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I BES NELLA SCUOLA ITALIANA
La Costituzione Italiana, all’Articolo 34, comma 1, sancisce il libero
accesso all’istruzione scolastica, senza alcuna discriminazione; in linea
con quanto sancito dalla nostra Costituzione, la sentenza n. 80 della
Corte Costituzionale delinea anche il quadro normativo degli
insegnanti di sostegno, perché gli alunni con handicap devono essere
aiutati a raggiungere i propri obiettivi sociali, personali e scolastici. Il 5
febbraio 1992, viene emanata la Legge n. 104 (“Legge-quadro per
l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate”).
Nel 2012 il Ministro Profumo con la Direttiva Ministeriale definisce gli
“Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e
organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Non si parla più
solo di certificazione di handicap, ma di “svantaggio sociale e
culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi
specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della
lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.
L’obbligo di certificazione per i quadri di disabilità e DSA, rimane ed è
anche a tutela del singolo poiché proprio grazie alla certificazione
diagnostica si ha diritto ad una didattica personalizzata (Legge
104/1992; Legge 170/2010 – DM 5669/2011).
Facendo una sintesi, quindi, rientrano nella tipologia “Alunni con
disabilità certificata secondo la L. 104/92”, tutti i soggetti che
presentano disabilità intellettiva, disabilità motoria, disabilità
sensoriale e disturbi neuropsichiatrici; tali soggetti richiedono un Piano
Educativo Individualizzato come strumento compensativo. Fanno
parte, invece, della tipologia “Alunni con DSA certificati secondo la L.
170/2010”, tutti i soggetti che presentano diagnosi di dislessia
evolutiva, disortografia, disgrafia e discalculia; è previsto per loro l’uso
di un Piano Didattico Personalizzato.
Infine, gli “Alunni con altri Bisogni Educativi Speciali” (DM 27/12/2012
e CM 8/2013) sono tutti quei soggetti che presentano altre tipologie di
disturbo non previste nella L. 170/2010, alunni con iter diagnostico di
DSA incompleto, soggetti con svantaggio socioeconomico e con
svantaggio socioculturale; in questi casi è previsto un Piano Didattico
Personalizzato se deciso dal Consiglio di classe. Si passerà ora a
spiegare brevemente il PEI, il PDP e il PAI.
Piano Educativo Individualizzato (PEI)
Piano Educativo Individualizzato
Il parte dalle caratteristiche
dell’alunno, dai suoi punti di forza e di debolezza. La stesura del PEI è
compito dell’insegnante di sostegno che segue il ragazzo, insieme al
corpo docente per una presa in carico globale del soggetto. Si parte
sempre dalla diagnosi funzionale educativa del soggetto che permetta
di pensare e strutturare attività e laboratori idonei all’alunno.
Successivamente e a partire dai dati emersi dalla diagnosi funzionale,
si passa al profilo dinamico funzionale ossia si stilano obiettivi a breve,
medio e lungo termini per la didattica dell’alunno. Possiamo quindi
dire che il PEI si compone di due fasi a partire dalla diagnosi del
soggetto; risulta essere molto efficace per tutti i soggetti certificati ai
sensi della L. 104/92.
Piano Didattico Personalizzato (PDP)
Per gli alunni che presentano invece un Disturbo Specifico
dell’Apprendimento (DSA), la scuola redige un PDP nel primo trimestre
scolastico, ossia un documento contenente dati anagrafici dell’allievo
e diagnosi, attività didattiche personalizzate ed individualizzate,
strategie compensative e strumenti compensativi usati, verifiche
personalizzate (MIUR, 2011; pag. 8)33; questi dati devo essere
considerati per ogni disciplina coinvolta dal disturbo diagnosticato, ed
è questa la differenza sostanziale con il PEI. Mentre nel PEI la
programmazione è fatta per ogni disciplina, nel PDP la
programmazione è “ad personam” solo per le discipline che rientrano
nel disturbo diagnosticato.
Ovviamente, anche il PDP deve tener conto dei punti di forza e di
debolezza dell’allievo e sebbene, per legge, la scuola può anche non
avvalersi dell’aiuto della rete nel caso di PDP, è sempre auspicabile la
collaborazione tra specialisti e scuola.
Piano Annuale Inclusività (PAI)
A fine anno scolastico, come da Direttiva MIUR 27/12/2012, C.M. n°
8/1334, il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione, redige il Piano Annuale di
Inclusività che deve poi essere approvato dal Collegio dei Docenti. Il
PAI ripercorre tutti gli interventi inclusivi messi in pratica durante
l’anno scolastico, e fa luce soprattutto sui punti di forza e di debolezza
emersi. Si cita qui quando detto dal MIUR (Nota MIUR del 27/06/2013)
in relazione a tale documento: “il PAI non va inteso come un ulteriore
adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa
contribuire ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità
educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in
relazione alla qualità dei risultati educativi, per creare un contesto
educante dove realizzare concretamente la scuola per tutti e per
ciascuno”.
