lo rende simile alle bestie, a
differenza degli altri peccati
Nel XXVI Canto dell’Inferno sono punite le anime dei consiglieri
fraudolenti, coloro cioè che hanno posto il loro ingegno non a
servizio del bene e della virtù cristiana, bensì dell’inganno. Siamo
di fronte a una tipologia di peccatori verso cui Dante mostra una certa
riverenza – in particolar modo, come abbiamo visto, nei confronti della
figura di Ulisse. È un peccato di intelligenza che, proprio in virtù di questa
sua peculiarità, non fa perdere all’essere umano le proprie prerogative e
non lo induce così a divenire simile ad una bestia.
Rispetto agli altri canti dell'Inferno non c'è l'atroce sofferenza. A prevalere è
una certa compostezza
Ovviamente questo non attenua la colpa dei consiglieri fraudolenti – ci
troviamo comunque nell’ottava Bolgia, uno dei punti più bassi dell’universo
infernale – ma dona al Canto XXVI dell’Inferno un’atmosfera
sensibilmente diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati
in precedenza. Regna una certa compostezza e, di conseguenza, mancano
del tutto gli elementi di disprezzo, di ripugnanza, e anche di atroce
sofferenza che caratterizzano l’intero Inferno.
Neanche la pena, in questo canto, è così terribile
In quest’ottica neanche la pena ci appare così atroce, né degna di una
minuziosa descrizione da parte dell’autore: i consiglieri fraudolenti sono
avvolti in lingue di fuoco, sottostando per analogia alla legge del
contrappasso. Infatti, come essi in vita attraverso la lingua (cioè la
parola) hanno espresso i loro ingannevoli consigli, così nell’Aldilà hanno
assunto l’aspetto di lingue di fuoco.
Se la figura di Ulisse arriva nella nostra cultura
:
La morte di Ulisse
prevalentemente dall’Odissea, è altrettanto vero che il poema omerico si
chiude con il ritorno di Ulisse ad Itaca, tra le braccia della
paziente Penelope. Una conclusione confortante, che non lascia spazio –
almeno all’interno dell’opera di Omero – ad ulteriori avventurosi sviluppi
e che, in linea di massima, non viene contraddetta dalla maggior parte dei
poeti e studiosi greci, romani e bizantini.
Come mai allora Dante ci pone di fronte ad un nuovo viaggio, che
sarà fatale all’astuto eroe? C’è innanzitutto un dato che ci viene offerto
dall’Odissea stessa: quando Ulisse discende agli inferi, l’indovino Tiresia gli
confida che, dopo il ritorno ad Itaca, egli riprenderà a viaggiare e che
troverà la morte – che sarà per lui dolce – in mare.
Dante riprende da Ovidio il tema della morte in mare di Ulisse
È altrettanto vero, però, che Dante non conosceva il greco e che quindi era
impossibilitato a leggere il poema omerico; è plausibile che egli
riprendesse quindi il tema della morte di Ulisse in mare da
Ovidio, il quale – nell’Ars Amandi – ci racconta di una ninfa Calipso che
presagisce una sfortunata fine dell’eroe acheo. Anche Seneca, nelle
Epistulae ad Lucilium, parla di un possibile viaggio oceanico del
protagonista dell’Odissea. È probabilmente da queste opere, e dalla
letteratura medievale, che Dante prende le mosse per l’elemento
narrativo della morte di Ulisse presente nel Canto XXVI dell’Inferno.
Qui troviamo puniti i consiglieri di frode
Siamo nell’ottava Bolgia. Qui sono puniti i consiglieri di frode, e in
particolar modo la narrazione si concentra su una celebre anima che si è
macchiata di questo peccato: stiamo parlando di Ulisse, l’eroe acheo
colpevole non solo di aver ordito quegli inganni che ben conosciamo
grazie ai poemi omerici (l’ideazione del cavallo di Troia, ad esempio), ma
anche di aver trascinato la sua compagnia di amici alla morte, per mezzo
di una persuasiva orazione. Ulisse incarna non più soltanto l’astuto
ingannatore, bensì l’uomo di ogni tempo che dedica l’intera
propria vita alla conoscenza. Qual è, dunque, la sua colpa? – ci si
potrebbe chiedere. Certo, c’è la questione dell’inganno (come dimenticare
l’escamotage del cavallo di Troia?), ma il peccato commesso da Ulisse
non si limita a questo: l’eroe acheo trova la morte proprio nel
momento in cui sta cercando di oltrepassare i limiti posti al
sapere umano, raffigurati nelle Colonne d’Ercole. Ulisse vuole superare
i limiti imposti al sapere umano; il folle volo avviene al di fuori della
Grazia Divina e, per tale motivo, si rivela un fallimento.
Figure retoriche nel Canto XXVI dell’Inferno
vv. 25-32, «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, / nel tempo che colui che
’l mondo schiara / la faccia sua a noi tien meno ascosa, // come la mosca
cede alla zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dov’e’
vendemmia e ara: // di tante fiamme tutta risplendea / l’ottava bolgia»:
similitudine
v. 28, «mosca»: sineddoche (singolare per il plurale)
v. 28, «zanzara»: sineddoche (singolare per il plurale)
vv. 34-41, «E qual colui che si vengiò con li orsi / vide ’l carro d’Elia al
dipartire, / quando i cavalli al cielo erti levorsi, // che nol potea sì con li
occhi seguire, / ch’el vedesse altro che la fiamma sola, / sì come nuvoletta,
in sù salire: // tal si move ciascuna per la gola / del fosso»: similitudine
v. 34, «colui che si vengiò con li orsi»: perifrasi per indicare Eliseo
vv. 80-81, «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o
poco»: anafora
v. 101, «legno»: sineddoche per indicare la nave
v. 106, «vecchi e tardi»: endiadi
vv. 114-115, «a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del
rimanente»: perifrasi per indicare la poca vita rimasta
v. 125, «de’ remi facemmo ali al folle volo»: metafora per esprimere la
temerarietà del viaggio di Ulisse
v. 138, «legno»: sineddoche per indicare la nave