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Commento al canto XXVI inferno Pag. 1
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Estratto del documento

Virgilio accetta la richiesta di Dante ma gli comunica che

sarà lui a parlare con la fiammella poiché i personaggi

all’interno sarebbero meglio disposti a parlare con qualcuno

del loro tempo, più vicini a loro. Così Virgilio fa ad Ulisse la

domanda che ha in mente Dante: “dove, per lui, perduto a

morir gissi” (v. 84), ovvero chiede dove sia morto Ulisse.

Dante conosce Ulisse grazie alle traduzioni latine (non

conosce il greco) che lo raffigurano come un uomo astuto e

ingannatore, soprattutto attraverso l’uso della parola ma

anche come un uomo audace e desideroso di conoscere:

viene condannato all’Inferno per la sua prima caratteristica

e gli cede a lungo la parola perché possa lui stesso esibire

la seconda (vv. 97-99) che sembra quasi far dimenticare la

prima. Nei versi precedenti Virgilio aveva già esposto a

Dante i maggiori inganni di Ulisse, ma nel corso del canto

questi vengono quasi dimenticati perché si è totalmente

presi dal discorso di Ulisse che dimostra la sua abilità con la

parola. Il fatto che Ulisse sia avido di conoscenza lo

avvicina particolarmente a Dante autore: già nel Convivio

aveva esaltato il desiderio di conoscenza dell’uomo e la

possibilità di soddisfarlo con le proprie forze, ma nella

Commedia è una caratteristica superata. Nel canto, il

Dante personaggio è vicino a Ulisse:

1. Essi sono entrambi viaggiatori;

2. Sono viaggiatori che vanno oltre il mondo conosciuto

(Dante raggiunge il paradiso, mentre Ulisse vuole

superare le Colonne D’Ercole);

3. Entrambi arrivano al Purgatorio, Ulisse per mare, Dante

attraverso il corpo di Lucifero;

4. Ulisse fa naufragio e Dante, all’inizio del suo viaggio, si

rappresenta come un naufrago. Quest’ultima

somiglianza ci evidenzia in realtà una differenza tra i

due: il naufragio di Ulisse è definitivo e concluso con la

morte e l’inferno, mentre quello di Dante è il punto di

partenza del suo viaggio che si concluderà con la

salvezza e la visione di Dio. Ulisse vede la montagna

del Purgatorio solo da lontano, mentre Dante ci sale e

raggiunge il Paradiso.

All’interno della Commedia, per ribadire ancora le

differenze e le somiglianze tra Dante e Ulisse, sono inseriti

dei richiami di questo canto, resi tale grazie all’utilizzo delle

stesse parole e delle stesse rime: così quando Dante è sulla

riva del Purgatorio pensa di trovarsi per acque che nessuno

mai ha navigato, ma non è realmente così, Ulisse ha già

percorso quelle acque, allora il poeta si corregge dicendo

che quelle acque non sono state navigate da nessuno che

sia riuscito a tornare a casa. La differenza sostanziale è che

Dante, non come Ulisse, ha lasciato che il suo ingegno

venisse guidato da qualcuno (Virgilio, Beatrice, San

Bernardo) proprio per non prendere la strada sbagliata:

ecco una sostanziale differenza tra i due personaggi, Ulisse

non si fa guidare da nessuno, ha anzi la pretesa di essere

lui stesso la guida dei suoi compagni.

Occorre soffermarci sul discorso di Ulisse (l’”orazion

picciola” che l’eroe greco fa per convincere i suoi compagni

a valicare il confine delle colonne d’Ercole) per capire come

sia stato condannato nel cerchio dei fraudolenti,

nonostante tutto ciò che dica si soffermi sul suo viaggio e

sul suo essere uomo di conoscenza: il picco del discorso si

trova nei vv. 119-120 (“considerate la vostra semenza:/

fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e

canoscenza”): qui Ulisse sottolinea la differenza tra uomo e

animale, ovvero il desiderio di raggiungere la perfezione

morale e intellettuale, ed è così che convince i suoi

compagni, li rende affamati di conoscenza e li sprona a

continuare il viaggio. Ulisse aveva già abbandonato le sue

virtù di uomo, precedentemente a questa tappa del viaggio

egli aveva lasciato tutti i suoi affetti più cari (il figlio,

l’anziano padre e sua moglie Penelope, vv. 94-96)

costituendo così la figura dell’antieroe (a differenza di Enea

che, dopo la caduta di Troia, fugge dalla città in fiamme

portando sulle spalle il padre, per mano al figlio e tentando

invano di salvare la moglie), ne consegue che il discorso

fatto ai compagni di viaggio è fraudolento e ingannatore

perché Ulisse parla di una virtù che lui non possedeva più.

All’inizio del discorso Ulisse chiama i suoi compagni

“fratelli”: ma un guerriero e un principe non può

considerare compagni dei semplici rematori che sono solo

degli strumenti per raggiungere il suo scopo. Ulisse ha la

pretesa di diventare una guida per loro ma egli non può

guidare nessuno perché non è a sua volta guidato da

qualcuno e non è guidato perché non vuole considerare la

sua dipendenza da altri, tranne alla fine quando il mare si

richiude sopra di lui.

"O frati," dissi, "che per cento milia

perigli siete giunti a l’occidente,

a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente

non vogliate negar l’esperïenza,

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A.A. 2024-2025
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Erika1997_ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Pierangeli Fabio.