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Quanto al lineare, sono soprattutto gli spazi interni ad essere contrassegnati da
questo tipo morfologico. Le opere principali del Brunelleschi, salvo qualche
eccezione, sono tutte conformazioni di interni, contrassegnate appunto da elementi
lineari: anzitutto la struttura in pietra serena (quella ingabbiatura di colonne, archi,
pennacchi, linee d’imposta delle cupole, il loro trattamento a cerchi concentrici, a
spicchi, a lacunari, ecc.) che si staglia contro il bianco delle interni superfici piane;
ancora lineari e con lo stesso effetto di scuro su chiaro sono gli elementi della
plastica minore: le cornici delle finestre, degli oculi, delle nicchie, ecc. Il linearismo
brunelleschiano è così compiuto architettonicamente che rifiuta ogni contaminazione
con la scultura e la pittura. Nella visione del Brunelleschi, la folla delle immagini
affrescate nella chiese trecentesche doveva sembrare qualcosa che creava disordine
o, quanto meno, mascherava la schiettezza dell’impianto architettonico. Ad una
architettura come la sua, basata sulla commensurabilità, sui rapporti dimensionali
classici, sul già ricordato gioco delle pietre scure, incarnante la geometria della
prospettiva, contro i muri intonacati in bianco, non si addicevano i colori, il racconto e
gli illusori spazi prodotti dalle immagini pittoriche. Egli accetta l’apporto della
terracotta invetriata di Luca della Robbia, purché concentrato in apposite e distaccate
forme geometriche, ossia gli astratti tondi collocati in funzione architettonica.
Conseguenza delle menzionate caratteristiche del linguaggio lineare è la stessa
tipologia edilizia delle opere che vi appartengono. Il lineare s’addice alle chiese,
segnatamente a quelle basilicali; la suddivisione del loro spazio interno in più navate,
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la loro intercomunicabilità visiva, viene realizzata nel modo migliore dagli esili
sostegni verticali e dal ritmico andamento delle teorie di archi su colonne. Questa
combinazione che possiamo considerare il “sintagma” più tipica dello stile lineare, si
può dire che quasi da sola conformi una vasta tipologia architettonica: quella delle
sale ipostili e delle biblioteche, dei chiostri, dei cortili dei palazzi. Notiamo per inciso
che il palazzo fiorentino del Quattrocento, un modello che rimarrà invariato fino
all’Ottocento, sembra una sintesi dei primi due tipi morfologici adottati per costruire il
nostro schema di esposizione storiografica. Infatti, mentre all’esterno l’edificio è un
volume chiuso e bloccato, all’interno è tutto un comporsi di portici, di logge e grandi
aperture di stampo prettamente lineare.
Quanto alla morfologia del volumetrico, per la sua descrizione basta in gran parte
approfondire ciò che abbiamo già notato: Brunelleschi dall’antico trae termini e regole
combinatorie, l’Alberti preleva, come abbiamo già visto, intere frasi, brani di
architettura il cui inserimenti in una fabbrica nuova non può che essere effettuato per
via volumetrica. Abbiamo anche ricordato il suo ridimensionamento della prospettiva
nel campo della progettazione architettonica, per cui coerentemente non vi sono
strutture a scheletro incarnanti il linearismo della prospettiva. La tipologia volumetrica
inoltre, ricca di citazioni e di brani già elaborati, sembra trascurare la linea e
articolarsi per sistemi aggregativi di masse; il modello ligneo è il luogo d’elezione
dove nasce questo gusto architettonico. Ancora, mentre la tendenza lineare può
contare sulle presenze virtuali (ad esempio quando un interno, pur essendo privo di
un esterno architettonicamente valido, ne suggerisce tuttavia, mediante appunto una
ideale costruzione prospettica, la eventuale forma), la tendenza volumetrica deve
necessariamente basarsi sul tangibile gioco di piani e della stereometria che essi
determinano. Volendo fissare altre invarianti del tipo morfologico volumetrico,
vediamo a quali tipologie edilizie esso s’addice in modo particolare.
Nel campo dell’architettura religiosa, volumetriche sono in genere quelle chiese libere
su ogni lato, la cui immagine prevalente è la loro vista esterna, contrassegnata
appunto dalle masse volumetriche. Dalla tipologia del palazzo rinascimentale
abbiamo già che essa deve rispettivamente al lineare ed la volumetrico, qui mette
conto accennare al ruolo che il suo volume esterno gioca nella conformazione degli
ambienti urbanistici.
Quando alle opere definite segniche (la parole è palesemente tratta dalla semiologia
e in particolare dalla definizione di segno architettonico da noi proposta altrove), esse
si caratterizzano per presentare una tangibile corrispondenza fra gli invasi interni e la
volumetria esterna. Il legame biunivoco, senza interferenze, tra invaso ed involucro è
tale che, stando all’interno di una di queste fabbriche, si percepisce
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inequivocabilmente tutta la loro conformazione esterna e, stando al di fuori, si
percepiscono tutte le articolazione degli spazi interni: nella tipologia delle chiese: la
diversa latezza delle navate, la presenza del transetto, l’elevarsi delle cupole in punti
definiti; in quelle dei palazzi: il rapporto fra pieni e vuoti, la presenza delle logge, le
rientranze e le sporgenze che rispecchiano la forma ed il tipo degli ambienti interni.