AUTISMO “sindrome comportamentale causata
Per autismo intendiamo quella
da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con
esordio nei primi tre anni di vita”. Per le aree che risultano
compromesse da tale sindrome – capacità di stabilire relazioni con gli
altri, interazione sociale, abilità nel comunicare idee e sentimenti – si
tratta di una “disabilità permanente” anche se l’espressione delle
caratteristiche cambia nel tempo.
I disturbi che fanno parte dello “spettro autistico” si presentano in
modo variabile: in alcuni casi si può parlare di disabilità, ma in altri –
come ad esempio la Sindrome di Asperger è corretto parlare di
diversità.
Ad oggi il mondo accademico ancora non sa dare una risposta alle
cause dell’autismo, anche in ragione del fatto che vi sono rapporti tra
mente e cervello, che rendono difficile dare voce al classico modello
usato in medicina, ossia eziologia- anatomia- patogenesi-
sintomatologia.
Inoltre, l’autismo è considerato “la via finale comune di situazioni
patologiche di svariata natura e con diversa etiologia”.
Nel tentare di dare una risposta all’eziopatogenesi dell’autismo,
sicuramente risulta importante la componente genetica e l’età
genitoriale al momento del concepimento del bambino. Non si è in
grado, ad oggi, di prevedere il rischio di autismo, tranne che in alcune
sindromi neurologiche congenite in cui l’autismo si presenta come un
disturbo associato; si parla in tal caso di Sindrome dell’X fragile, di
sclerosi tuberosa, ipomelanosi di Ito, neurofibromatosi, gigantismo
cerebrale. Sono minori i casi in cui l’autismo si presenta come
conseguenza di fattori ambientali ossia intossicazioni da talidomide,
infezione intrauterina da citomegalovirus o uso di farmaci
anticonvulsionanti. Ricerche scientifiche sottolineano come non vi sia
la presenza di un solo gene a determinare l’autismo, ma si tratta di
una serie di geni – soprattutto sul cromosoma 7,2, 16,1743- che
“conferiscono vulnerabilità verso la comparsa del disturbo. Ciò non
sminuisce il ruolo ambientale legato al concetto di vulnerabilità,
perché l’ambiente incide sul genotipo in modo diretto ed è in grado di
condizionarne l’interazione genetica; incide tuttavia anche in modo
indiretto facendo emergere un “equipaggiamento” neurobiologico
inadeguato a livello genetico per la programmazione e la
metabolizzazione di stimoli che normalmente arrivano al sistema
nervoso centrale.
Criteri diagnostici e strumenti di valutazione: DSM –IV-
TR e DSM 5
Il DSM-IV-TR (APA, 2002) definisce il disturbo autistico attraverso una
triade sintomatologica, di seguito riportata in forma integrale:
– “Compromissione qualitativa della comunicazione: ritardo o totale
mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato senza tentativi di
trovare forme comunicative alternative o, se presente un linguaggio
adeguato, compromissione nelle capacità di iniziare e sostenere una
conversazione, uso di linguaggio stereotipato/ripetitivo, mancanza di
giochi di simulazione o di imitazione sociale”.
– “Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e
stereotipati: anomali interessi ristretti e stereotipati, sottomissione
rigida a rituali specifici, manierismi motori, stereotipati e ripetitivi”.
– “Compromissione qualitativa dell’interazione sociale:
compromissione nell’uso di comportamenti non verbali come la
mimica facciale, gestualità, posture, sguardo diretto”.
Nell’ICD-10 (OMS, 1992) si definisce autismo infantile quella sindrome
caratterizzata dalla presenza – prima dei tre anni di vita- di un deficit
nello sviluppo, nonché un deficit nelle aree comunicative e del
comportamento e dell’interazione sociale. Il comportamento si mostra
stereotipato e ripetitivo. A ciò si riscontrano spesso anche
problematiche non specifiche come deficit nella gestione della rabbia,
aggressività anche verso sé stessi, fobie, disturbi dell’alimentazione e
del sonno. Nell’ICD-10 viene anche messa in rilievo la distinzione tra
autismo tipico e sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e
movimenti stereotipati.
Nel DSM-IV-TR il Disturbo Autistico e il Disturbo Pervasivo dello
Sviluppo Non Altrimenti Specificato (incluso l’Autismo Atipico), si
collocano all’interno dei Disturbi nell’Infanzia, Fanciullezza o
nell’Adolescenza.
Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (incluso
l’Autismo Atipico)
“Questa categoria dovrebbe essere usata quando vi è una grave e
generalizzata compromissione dello sviluppo dell’interazione sociale
reciproca associata con una compromissione delle capacità di
comunicazione verbali e non verbali o con la presenza di
comportamento, interessi o attività stereotipati, ma non risultano
soddisfatti i criteri per uno specifico Disturbo Pervasivo dello Sviluppo,
la Schizofrenia, il Disturbo Schizotipico di Personalità o il Disturbo di
Evitamento di Personalità. Tale categoria include l’autismo atipico
ossia un quadro che non soddisfa i criteri per il Disturbo Autistico per
l’età tardiva di insorgenza, la sintomatologia atipica o per