Beninteso, il binomio interno/esterno, ovvero invaso/involucro è presente
nell’architettura di tutti i tempi, costituendone la struttura basilare, com’è riconosciuto
da molti autori e nel modo più esplicito da Cesare Brandi; tuttavia in alcune epoche,
tra cui quella rinascimentale e cinquecentesca in particolare, tale struttura è
maggiormente evidenziata da una precisa intenzionalità progettuale: si pensi agli
impianti centrali, quadrati, circolare, a croce greca e soprattutto al precetto, classico e
classicistici ad un tempo, di fabbrica costruita tutto al modo antico di dentro e di fuori.
1- Il primo Rinascimento, il Quattrocento
• Filippo Brunelleschi (1377-1446)
Fu principalmente scultore e architetto proveniva da una famiglia benestante. Dopo
gli studi di matematica, geometria e letteratura, scoprì presto la sua passione per
l’arte e fu introdotto dal padre presso la bottega di un orafo. A quel tempo moltissimi
artisti prediligevano la formazione presso le botteghe di oreficeria, questo perché si
riteneva che tale formazione fosse utile per sviluppare un’attenzione ai dettagli e ai
particolari. Nel 1404 risulta appartenente alla corporazione dell'Arte della Seta (che
includeva non solo i commercianti di stoffe di seta ma anche gli orafi di Firenze).
Nel 1401-1402 viaggio a Roma con Donatello. Lo scopo di questo viaggio fu lo studio
e la scoperta dell’arte classica. Per tale ragione, per la passione che Brunelleschi e
Donatello avevano nello scoprire le meraviglie dell’Antichità, si narra che entrambi
furono soprannominati i due del tesoro. Sempre nel 1401, partecipò alla gara per la
creazione della porta nord del Battistero di Firenze, realizzando la formella
rappresentante il Sacrificio di Isacco. Il concorso verrà vinto a pari merito con
Lorenzo Ghiberti, il quale aveva realizzato una formella con il medesimo soggetto,
alla fine però sarà Ghiberti l’autore della celebre porta.
Al fiorentino Filippo Brunelleschi si deve nel 1413 la traduzione in regole geometriche
di quella che fino a quel momento era stata una semplice intuizione. Egli dette prova
delle sue scoperte realizzando due celebri tavolette prospettiche, purtroppo perdute.
Parliamo della prospettiva lineare basata su leggi matematiche e dunque
universalmente vere che divenne lo strumento tecnico per eccellenza alla portata di
tutti per ottenere quello che si riteneva essere il compito principale in ogni
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rappresentazione grafica e architettonica: la verosimiglianza e la conoscenza
scientifica della natura delle cose. Le lunghe operazioni grafiche e di calcolo
necessarie per l’esecuzione di una prospettiva, verranno in seguito ridotte in numero
e semplificate da Leon Battista Alberti, il grande umanista, pittore architetto a cui si
deve il procedimento che divenne noto con il nome di costruzione abbreviata. Nel De
pictura (1435), Leon Battista Alberti dedica il prologo a Brunelleschi che ammirava
profondamente e cui riconosceva la priorità della scoperta della prospettiva.
Nel 1418 Brunelleschi consegna definitivamente il suo genio alla storia, quando vince
il progetto per realizzare la Cupola di Santa Maria del Fiore.
- La Cupola di S. Maria del Fiore a Firenze
Molti temi e problemi dell’architettura del primo Rinascimento, da quelli morfologici a
quelli tecnici, dalle questioni ideali a quelle stilistiche, dalla continuità alla rottura con
la tradizione, dall’eredità classica all’esperienza del Gotico, trovano nella cupola di
Santa Maria del Fiore, la cattedrale di Firenze, la loro manifestazione e spesso la loro
soluzione.
Seguendo la nostra linea genealogica, precedenti del duomo fiorentino, perciò che
attiene alla sua figura di pianta, possono considerarsi quelle chiese romaniche in cui
il corpo longitudinale termina in un organismo trilobato composto dai due lati del
transetto e del coro (S. Maria in Capidoglio e chiese degli Apostoli a Colonia). Ad
esse, infatti, sembra richiamarsi l’originale impianto di S. Reparata, poi ribattezzata S.
Maria del Fiore, progettato nel 1296 da Arnolfo di Cambio e ampliato da Francesco
Talenti mezzo secolo più tardi. La maggiore differenza tra le fabbriche tedesche e
quella fiorentina sta in ciò, che qui i tre lobi hanno un perimetro esagonale e
circondano uno spazio ottagonale, denunciato all’esterno da un tamburo e dalla
celebre cupola. Inoltre nel duomo di Firenze è assai più evidente il distacco fra il
corpo longitudinale e quello terminale che, per forma e dimensioni, si presenta come
un organismo prettamente centrico. Soffermiamoci su quest’ultimo, a partire dai
problemi costruttivi riguardanti la sua copertura.
Quando Brunelleschi (1377-1446) pose mano a quest’opera incompiuta, l’apertura
ottagonale del tamburo era di circa 43 metri e alta da terra circa 60 metri; queste
misure rendevano impossibile l’uso delle tradizionali centine in legno, donde la
necessità di elevare la cupola senza l’ausilio di esse. Inoltre, per il relativamente
modesto spessore del tamburo, era necessario che la costruenda cupola esercitasse
la minima spinta laterale. Se ci atteniamo all’assonometria del Sampaolesi, possiamo
spiegarci come fu realizzata la cupola, superando le due difficoltà suddette. Otto
costoloni a sesto acuto (a minima spinta laterale) partono degli spigoli dell’ottagono;
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fra l’uno e l’altro vi sono due costoloni che partono dal lato dell’ottagono per un
insieme di ventiquattro costoloni